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Rivista Santa Maria del Bosco - Serra San Bruno e dintorni

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Il cruciverba in serrese

Gioacchino Giancotti
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L’energia dell’acqua a Serra: l’Ancinale e “li cundutti”.

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segheria ceravolo
Mentre mettevo il dito sul pulsante on/off del computer, mi è venuta a mente un’espressione sentita mezzo secolo addietro. L’aveva detta un professore belga, mio insegnante di economia politica: “Con i petrodollari, gli sceicchi arabi, compreranno mezza Europa” . Poi, preso forse dalla foga del suo dire, aggiunse: “ E i musulmani invaderanno l’occidente senza colpo ferire, né ci sarà Eugenio di Savoia a fermarli alle porte di Vienna”. Ma quest’ultima parte non c’entra proprio con quanto sto per scrivere.
Il carbon fossile, la legna, il petrolio, i diversi gas estratti dal sottosuolo, producono energia, ma si tratta di energia non rinnovabile, cioè, quando viene a mancare il combustibile che la produce, non ce n’è piú.
 Col boom economico e dunque con la grande produzione industriale ed il proliferare delle automobili, il bisogno del petrolio si fa sempre piú impellente: il bisogno cresce ed il prezzo aumenta; lo sceicco si fa sempre piú ricco e i suoi acquisti in Europa sempre piú voluminosi: il vecchio professore aveva visto giusto.  
Ci sono però in natura altre forze che producono energia: il sole, l’acqua, comprese le maree, il vento. Sono questi gli elementi che producono l’energia rinnovabile, rinnovabile perchè gli elementi non si consumano.
Serra è ricca di uno di questi elementi: l’acqua. Sì è vero, ogni tanto “’ndi leva” , ma rimane una ricchezza.
Il nostro Ancinale, incanalato da rudimentali “cundutti”, fece funzionare, nel corso dei secoli, mulini, segherie, cardatrici, turbine e chissà cos’altro ancora.
“Lu Guttazzu” produceva energia elettrica per l’illuminazione dei residenti di Santa Maria;
La Società Borilli utilizzava le  acque del nostro fiume per creare energia elettrica per l’illuminazione di diversi comuni.
In paese, prima dell’alluvione del ’35, e dell’impianto dei mulini elettrici, c’era una buona mezza dozzina di mulini ad acqua: “Lu mulinieddhu” sito nel vago “Arriedi lu hiumi” con quello dei Pisani (Guido) sono i piú conosciuti. Però, sulla strada che mena a Pittina ce n’erano altri due: uno, sulla sinistra, subito dopo il ponte, l’altro, piú su a duecento metri dallo scannatoio. Questi mulini, dalle spesse quanto precise ruote di granito, furono scalpellate dai mastri scalpellini serresi. Gli stessi mastri che prendevano la via dei paesi di marima dove si specializzavano a fare trappeti, fra questi grandi mastri, mio nonno Bruno.
 L’acqua di Guido (affluente dell’Ancinale) distrusse,con la furia dell’alluvione, la segheria di Principe (Pispici) sita poco distante dal ponte di donna Bettina.
Non so se le segherie ad acqua funzionino ancora, l’ultima ad essere costruita fu quella dei Calabretta (Centarioni) a qualche centinaio di metri dall’edificio scolastico. Eravamo di casa in quella segheria. Il compianto, caro amico Gino, ne era il proprietario. Rimanevo incantato a vedere “lu serraturi” con quale facilità faceva roteare, spostare, muovere in tutte le direzioni gli spessi tronchi. Con pochi movimenti di zappino trasportava la “chianca” adaggiandola sul letto della serra, pronta alla segatura. Ma Archimede, si ispirò ad un segatore provvisto di zappino per enunciare il principio delle leve?
Mi ricordo, quando gli inglesi vennero  da padroni a sradicare le nostre montagne, dico sradicare perché negli ultimi mesi della loro permanenza a Serra, non avevano tempo di abbattere i nostri abeti e faggi, allora li sradicavano con mastodontici trattori. A quei tempi c’erano a Serra sedici segherie, e tutt’e sedici segavano giorno e notte. Poi, decine, centinaia di camion, portavano le tavole al piú vicino porto o scalo ferroviario da  dove quel ben di Dio partiva per la patria di Albione. Per la storia: un buon numero di camion, traspostava tronchi, specie gli ultimi tempi della loro permanenza a Serra, i tronchi partivano senza essera lavorati (segati).  
Il paese viveva in una effimera prosperità grazie alle Am lire. Moneta coniata per i paesi occupati, senza nessun valore garantito.
A parte tre o quattro: Santa Maria, la Machineddha, Caminiti e quella senza nome alla curva della strada del cimitero, tutte le altre funzionavano con la forza dell’acqua.
Alcune di esse pur essendo nel comune di Spadola, le consideravamo serresi. La piú lontana, era quella di “Ponti d’Arvulu” poi, seguendo il corso dell’Ancinale, veniva “Chindidhi”. Sulla strada che va a Spadola, la segheria di Andrea Abate. Da dove veniva l’acqua per farla funzionare?
La “Rota di lu margiu”, oltre la segheria, ospitava uno dei posti piú ameni del nostro territorio (sebbene  anche questo nel comune di Spadola):La Muntagneddha. Dalla strada della segheria si accedeva, con una passerella, alla fontana con  alle spalle un tavolo rotondo in pietra con relativi sedili. Ai miei tempi, quando si voleva fare una scampagnata, la “Muntagneddha” era la prima scelta.
Nel nostro comune le segherie a grande capacità. Sarebbe tedioso nominarle tutte, specie se ci cimentassimo a definire la loro ubicazione. Ma, sono ancora attive? Che dire della “Serra di lu cumuni” o di quella di “Archifuoru” (Cosa vorrà dire?). Le altre  “di li Monaci”,  di “Donna Letizia” e di “Fiore Timpano” (Juri di la Tozza) son ben definite per la loro appartenenza.
Non sappiamo piú niente delle segherie di Serra. Quante ce ne saranno in funzione? Era questa la ricchezza del paese ed sono queste le domande che ci poniamo noi che abbiamo lasciato il nostro paese costretti dalle vicende umane.

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