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Rivista Santa Maria del Bosco - Serra San Bruno e dintorni

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Il cruciverba in serrese

Gioacchino Giancotti
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La solitudine del Venerdì Santo.

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venerdì santoIl tempo passa e ripassa, ma per un momento fermo il tempo.
E attendo che tu venga, Signore.
E' contento; mentre accudisce il suo mucchietto di mosche. E' lui il padrone.
Le mosche erano apparse all'improvviso dentro casa, un mistero del creato; così aveva spiegato la presenza di quelle piccole creature che, in modo inusuale, da alcuni anni; tra marzo e aprile invadevano la sua stanza. Accadeva in uno strano modo, ne apparivano prima cinque poi, con il passare delle ore, come una magia se ne aggiungevano altre sette: dodici in tutto. Quando la dodicesima mosca; quella bianca, completava lo stormo era come un segnale, e insieme cominciavano a danzare.
Ananzio - era questo il nome del padrone delle mosche - nel pomeriggio del venerdì santo, mentre i raggi di un sole inatteso attraversavano i vetri della finestra per infrangersi sul muro, seduto in poltrona, osservava divertito la strana danza delle mosche.
Mi siedo e sono pronto a osservare..
Il tempo passa e ripassa...
Le mosche cominciavano a roteare nel fascio di luce con ritmo lento, ampio. Prima sonnolente, poi piano piano in vortici che diventavano sempre più stretti, più veloci, più disordinati. Ad un segnale impercettibile si ritrovavano tutte di nuovo al centro della stanza e ognuna tracciava la sua simmetrica e improvvisata traiettoria. La metà delle mosche, che ruotavano all'esterno, di colpo si radunavano al centro e poi, tutte insieme ad impennare veloci verso il soffitto e ancora in picchiata con sosta al centro. Alcuni secondi immobili, meditabondi, sospese nell'aria...silenti. Tutte, quasi ferme e pensose, come a studiare le prossime mosse fino a quando, quelle rotanti all'esterno migravano rapide al centro e quindi di nuovo verso l'alto; e via a ricominciare...
Ananzio non vide mai la fine di quella danza perché, invaso da uno strano torpore, cadeva in un sonno profondo e al risveglio tutto era cambiato; tutto svanito come i raggi del sole che, lasciata la parete, andavano a colpire altrove...altrove.
La mia giornata è un mosaico,
sparpagliato in mille pezzi...
Ho chiuso la mia bocca e le mie parole riposano.
Ananzio non sapeva cosa mangiavano e dove mangiavano le sue mosche. Lui sgranava; dentro due piattini tutto quello che riteneva utile al loro pasto e, mentre le mosche finita la danza saltellavano disordinate sui vetri della finestra, adagiava i piattini sul davanzale. Per eccesso di zelo o per quietare la coscienza, aggiungeva al centro dei piattini poche stille di acqua, e anche qualche granello di zucchero. Poi, soddisfatto, riprendeva il suo fare ordinario.
Ho ordinato i miei utensili e riposto i miei libri.
I miei pensieri sono liberi e le mie mani distese.
E attendo che venga tu, Signore.
A sera inoltrata, Ananzio, rovistava nel cassetto dell'antico comò. Sotto santini, libercoli, cartoline, foto sbiadite e centrini rattrappiti; rintracciava la fredda sagoma di un crocefisso di porcellana attorcigliato ad un rosario. Sul comò, nell'angolo a destra, aveva acceso un lume ad olio. Estratta la fredda croce, e liberata dal grappolo dei grani consunti, la passava più volte sulla manica del pigiama. La portava alle labbra. La posava sotto il lume e si segnava.
Così faceva sua madre...e prima ancora sua nonna.
Ananzio fissava quel vecchio crocefisso che, colpito dalla fievole luce del lume, rifletteva quei colori cangianti che lo riportavano al ricordo di quand'era bambino: quando sua madre gli attaccava al polso quel Rosario dicendo: devi iniziare con il Segno della Croce, poi un Credo e un Padre nostro e proseguire con tre Ave Maria per chiedere alla Madonna di crescere nelle tre virtù teologali; che sono?...sono? Preso da incertezza sostava pensoso nel rispondere e la mamma rapida, alzando il tono della voce: Fede, Speranza e Carità. Ricordali! Poi devi continuare con un Gloria al Padre...Ripeti con me... Ripeti con me...Ripeti con me...
Così l'addestrava sua madre; ripetendo l'insegnamento avuto da bambina.
Ho corso, parlato, lavorato, aiutato, giocato, pianto e il tempo è passato.
Il tempo passa e ripassa, ma per un momento fermo il tempo.
Tu Signore sei lì.
Ananzio prima di mettersi a letto, apriva il suo vetusto libro di preghiere, che era stato di sua madre e prima ancora della nonna, e ripeteva le stesse preghiere; quelle che recitava la mamma, e prima ancora le stesse che bisbigliava la nonna.
La lampadina, che spandeva la luce dal soffitto, sovrastava il letto monotona, racchiusa nel suo ampio cappello di plastica decorato con undici cerchietti di vario colore. Quel cappello di luce e calore era gradito alle sue mosche che per la notte vi si adagiavano sopra, e ognuna occupava il centro di un cerchietto colorato; la mosca bianca riposava ovunque gradiva.
Ananzio, steso sul letto, osservava le mosche assopite, ognuna nel suo cerchietto colorato e meditava sull'ordine del Creato e sulla sua Bellezza e anche sul Mistero di quella mosca bianca.
Ho fermato tutto per tutto riunire.
Volevo chiederti del Mistero.
Poi ho guardato il tuo volto, le tue mani e i tuoi piedi.
Ho chiuso la mia bocca.
Mi addormento e ti consacro il mio tempo.
Tutto restava immobile e silenzioso.
La chiese aperte si mostravano in viola.
Le campane pendevano mute.
Venerdì Santo.
Cristo era morto.

 

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