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La poesia di Gino Caccia.

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Il poeta calabro-emiliano ci fa incontrare un mondo antico e moderno insieme in una universalità pensosa fatte di dolore, di prove, di aspirazioni comuni, di speranza.

Gino Caccia 300Già nel 1998 aveva dato alle stampe “Filu d’erva” con sottotitolo “ ‘A guerra cca’ Casazza”; una raccolta di poesie dialettali tra l’ironia e il tragicomico. Sfogliando le pagine si nota subito una poesia che entra di prepotenza nell’animo di chi la legge anche perché possiede due requisiti fondamentali per dare fascino e genuinità. Il primo è dovuto al privilegio di possedere una forza dialettica generata dal retroterra storico dell’ultramillenaria cultura della sua terra che fu dei Greci; il secondo requisito riguarda la sua condizione di autodidatta autentico e, quindi, libero da condizionamenti accademici che talvolta ingabbiano la purezza e l’autenticità dei sentimenti. E da ciò deriva che, come scrive Antonio Buscema in presentazione, “i suoi versi risultano più luminosi, più puri, più veri; essi nascono veramente da un bisogno di ‘cantare’, di esprimere, cioè, quanto gli rode nell’animo, di sviscerare quella voglia di nostalgia per il suo ‘paradiso perduto’, per quel mondo mitico della ‘sua’ infanzia”. E già, perché il nostro poeta, Gino Caccia, ci offre una poesia, semplice quanto si vuole ma ricca di pathos e sofferenza e non poteva essere diversamente dacchè la sua giovinezza non è stata facile, se è dovuto emigrare, dalla sua Cutro, dalla sua Calabria,

per mezza Italia e fino in Germania: “no’ ppi vuluntà, ma fu u distinu,/ da’ terra mia ch’a vozi u m’alluntanu.”

Oggi vive, ormai da tanti anni, a Reggio Emilia: “sugnu ‘nta negghia:/ mo sugnu padanu”  e questa esperienza ha lasciato nel suo animo una velata patina di amarezza, “ija vuotu arriedu e pensu/ a chiri tiempi/ e cumi sa fussa veru/ mi sientu menu sulu” e dalla sua memoria affiorano, vive e palpitanti, le figure umili della nostra terra: personaggi grotteschi, forse, ma che hanno costruito la storia di ieri. “Eranu i tiempi ch’o nn’aviemu nenti:/i c’eranu i sordi mancu ppi guaderni./ Sulu guerra e scioddri, cumi divertimenti!/ Pensaci buonu però: l’amici eranu fraterni”. Insomma il poeta della diaspora non si nasconde dietro le metafore artificiose ma scrive e pensa con la matura essenzialità di chi la vita l’ha vissuta in un certo modo, in un certo tempo e soprattutto con ineccepibile senso morale.

Dopo l’esperienza di “Filu d’erva”, il Caccia ha abbandonato, per qualche tempo, il filone, per così dire, del vernacolare per abbracciare la lingua, sempre chiara e umile, senza ammantarsi di troppo ermetismo, come taluni poeti contemporanei. Esprimendosi in forma moderna, attuale, ricca di musicalità, Gino giunge all’animo del lettore che lo comprende e resta conquistato dalle immagini, dai pensieri chiari, appassionati, densi di emotività.Il poeta calabro- emiliano continua fedele al suo osservatorio dal quale scruta ed osserva gli accadimenti dei nostri giorni e, causticamente, ne fotografa,con ampia compartecipazione dei riferimenti. Niente di occasionale. Ma tutto sulla facile ironia che fa della sua pagina un graffiante cammino che coglie nel segno di una società ormai legata al consumismo, all’arrivismo, alla faciloneria.

Come nella liricaIndifferenza - Migranti laddove scrive:, questo muto nemico…”.“Siamo spersi come spruzzaglia d'onda/che infrange lo scoglio/minuti disabili convinti di riuscire/a correre ancora con le proprie gambe./Strozzata è l'anima dall'indifferente parassita./Dov'è l'amore?/E' il silenzio…”.

La sua produzione, molta della quale è ospitata dal Quadrimestrale di letteratura e arte varia “ Bibbia d’asfalto”, è pagina nitida costruita per invitarci a meditare e a testimoniare nella centralità dell’uomo, nella storia e nell’amore della vita: “…Polvere d'uomo, ormai, ha invaso l'universo
miscuglio tossico del Divino Errore"!...”

Di pagina in pagina, di versi in versi, vien fuori una mescolanza tra la centralità dell’uomo e quella del suo vivere, in un rapporto di cui oggi tutti avvertiamo l’esistenza che è quella di sentirci fratelli, nel dettato evangelico, di amarci, di aiutarci in ogni momento dell’esistenza. “E vi pensa e vi cerca e vi trova//molto spesso in fondo al bicchiere/e nelle pieghe di consunta memoria./Di rimando un'eco di passi/pur se la stanza è già vuota.//L'uomo impreca:/”.perché l'urlo tace? (Abbandono)

Nel concludere questa nota mi piace riaffermare che nella poesia di Gino Caccia si coglie una carica umana e una sapienza di stile che rendono vive le vicende, le quali risultano pregne di valori etici. Una poesia che incontra un mondo antico e moderno insieme in una universalità pensosa fatte di dolore, di prove, di aspirazioni comuni, di speranza.

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