Rivista Santa Maria del Bosco - Serra San Bruno e dintorni

Serra, racconti al focolare: Angelo

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Angelo-vinicio gambinoAd occhio e croce poteva misurare si e no un metro di altezza. Su quel corpo gracile e   rachitico  vi era un viso da vecchio, sebbene non avesse più di venti anni, pieno di rughe e una bocca sdentata. Non poteva camminare per via delle gambe corte e il ginocchio valgo. Saltellava soltanto e per brevi tratti facendo leva su due minuscole stampelle; se il luogo da raggiungere era distante, il fratello lo portava a cavalcioni sulle spalle o  lo trainava sopra il carroccio agganciato con una robusta fune
Per la gente del paese era “ lu marduoccu “, forse per via del cognome Murdocco, ma per la combriccola che lo attorniava era  la “ lanatra “ ( l’anatra ) , forse  per il suo modo di muoversi sulle stampelle. I compagni che gli erano più prossimi costituivano una specie di Corte dei Miracoli  di cui disponeva a suo piacimento. Erano più piccoli di lui come età. Figli di povera gente vestivano con  abiti dismessi che qualche anima pia aveva loro dato e che essi indossavano senza far caso alla taglia; privi di scarpe, andavano a piedi nudi  in qualsiasi stagione tanto in estate quanto in inverno sotto la pioggia  e qualcuno anche nella neve.
I loro genitori erano preoccupati a procacciare il cibo per la numerosa prole . Le madri e le sorelle maggiori in primavera e in estate si recavano, quando ancora  era notte, in montagna per raccogliere i grossi  e lunghi rami (l’asschi ) di faggio o di abete che  trovavano  sul posto dove i boscaioli avevano lavorato le piante. Si  inerpicavano sulla montagna percorrendo viottoli quasi impraticabili  a piedi scalzi e  dopo aver composto li mazzi di ligna se li sistemavano sulla testa e con quel peso, che a volte raggiungeva anche  il mezzo quintale, ritornavano in paese a giorno ormai fatto e vendevano quella legna per una lira e mezza  massimo due.
Nelle altre stagioni si recavano nei boschi a raccogliere funghi o fragole per ricavarne, poi, un misero guadagno. Difficilmente riuscivano a mettere  insieme il pranzo con la  cena: il pasto era uno solo e consisteva in una minestra di verdure, che loro stesse andavano a raccogliere nei prati , oppure, alternativamente, in un piatto di fagioli  o riso o patate o castagne secche bollite.
I loro padri , quando trovavano qualche giornata , facevano i manovali o lavoravano la terra per conto di qualche proprietario, altri sostavano davanti ai pochi magazzini esistenti in paese in attesa che arrivassero i traìni da Pizzo per scaricarne le merci. Presi, perciò , da tali problemi di sopravvivenza non potevano curarsi dei figli, per cui godevano della massima  libertà: uscivano e rientravano a casa a loro piacimento in qualsiasi ora del giorno e a volte anche della notte senza rendere conto a  nessuno. Andare a scuola , poi , era un pensiero che nemmeno li sfiorava né a loro né ai loro genitori come non li sfiorava l’idea che l’acqua non serviva soltanto per dissetarsi .
Scorazzavano per i campi e gli orti a rubare la frutta matura e saporita o lungo la riva del fiume a caccia di trote che guizzavano nelle acque limpide dell’Ancinale.
Ciascuno di loro aveva il soprannome: Lola, Friz, Zuchiti, Sordiciedhu jancu, Gattujinnaru, Pitusu………mentre egli, il capo, era la  lanatra.
Stabiliva tramite la sua Corte quando era il tempo dei vari giuochi che i ragazzi del paese di norma praticavano: quello di li  pitirocia, di la  mazza e di lu spizzingulu, degli allegri motivetti  suonati con frischiotta e piditari in primavera e in estate; delle noci ai primi di ottobre, in occasione della festa di. S. Bruno.  Ed era lui che dava l’inizio e nello stesso tempo stabiliva il prezzo delle noci da vendere  ai ragazzi, dato che le botteghe di frutta e verdura non  le commerciavano.
In questo gioco primeggiava su tutti anche perché non disdegnava di mettere in atto qualche piccolo trucco come per esempio impiombare la noce più grossa ( lu bbadhu ), per renderla più pesante e più aderente al terreno nel suo breve tragitto, con cui colpire e sparpagliare le noci, già accastellate ad una certa distanza.
Verso la fine di settembre, primi di ottobre, mandava l’ Armata Brancaleone a fornirsi di

noci negli orti attigui al  paese che loro conoscevano bene per aver spesso razziato frutta, pannocchie, lattughe e a volte anche qualche gallina. Lungo il tragitto raccattavano dei pesanti pezzi di legno ( zzaccuni ) da lanciare contro i rami del noce e provocare la caduta dei frutti. Giunti sul posto, si acquattavano dietro le siepi di rovo per non essere visti dai contadini che non molto lontano preparavano  il terreno per la semina, mentre il più abile nel tiro, con rapidi spostamenti, si nascondeva dietro la pianta e, una volta accertatosi di non essere visto, usciva allo scoperto e con tutta la forza che possedeva lanciava  lu zzacuni  verso i rami maggiormente carichi di noci che cadendo causavano un leggero tonfo. E come fosse stato un segnale convenzionale,da dietro la siepe, con la velocità di un fulmine, sbucavano i compagni che le raccoglievano e le nascondevano tra pelle e camicia. E così ancora , sino a fare il pieno.
In estate, quando ad un certa ora avvertivano i morsi della fame, li mandava nelle campagne a rubare  frutta e loro, senza farselo dire due volte ,si avviavano verso quelle località  ad essi ben note e ritornavano, a seconda, carichi di prugne , mele , pere, ciliegie…. Angelo,in compagnia di qualche altro della combriccola, li aspettava seduto sui gradini della chiesa Addolorata e a loro arrivo mangiavano allegramente fino a saziarsi, non avendo altro con cui riempirsi lo stomaco.
Nessuno avrebbe potuto pensare che in quell’essere diseredato da Dio e dagli uomini vi albergasse un profondo sentimento di dignità  sia come persona sia  come italiano. Ecco due episodi.
 Da poco, a Serra, si era insediato un reparto di militari Alleati con lo scopo di ricavare dalle nostre montagne grosse partite di legname di faggio e di abete da destinare a uso bellico. ( Fu allora, con il loro arrivo, che conoscemmo il pane bianco fatto con la farina di cocco, la puzzolente “farinella” di piselli, le scatolette di saporita carnibiffa “corned beef –carne di manzo-“, le aromatiche sigarette “ Players – Navy  Cut “ nonché l’intramontabile schewing gum ).
 Il Comando Alleato era allogato in uno stabile sito sul Corso Umberto I  prospiciente Piazza S. Giovanni e proprio su questa piazza i militari inglesi organizzavano, nelle sere di estate, degli incontri di box tra ragazzini o giovanetti mettendo in palio : sigarette,  schewing gum, cioccolato….

Lo spettacolo era veramente spassoso: la gente si assiepava attorno ai contendenti per assistere agli inconsueti incontri, e li incitava con urla, applausi, fischi….  Spesso gli spettatori scoppiavano in fragorose risate quando i ragazzini nel tentativo di colpire con violenza l’avversario,  non cogliendo il bersaglio, trascinati dalla pesantezza dei guantoni facevano una piroetta su se stessi  e stramazzavano a terra.

Una sera Angelo si avviava sulle sue grucce ad assistere ad uno di questi incontri quando  vide cadere davanti ai suoi  piedi una sigaretta appena accesa. Guardò in alto e quando scorse un sottufficiale inglese affacciato al balcone che lo osservava con aria divertita, in segno di  disgusto prima sputò sulla sigaretta e poi  la spiaccicò con la stampella. Quindi, dopo aver rivolto con aria di disprezzo un altro sguardo al sottufficiale, con piccoli saltelli riprese il suo lento andare e sparì tra la fitta schiera degli spettatori.
Sempre in quel periodo, metà anni quaranta, era stato aperto il Cinema “Aurora”  ( all’epoca Zì-Zì )  e prima del film venivano proiettati i documentari della “ Fox-Moovietone “ in cui si esaltavano le azioni di guerra delle truppe alleate e sminuite quelle delle truppe italo-tedesche
 Nelle serate piovose e fredde, Angelo e i suoi amici sgaiattolavano furtivamente nel locale del cinema per assistere alla proiezione dei film e sedevano nei posti di prima fila, raramente occupati da altre persone, siti a meno di un metro di distanza da una ringhiera in legno che delimitava la platea dal proscenio. Non appena apparivano sullo schermo le trionfanti truppe alleate, da quella fila, ad un suo segnale si alzava una bordata di fischi, urla, battiti di piedi sull’impiantito di tavole mentre lui  batteva, con forza, le stampelle sulla ringhiera. A quel punto la proiezione veniva interrotta e Vito, la maschera, interveniva energicamente e a suon di pedate li sbatteva fuori dal locale.
Con il passare del tempo, Angelo e la sua compagnia mi passarono di mente. Mi ricordai di loro molti anni dopo,un giorno, quando da via Sette Dolori sbucai in piazza  Monumento dove si soleva riunire la Corte dei Miracoli. Chissà che fine avevano fatto!  dove erano andati a finire tutti quanti! E Angelo? Forse insieme a qualcun altro della compagnia, saltellando sulle sue minuscole stampelle, sarà andato a bussare alla porta del buon Dio per avere da Lui quella felicità che non aveva conosciuto sulla terra.

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