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Rivista Santa Maria del Bosco - Serra San Bruno e dintorni

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Il cruciverba in serrese

Gioacchino Giancotti
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Una Certosa da ricostruire (tra difficoltà, polemiche e accuse).

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Bruno-chimirri ceravoloNon fu un’impresa semplice riedificare la Certosa dopo il terremoto del 1783. Le vicissitudini dolorose, cominciate con l’Iliade funesta del sisma, erano proseguite con l’istituzione della Cassa Sacra (4 giugno 1784) e con il decreto di espulsione di Giuseppe Bonaparte (13 febbraio 1807), dopo che l’abolizione della Cassa (30 gennaio 1796) aveva fatto recuperare alla Certosa di S. Stefano i beni immobili di cui era stata spogliata. Un brano delle Memorie storiche di Mons. Domenico Taccone-Gallucci sintetizza bene quel che avvenne, da lì a qualche decennio, quando si verificò il primo tentativo di recupero della Casa certosina: “(...) L’egregio serrese Mons. Bruno M. Tedeschi, Arcivescovo di Rossano, fece con pa¬triottico e religioso zelo le più alte premure sia alla Santa Sede, sia al Re Ferdinando II, affinché ve¬nisse ripristinata la vetusta celebre Certosa, glorificata già da tante passate grandezze. Trovò la sua proposta favore presso il gran Priore Generale della Certosa di Grenoble P. D. Giov. Battista Mortaiz e quel Capitolo Generale Certosino. Laonde, stabilite le relative pratiche, finalmente l’egregio Arci¬vescovo accompagnò egli stesso in Serra il P. D. Paolo M. Gerard, Priore della Certosa di S.M. degli Angeli in Roma e Procuratore Generale dell’Ordine, nonché i suoi compagni Fr. Domenico Terzuoli e Fr. Alessio Moschettini. Qual delegato Pontificio e Regio, diede il Tedeschi ai 29 Marzo 1840 so-lenne e legale possesso della Certosa di S. Stefano, con grande consolazione e generale approva¬zione. […] Nel 1841 vennero mandati in Calabria i Fr. Oblati Maurizio Gabrielli ed Arsenio Compain col Priore Franchet. Questi pose ogni opera sua a far restaurare il cadente edi¬ficio: e con varie migliaia di scudi somministratigli dalla Certosa di Grenoble nell’anno seguente 1842 il Cenobio ha potuto di nuovo essere abitato.  Assente poscia questo zelante Priore, rimase nella qualità di Custode il suddetto Frate Arsenio Compain. Egli però fu proditoriamente ucciso nella stessa Certosa ai 21 ottobre 1844, e tale orribile delitto fu causa che la novella inaugurata Casa dei buoni figli di S. Bruno sia stata abbandonata dopo pochissimo tempo dalla sua riapertura”. Un secondo tentativo, coronato dal successo tra l’aprile e il maggio del 1857, si sarebbe concluso, pochi anni dopo, con un nulla di fatto a causa della legge del luglio 1866 con la quale lo Stato unitario, sulla scia della legislazione piemon-tese del 1855, sopprimeva le corporazioni religiose e incamerava i loro beni. Soltanto nel 1887, mutate le condizioni, la Grande Chartreuse sarebbe riuscita ad acquistare dal Comune di Serra, per 25.000 lire, i ruderi del monastero, per poter finalmente riprendere e ultimare i lavori di ricostruzione, riadattando, almeno, 14 celle, il refettorio e una chiesa in grado di contenere 21 monaci. Ma non doveva essere un progetto di semplice realizzazione se dovevano trascorrere ancora sette anni perché, il 26 aprile del 1894, il Capitolo Generale dei cer¬tosini approvasse definitivamente la riedificazione della Certosa, nominando, contemporaneamente, Dom Am¬brogio Bulliat rettore del monastero calabrese. Il successivo 9 maggio Dom Bulliat giungeva a Serra; il 28 giugno, sotto la direzione dell’architetto Pichat, i lavori di ricostruzione potevano finalmente avere inizio. Il Priorato, la Procura, il Refettorio, la cucina vennero conservati quali erano, non avendo quasi subito danni dopo il terremoto; furono, invece, rifatti integralmente il chio¬stro, la Chiesa, le cappelle private, le celle dei Padri, la torre dell’orologio. A questo punto si aggiunsero le polemiche e le accuse, rivolte anche ai certosini e, come si vide, infondate. L’avvocato serrese Bruno Chimirri, futuro ministro del Regno e in quel momento Consigliere provinciale, venne incaricato dal Prefetto di Catanzaro di compiere un’indagine presso la Certosa, scrivendo nella sua risposta del 24 ottobre 1895: “Recatomi in questa Certosa ed eseguita una accurata ispezione, ebbi a rilevare che questi Certosini non demolirono, né depreziarono alcun’opera di arte che merita di essere conservata. Il chiostro fu sgombrato dalle macerie e dagli sterpi e roveti, che lo avevano reso nido di rettili, e nei suoi lati di oriente ed occidente si vede intatto, solamente verso settentrione si osservano due archi crollati da vecchia data, ed i tre pilastri senza capitelli e rivolti a metà non furono rimossi. Le mura laterali della chiesa vennero demolite, perché minacciavano rovina, mettevano in pericolo la vita dei lavoratori; però la facciata e quanto vi esistea in opera di arte furono rispettati. È poi assolutamente insussistente la distruzione di affreschi che non esisterono mai. Mi sono convinto dallo esame dettagliato dei luoghi, e dalle informazioni assunte, che i padri Certosini compiono un’opera meritoria riedificando la Certosa, perché danno da vivere a centinaia di operai e con questo mezzo e le larghe elemosine bandirono da questo paese la fame, che si era mostrata in modo spaventevole”. A lavori oramai ultimati, il 2 aprile 1899 venne cantata la prima messa conventuale nella Chiesa riedificata; più di un anno dopo, il 13 novembre 1900, la stessa Chiesa fu consacrata alla pre¬senza di Mons. Giuseppe Barillari, serrese, vescovo coadiutore di Cariati. C’è da ritenere che, come si era augurato Dom Bulliat in una sua lettera, l’intera cerimonia si sia svolta in grande semplicità, “come si conviene a dei religiosi solitari”, ma l’eccezionalità dell’occasione fu, se non in altro modo, sicuramente riconosciuta accordando anche alle donne il permesso, per un periodo di quattro giorni, di  visitare la Certosa.

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