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Gioacchino Giancotti
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Serra 1874: La guerra della mozzetta. (Seconda parte)

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In paradiso non si va con la mozzetta.
La guerra della motetta IIl rettore della Chiesa di Spinetto, don Luigi Anastasio, appresa la notizia che don Domenico Rachiele era stato insignito della mozzetta violacea, andò su tutte le furie. Era convinto che quella onorificenza, che gli dava il diritto di far parte della Cappellania della Chiesa Matrice, spettava a lui, pur essendo un sacerdote della chiesa di Spinetto. E questo perché, a suo modo di vedere, tra i sacerdoti di Spinetto e quelli di Terravecchia doveva esistere il principio della par conditio. Non metteva in conto, il povero don Luigi, il fatto che chi aveva gli onori doveva addossarsi pure gli oneri e i sacerdoti della Cappellania di Terravecchia avevano il compito di sopportare i cosiddetti ‘pesi’, consistenti nell’obbligo di celebrar messa in certi periodi dell’anno, recitare l’ufficio di San Bruno, partecipare alle principali funzioni religiose e così via, mentre i sacerdoti di Spinetto, liberi da ogni adempimento di questo genere, se la spassavano. Nel caso di don Luigi Anastasio, poi, lo spasso principale consisteva nel fare lunghe passeggiate sul corso proprio mentre i colleghi sacerdoti di Terravecchia erano in chiesa a celebrare. Sta di fatto che don Luigi non volle sentire ragione. Era lui il sacerdote designato a prendere il posto nella Cappellania della Chiesa Matrice, lasciato libero da don Giuseppe Giancotti, morto il 4 marzo 1974. Così aveva promesso il vescovo di Squillace che, ora, non poteva rimangiarsi la parola data. Memore di quella promessa, il reverendo Anastasio il giorno successivo, come un fulmine a ciel sereno, fece le valige e corse a Squillace per porgere personalmente le sue lamentele al vescovo, mons. Raffaele Morisciano. Fatto sta che il vescovo, vuoi per la forte influenza che don Luigi Anastasio esercitava su di lui, vuoi per la sua debolezza di carattere che lo rendeva incapace di dire no all’anziano rettore della chiesa di Spinetto, si fece convincere e, non avendo altro di meglio da offrirgli, lo nominò cappellano onorario della medesima chiesa di Serra col diritto di far parte della Cappellania e di indossare la papalina e il mozzetto violaceo.
Tornato a Serra, don Luigi, forte della nomina avuta dal vescovo, attese con ansia l’occasione opportuna per esibire in pompa magna la sua divisa in mezzo agli altri sacerdoti della Cappellania della Chiesa Matrice. L’opportunità si presentò la sera del 12 luglio, quando in occasione della domenica bisognava celebrare nella Chiesa Matrice i vespri in forma solenne. Ma i sacerdoti di Terravecchia, che fin dal giorno precedente avevano avuto sentore delle intenzioni del reverendo Anastasio, per non essere colti di sorpresa, si riunirono per decidere il da farsi. In un primo momento avevano stabilito di sospendere del tutto la celebrazione dei Vespri. Poi accettarono la proposta fatta da due sacerdoti, don Giuseppe Salerno e don Bruno Gerocarni, i quali consigliarono di non sospendere i vespri per non creare dissapori tra il popolo, ma di recarsi nella stessa mattinata di domenica dal reverendo Anastasio per convincerlo a non presentarsi in chiesa almeno fino a quando le cose non sarebbero state chiarite col vescovo di Squillace. Cosi’ fu fatto e, dietro le insistenze dei due sacerdoti, che si erano recati a trovarlo a casa, don Luigi si mostro’ propenso ad accettare. Ma avvenne che la sera stessa, nel bel mezzo della celebrazione del Vespro, il reverendo Anastasio con gran sorpresa di tutti, non mantenendo la parola data, fece il suo ingresso in chiesa, vestito con la papalina e la mozzetta violacea. Immaginate lo stupore della gente e, soprattutto, la rabbia dei cappellani i quali, colti di sorpresa e messi di fronte al fatto compiuto, sul momento nulla potettero fare se non ingoiare il rospo e sopportare per tutta la cerimonia l’indesiderata presenza dell’intruso.
Ma, spuntata l’alba del giorno dopo, i sacerdoti della Cappellania di Terravecchia si presero la rivincita. Tre di loro, don Francesco Minichini, don Ferdinando Manno e don Luigi Giancotti, volarono a Squillace e chiesero udienza al vescovo Morisciano. “Noi vogliamo sapere –disse al vescovo il Minichini –come Vostra Eccellenza abbia decorato il sacerdote Anastasio del mozzetto della nostra collegiata, quando noi portiamo i pesi di Ufficiatura e di Messe cantate per tale decorazione ed il R.ndo Anastasio si diverta con belle passeggiate.” Il vescovo al suon di quelle parole e delle altre proferite nell’occasione anche dagli altri due sacerdoti, cercò di tergiversare, sostenendo che, se non aveva fatto le cose giuste, era tutto il clero di Serra a doversi lamentare e non solo loro tre. A queste parole il reverendo Manno rispose: “Eccellenza, voi il clero volete? E il clero avrete!”. Chiusero il discorso e fecero ritorno a Serra, raccontando a tutti gli altri sacerdoti quello che aveva detto il vescovo.
Il cronista non lo dice, ma sicuramente quel giorno in chiesa succedette un vero e proprio pandemonio: tutti, nessuno escluso, volevano andare dal vescovo per fargli capire una volta per tutte che nessuno di loro voleva che il reverendo Anastasio venisse decorato. Ma trenta sacerdoti erano troppi per presentarsi insieme e chiedere udienza al vescovo. Sarebbe stato un vero e proprio assalto alla Curia di Squillace. Allora il reverendo Gerocarni, che forse era il più savio di loro, avanzò l’idea di nominare solo quattro sacerdoti “che abbiano coraggio e testa dura per non essere con belle maniere congedati dal vescovo, e non fare noi tutti una brutta figura” e inviarli da Sua Eccellenza, investiti in forma ufficiale e a nome di tutti per andare a trattare, portando al vescovo una lettera sottoscritta da tutto il clero e un’altra stilata dal Sindaco. La consegna era questa: “presentarsi al vescovo, affinché si piaccia rivocare la licenza data al R.ndo Anastasio di vestire il mozzetto, concesso alla nostra Collegiata, e qualora il vescovo non volesse revocare la licenza data, pensare cosa debbasi fare in appresso.” Per quella importantissima e delicatissima missione furono scelti i sacerdoti Giuseppe Tucci, Domenico Rachiele, Ferdinando Manno e lo stesso Bruno Gerocarni.
La partenza per Squillace avvenne verso la metà del mese di luglio quando, come si suol dire, il sole spaccava le pietre. Non pochi, infatti, furono i disagi sopportati dagli ambasciatori nel corso del loro viaggio a causa del caldo. Più volte furono costretti a scendere dalla carrozza e sdraiarsi sotto gli alberi per rinfrescarsi. Fu proprio nel corso di una di queste soste forzate che uno di loro, e precisamente il reverendo Gerocarni, buttandosi a terra sotto un albero, stremato disse: “E manneja li muorti di lu mpiernu! Vidi quantu ndindi facia chidu strafuttutu previti di lu Spiniettu.” Tutti si misero a ridere, ma poi il viaggio riprese e nonostante le infinite difficoltà la comitiva giunse a destinazione. I quattro sacerdoti, una volta al cospetto del vescovo, consegnarono per prima cosa le due lettere, poi aprirono il dialogo spiegando per filo e per segno le ragioni per le quali don Luigi Anastasio non avrebbe potuto avere quella decorazione e supplicandolo con vera umiliazione. “Eccellenza, –dicevano- cacciateci da questa guerra perché in Paradiso non si va con la mozzetta”. Ma il vescovo da questo orecchio sembrava non sentire e ogni volta ribatteva con argomenti favorevoli all’investitura del reverendo Anastasio. I quattro sacerdoti, dopo aver provato tutte le buone maniere, in considerazione che il vescovo non si rammolliva, passarono anche alle minacce. A proferirle fu, per primo, il coraggioso reverendo Gerocarni che con tono risoluto disse: “Monsignore, se volete favorire il reverendo Anastasio, noi, invece di ritornare in Serra, da Squillace partiremo per Roma a consultarci con un dotto canonista, e qualora non avremo favorevole risposta, tornando a Serra il Clero rinunzierà in corpo agli onori della Collegiata, affinché il popolo sappia le vostre tenerezze verso il reverendo Anastasio.” Essere portato in tribunale in seguito al parere di un canonista e trovarsi, poi, di fronte alle dimissioni in massa di tutti i Cappellani della Collegiata e avere anche contro la popolazione serrese, non era certo per il buon vescovo di Squillace una bella prospettiva. Così, ascoltate quelle non certo tenere parole, l’anziano prelato comincio’ a balbettare, anzi, come dice il cronista, non proferì più parola, ma trovò solo la forza di dire: “Voi serresi siete molto focosi. Partite, che io scriverò al reverendo Anastasio affinché sospenda di vestire il Mozzetto!” Era fatta! Il vescovo aveva finalmente ceduto! Ma i quattro sacerdoti ‘testadura’ non partirono. “Noi stessi –così stabilirono – dobbiamo portare a Serra la lettera del Vescovo, diversamente faremo una frittata. Sì, non partiamo.” Tornati in locanda, per tutta la notte non riuscirono a prendere sonno. Quei letti sembravano di braci, i muri erano infocati e la stanza sembrava un Purgatorio a causa del caldo eccessivo della giornata. Il cronista dice che quella notte si sono arrostiti come San Lorenzo sopra la graticola. Il mattino seguente tornarono nuovamente all’episcopato e chiesero udienza. Il cameriere del vescovo cominciò a prendere scuse: “Oggi Sua Eccellenza è molto occupata.” Al che il solito Gerocarni rispose: “E noi staremo qui per oggi, per dimani e per molti giorni in Squillace, finché Sua eccellenza sarà comodissima a riceverci.” Detto questo, si sedettero nella sala d’attesa con l’intenzione di non rialzarsi più nemmeno con le cannonate. Al povero cameriere non restò altro da fare che riferire tutto al vescovo il quale, intesa l’antifona e comprendendo che non c’era altro mezzo per levarseli di torno, senza nemmeno riceverli, scrisse la lettera e dal cameriere stesso la fece consegnare. I quattro reverendi cominciarono a fare salti di gioia e, con la lettera in mano, si affrettarono a tornare. La notizia della destituzione dalla carica onoraria di cappellano del reverendo Anastasio si sparse in Serra a macchia d’olio e tutta la popolazione si radunò a San Rocco per accogliere trionfalmente i quattro sacerdoti al loro arrivo. In paese si fece festa grande e tutti mangiarono e brindarono felici di non essere stati sopraffatti da un sacerdote ambizioso, che voleva vestirsi delle penne del pavone per fare una bella mostra di se’ nella Chiesa di Spinetto. Immediatamente la lettera tramite il sacrestano fu consegnata al reverendo Anastasio il quale, riferisce il cronista, dopo averla letta impallidì “vedendo e leggendo in essa, la sua grande sconfitta”. Dovete, però, sapere che la cosa non finì lì, perché don Luigi Anastasio non si arrese e qualche giorno dopo…

(Continua...)

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