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Rivista Santa Maria del Bosco - Serra San Bruno e dintorni

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Il cruciverba in serrese

Gioacchino Giancotti
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Natuzza Evolo

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Io ho sentito parlare della signora Evolo già nel 1955 quando abitavo a Vibo Valentia dove frequentavo l’ultimo anno del liceo classico. I miei compagni di classe, specie quelli provenienti da Paravati e dintorni, ne parlavano tutti i giorni in particolar modo nei giorni in cui Natuzza era particolarmente presa dai colloqui, come si diceva allora, con Dio e i Santi. Le comparivano le stimmate e sudava sangue. In uno di questi singolari giorni, spinto dalla curiosità, mi sono fatto prestare la bicicletta dal mio padrone di casa e sono andato a Paravati: volevo vedere e toccare con mano quanto si diceva. Quando trafelato e sudato sono arrivato alla modesta casa di Natuzza c’erano solo tre o quattro signore anziane che pregavano e dicevano che la veggente quel giorno manifestava sudorazioni di sangue più del solito. In loro compagnia sono entrato pure in una stanza poco illuminata dove faceva spicco un crocifisso in cima ad un modesto altare. Natuzza, vestita in nero, era particolarmente “agitata”; bisbigliava parole e preghiere e non voleva essere disturbata. Io la scrutavo attentamente ma non vedevo tracce di sangue né sul volto, né sulle braccia. Le donne che erano entrate con me avevano piccoli batuffoli di cotone e giravano per le due stanze pregando. Ogni tanto si abbassavano verso il pavimento, strofinavano il batuffolino e lo alzavano, poi, in alto facendo vedere qualche piccola macchia rossastra. Io non riuscivo a trovare niente. Quando deluso stavo per andare via, ho visto su un gradino dell’altare una piccolissima macchia scura. Una delle donne mi ha dato un batuffolino di cotone e mi ha invitato a strofinarlo sopra quella che lei ha chiamato un goccia di sangue. In effetti colore era quello. Ho fatto quanto mi era stato detto e ho collocato nel portafoglio quel pezzettino di cotone. L’ho fatto vedere un po’ a tutti: amici, parenti; c’era chi era convinto che quella macchiolina fosse di sangue e chi, invece, sorrideva e si girava dall’altra parte. Sono passati gli anni. Ho cambiato decine di portafogli, ho fatto traslochi a destra e a manca; di quel portafogli e di quel batuffolo avevo perso le tracce. Li ho ritrovati una decina di anni or sono. Ho guardato con attenzione (posso dire ho analizzato?) il batuffolino: la macchia era svanita. Ho buttato tutto nella spazzatura.
Nel 1974 mio fratello Sharo mi ha chiesto di accompagnarlo a Paravati perché gli avevano organizzato un incontro con Natuzza Evolo per un’intervista. Io avevo l’incarico di fotografare l’avvenimento. Ho accettato con entusiasmo e con l’auto, questa volta, non con la bicicletta, siamo arrivati a destinazione. La casa era sempre la stessa di venti anni prima. Nelle sue vicinanze abbiamo incontrato il parroco, che conosceva mio fratello e si è fermato per i saluti e per quattro chiacchiere. Quando ha saputo il motivo del nostro viaggio a Paravati il sacerdote storse il muso e non incoraggiò mio fratello. Sharo ha  chiesto al parroco se entrava pure per seguire l’intervista, ma il prete, con aria di superiorità e di sussiego: “No, no - disse - non entro. Quella è una povera visionaria e ammalata di testa; anche il vescovo non credeva ai miracoli della signora Evolo”. Entrammo finalmente in casa. Poco era cambiato dalla mia prima visita. Nella stanza dell’altare al posto delle sedie c’erano dei lunghi banchi. Natuzza ci accolse con umiltà e cortesia. Io mi sono preparato subito a scattare delle fotografie, ma la padrona di casa immediatamente si è premurata di avvertirmi di fotografare tutto meno che il suo viso. Così ho fatto: ho fotografato l’altare, alcune scritte che erano appese ai muri, le mani con le stimmate che Natuzza teneva appoggiate sulle ginocchia. certo punto, però, ho voluto …. disubbidire. Mentre la signora rispondeva pazientemente alle domande di Sharo, ho indirizzato la macchina fotografica verso il volto di lei e ho premuto il pulsante di scatto. Al lampo del flash, Natuzza si è girata di scatto: “Vi ho detto di non fotografarmi, ma voi volete fare il furbo. Comunque sappiate che quella foto non verrà fuori”. Ho chiesto scusa, però dentro di me gongolavo perché avevo fotografato il viso di Natuzza. Ma le cose non andarono cosi come pensavo. Appena rientrati a Serra ho sviluppato subito la pellicola e …. e ….. Ma che cavolo era successo! Ho guardato e riguardato il negativo e alla fine ho dovuto arrendermi: c’erano tutte, proprio tutte le fotografie scattate, mancava solo quella del viso di Natuzza Evolo. Imperizia mia? Miracolo? Iettatura ? Non ho saputo e non so rispondere. Ancora conservo quella striscia di sei fotogrammi; proprio al centro della stessa ce n’è uno completamente nero. Oggi parlano tutti di Natuzza Evolo, la veggente di Paravati, la donna che parlava con ’Aldilà. Migliaia di pellegrini si recano quotidianamente a Paravati, il paese vicino Mileto, sempre in fermento per accogliere i cenacoli di preghiera provenienti da tutta Italia. Per Natuzza sono state create fondazioni, si stanno costruendo santuari, asili; le associazioni si susseguono l’una all’altra. Esiste una enorme circolazione di danaro e di interessi che certamente niente hanno a che fare con l’umiltà, la povertà e la modestia della veggente. Molte volte mi chiedo. Di fronte a tutti questi “miracoli” di struttura materiale e concreta, il parroco che allora definì Natuzza Evolo una demente visionaria, mantiene lo stesso parere e la stessa convinzione?

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