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Il dialogo interreligioso per frenare il terrorismo.

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terrorismo-islamico-Si sta vivendo in un clima, in cui la gente comune si affretta ad informarsi sul significato del termine jihad, sul fondamentalismo islamico, sulla possibilità che una religione possa invocare la guerra; si confronta su quella che viene definita una “guerra nuova”. E mentre, da un lato, la filosofia moderna analizza criticamente questa società, si interroga su quanto il progresso e il consumismo, inteso come una delle manifestazioni dell’edonismo, riescano ad incidere sulla universalità della religione, si preoccupa delle modalità e dei limiti di un’apertura della dottrina cattolica verso altre religioni monoteistiche, ed esamina la possibilità della realizzazione di una vera globalizzazione etnica e culturale, cercando di ovviare al rischio di un appiattimento delle singole realtà culturali nonché al proliferare di fondamentalismi, l’opinione pubblica si divide, come sempre, tra pacifisti e interventisti. Dopo l’attacco terroristico alla sede di Charlie Hebdo a Parigi, qualcuno si è spinto a dichiarare che le religioni sono in guerra. Qualcuno ha ridicolizzato, deriso e persino indicato la pratica del dialogo fra le religioni come testimonianza del fatto che esso sia fallito ancora una volta. D’altronde, all’interno del mondo laico erano da tempo emersi cinismo e apprensione nei riguardi dell’apertura della Chiesa cattolica alla costruzione di relazioni positive con altre religioni. I pacifisti, pur vedendosi rappresentati dalle parole di Papa Francesco, mal hanno accolto i riferimenti alla legittima difesa, criticando la strada che ha portato verso una guerra senza giustizia, perché ogni guerra è ingiusta, ed è pur vero che la guerra esiste nel cuore dei popoli e nella mente dei tiranni. Siamo nel terzo millennio e l’umanità si trova di fronte a un’altra guerra. E si confronta sul tema. C’è chi attribuisce alla presenza in Italia del Vaticano, della sede centrale della Chiesa Cattolica, la fonte che orienta parte dell’opinione pubblica a privilegiare in modo assoluto la pace e il perdono. Certo è che, nonostante la comune indignazione contro il terrorismo, molti muovono critiche all’intervento armato: i molti che avevano implorato di evitare la guerra - che colpisce sempre gli innocenti -, hanno dichiarato che rivolgersi alla guerra come l’unica risposta possibile è non solo inutile, ma addirittura una sorta di risposta vendicativa, “il dente per dente che diciamo di aver superato quando protestiamo contro la pena di morte”, aggiungendo che la morte come deterrente è una idea convenzionale, che si è sempre rivelata perdente. La cosa veramente nuova sarebbe mettere in opera una grande polizia internazionale che abbia la forza di arrestare i colpevoli, portarli davanti ad un tribunale, fare loro un processo e condannarli. Ma ancora non sarebbe possibile un simile sogno di pacifica convivenza. Dall’altra parte, c’è chi risponde: Certo, la violenza chiama violenza. Ma non è lecito equiparare la violenza di chi la inizia con la violenza di chi si difende. Qual è l’alternativa? Subire violenza, farsi violentare senza reagire, ferma la violenza? Nulla di nuovo, questo richiamo alla legittima difesa, che anzi, in questo caso, appare ancora più legittima se il nemico è il terrorismo, è l’insidia di pochi che pretendono di imporre la propria visione del mondo seminando panico, devastando, sterminando migliaia di innocenti di ogni nazionalità, riuscendo a portare a termine uno sterminio di massa con tanta sfrontatezza e tanta mostruosa gelata insensibilità, abbattendo obiettivi simbolici per colpire il cuore di una civiltà che ha il merito di aver riconosciuto la libertà e i diritti umani, di aver cercato la convivenza tra religioni ed etnie diverse, in una globalizzazione della tolleranza e della comunicazione prima che del mercato. Più delicata si fa la questione se si diffonde l’idea che siamo di fronte ad una guerra di religione, forse voluta e dichiarata soltanto da una frangia di quella religione, che chiamano jihad. Guerra Santa. E, su questa scia, è ancor più delicata la spiegazione che l’ostilità che gli Stati arabi moderati nutrono verso il terrorismo “non nasce da un loro supposto moderatismo, ma dalla paura del radicalismo militante”; infatti, ipotizzando che i Governi in questione non siano in grado di condannarlo esplicitamente, di tradurre cioè la paura dell’estremismo in una qualunque battaglia ideologico-culturale a favore di una versione moderata dell’Islam, si giunge a riconoscere che il fanatismo fondamentalista non può essere messo in discussione in nessuno Stato musulmano perché ciò equivarrebbe a mettere in discussione in modo pubblico il Corano. Dal canto suo la Chiesa cattolica fa presente di aver da tempo intrapreso il cammino del dialogo interreligioso, nella consapevolezza del pluralismo esistente nella società e soprattutto alla luce del fatto che una conoscenza insufficiente della propria religione provoca confusione e interpretazioni errate che possono sfociare nel fondamentalismo. Inoltre, considerando che una conoscenza insufficiente dell’altra religione può sicuramente incoraggiare una mancanza di valutazione e ampie generalizzazioni, e che ciò può sfociare in giudizi sbagliati, il dialogo risulterebbe il mezzo migliore per scoprire la ricchezza delle religioni e astenersi da osservazioni basate su ignoranza, pregiudizio e mancanza di carità. In un panorama di equivoci, fraintendimenti, smentite e precisazioni, l’unica certezza resta la Parola di Dio, interpretata dalla Chiesa cattolica e tramandata dalla dottrina. Nel catechismo della Chiesa cattolica si trova la spiegazione e specificazione del ben noto comandamento “Non uccidere” e dei principi relativi al rispetto della vita umana, alla legittima difesa, e alla difesa della pace per evitare la guerra.

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