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Rivista Santa Maria del Bosco - Serra San Bruno e dintorni

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Il cruciverba in serrese

Gioacchino Giancotti
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La mano di Michelangelo nella Certosa di Serra

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Il quinto centenario della riapertura cinquecentesca della Certosa e della prima autorizzazione del culto di S. Bruno ad opera di Leone X si pone come un’occasione per conoscere anche aspetti poco noti della storia del monastero serrese, tra i quali occupa senz’altro un posto di rilievo quanto avvenne, nei decenni successivi al ripristino dell’osservanza certosina, riguardo alle “fabbriche” della Certosa e agli arredi della chiesa conventuale. Ne abbiamo notizia dal testo della visita apostolica di Mons. Andrea Perbenedetti (1629), finora solo parzialmente edito, una fonte preziosa perché, tra l’altro, informa della presenza di una
Cena del Signore, dipinta da Michelangelo Buonarroti e fatta venire da Roma, oggi dispersa. Di particolare importanza pure il gruppo di opere d’arte situate nella chiesa al di sotto della cupola, che viene detta ben fatta e dipinta: ai quattro angoli erano dipinti i quattro evangelisti, mentre nelle nicchie in basso erano disposte le sculture della Vergine Maria “ad cornu evangelii” dell’altare maggiore, la statua di S. Giovanni Battista “ad cornu epistolae”, più in basso a destra la statua di S. Stefano e a sinistra quella di S. Bruno, tutte attualmente conservate presso la Chiesa Matrice di Serra. L’altare principale non era ancora, al tempo della visita del Perbenedetti, quello fanzaghiano, commissionato all’artista bergamasco intorno al 1631 e ultimato, con il contributo artistico di Andrea Gallo, verso il 1650. Nel 1629, anno della visita, il vescovo di Venosa vide un  altare in marmo, mescolato a porfido, al quale si accedeva salendo tre gradini (due di porfido e uno di legno), con un baldacchino dorato ornato con figure di angeli e con un tabernacolo in legno. Nel coro alle sue spalle - adornato da stalli di legno cesellato disposti
tutt’intorno, di fronte ai quali erano sistemati gli inginocchiatoi - si entrava da due porte in marmo e porfido, su cui erano collocate le sculture della Vergine e di S. Gabriele Arcangelo oggi disperse. Nel mezzo del coro si trovava un leggio con i libri per la salmodia e per il canto, mentre alla sua estremità, vicino alla porta d’ingresso al capitolo dei monaci, era appesa una tavoletta sulla quale dei “segni” di legno indicavano a ciascun monaco l’altare dove avrebbe dovuto celebrare. A destra dell’altare principale si trovava l’altare dedicato a S. Stefano – nel quale c’è da ritenere fosse collocato il grande quadro di Bernardino Poccetti con la scena del martirio del santo risalente al 1608 – e a sinistra l’altare di S. Bruno. Al di sotto del piano di questo altare, interamente in marmo con filamenti di bronzo, era inserito un reliquiario splendidamente scavato a forma di cassetta – che una fonte successiva preciserà essere di piombo e con «cancellata bellissima di rame dorato d’avanti» – contenente le ossa di S. Bruno. A tal proposito occorre richiamare come un’ordinanza del Capitolo Generale del 1610 avesse, appunto, raccomandato al priore della Certosa calabrese di portare a termine la costruzione della chiesa, già cominciata, e il sepolcro «pro repositione Venerabilium Reliquiarium Sancti Patris nostri Brunonis». Il capo del santo era, invece, conservato in sacrestia dentro il busto argenteo risalente al 1516 e “protetto” dietro la tela dell’Annunciazione, attualmente visibile nella chiesa dell’Assunta di Terravecchia. Nella navata della chiesa, disposti lungo i due lati, si trovavano quattro altari e quattro cappelle per ogni lato, chiusi con cancelli di legno e ai quali si accedeva attraverso due porte poste nei pressi degli altari di S. Stefano e S. Bruno. Le porte delle cappelle corrispondevano l’una con l’altra e per loro tramite era reso possibile l’accesso a ciascuna cappella. Gli altari erano dedicati, da un lato, all’Immacolata, a S. Francesco di Paola, a S. Bruno e a S. Marco, dall’altro a Sant’Anna, Santa Maria Maddalena, alla Vergine e a S. Francesco d’Assisi. Il prospetto della chiesa era adornato con una statua della Vergine, posta nella nicchia centrale al di sopra della porta d’ingresso, e con le statue in pietra di S. Stefano e S. Bruno collocate nelle nicchie laterali in basso. La sacrestia era magnificamente arredata con abachi di legno, opera di un artista belga e tedesco e costati in tutto diciottomila ducati, nei quali erano inseriti dei tempietti scolpiti nella parte superiore in legno di palma. La clausura dei monaci era di forma quadrangolare ed aveva tutto intorno un portico con otto archi per ogni parte, separati da quattro colonne di pietra. Nel centro della clausura si poteva vedere una fonte di acqua zampillante e, vicino ad essa, un pozzo profondo, mentre in un lato, secondo le consuetudini dell’Ordine, si trovava il cimitero, in mezzo al quale si ergeva un colonna di pietra poggiata su sei gradini e sormontata da una colonna. La biblioteca era ubicata vicino alle stanze superiori del priore e vi si trovavano libri del valore di circa seimila ducati. In prossimità della biblioteca era stato sistemato uno spazioso aromatario, che forniva medicine non solo al monastero, ma anche ai luoghi più vicini. Insomma, un’autentica “città della preghiera” dalla quale elevare le proprie lodi a Dio.  

 

 

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