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Quando la terra trema. L’Iliade funesta del 1783 a Serra e in Certosa.

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Le recenti scosse del centro Italia e quella, per fortuna molto più lieve, con epicentro a Francica, ci hanno, per l’ennesima volta, ricordato che la catena appenninica, sulla quale il territorio delle Serre è ubicato, è ballerina, soggetta a movimenti tellurici, periodicamente interessata da fenomeni sismici, a tal punto che a uno di questi fenomeni, a causa della sua violenza distruttrice, venne dato il tragico appellativo di “Iliade funesta” proprio per richiamare quanto la sua forza sconvolgente avesse letteralmente travolto uomini e cose.  Diciamo, naturalmente, del terribile macro-sisma che il 5 e il 7 febbraio del 1783, con un’ulteriore devastante appendice il 28 marzo successivo, colpì anche Serra e la Certosa di S. Stefano del Bosco, insieme con molti altri centri della Calabria Ulteriore. La relazione del vicario Pignatelli al re Ferdinando IV - ripresa successivamente da Giovanni Vivenzio nella sua Istoria e teoria de’ tremuoti - fornisce una descrizione dettagliata dello stato degli edifici del monastero sconvolti dai movimenti tellurici: «Poco lungi dalla Serra - si legge nelle pagine pignatelliane - è collocato il famoso Monistero de’ Certosini sotto il nome di S. Stefano del Bosco, il cui recinto che costituisce la clausura è intatto, se non che minacciano rovina le sei torri costruite, come per ornamento del medesimo. Il Corridojo del Chiostro de’ Procuratori è caduto restando illesi i pilastri su cui poggiava. Le stanze di abitazione, poi, e la spezieria sono lesionate notabilmente. Il Chiostro de’ Monaci claustrali è in parte fracassato, ma delle lor stanze alcune si veggono diroccate e le altre inabitabili. L’Appartamento priorale è danneggiato nelle coperture e nelle Mura laterali. Il Refettorio ed uno de’ due Magazzini si scorge in parte rovesciato e l’altro conquassato, ma la volta del Lavatojo del pane, la Cucina e il piano che sta sulla Cantina sono quasi intieramente a terra. Nella chiesa si osserva caduta la Cupola, il Campanile e parte della volta, del Coro, e della Sagrestia. In mezzo a tante rovine non morì alcuno de’ Monaci che sono cinquanta. Si ebbe cura di porre in salvo l’Archivio, i preziosi arredi e gli Argenti, che ascendono a circa 1260 Libbre, compreso il legno e il ferro che vi è dentro i pezzi». Ma se dei monaci, come osserva Vivenzio, “non morì alcuno”, diversamente andarono le cose a Serra e nei paesi vicini. Infatti, nel paese e nel vicino villaggio di Spadola, sono ancora parole di Vivenzio, “molti Edificj furono rovesciati” per le prime due scosse del 5 e del 7 febbraio e le case che resistettero ai movimenti di febbraio vennero giù la sera del 28 marzo, restandone in piedi molto poche e, tuttavia, inabitabili. Nella “Serra di S. Stefano”, su 4623 abitanti, morirono 30 maschi, 8 femmine e 4 ragazzi, per un totale di 42 vittime, mentre nella più piccola Spadola (773 “anime”) persero la vita 3 persone in tutto (2 maschi e una sola femmina). Non andò meglio il triste conteggio in alcune zone limitrofe: a Simbario (“parte distrutto, e parte lesionato”) perirono 4 maschi e 5 femmine, a Torre si ebbero 3 vittime, a Soriano – un altro centro popoloso, con 3765 abitanti tra cui 65 frati dell’ordine dei Domenicani, che Vivenzio segnala come “distrutto” – morirono ben 63 maschi, 71 femmine, 37 ragazzi e due frati per un numero complessivo di 173 vittime. Pur avendo subito numerosi e importanti danni, a Brognaturo e a Fabrizia – un’autentica eccezione nella zona delle Serre e delle pre-Serre - tutti gli abitanti riuscirono a sopravvivere, laddove in quasi ogni altro paese, soprattutto nei comuni più vicini a Soriano (Vazzano, Pizzoni, Vallelonga, Gerocarne, Ciano, Dasà e così continuando), si contarono morti. Peraltro, lo sciame sismico, cominciato con le forti scosse di febbraio, non si arrestò nemmeno con il terzo, potente, movimento del 28 marzo successivo, ma durò ancora nella Calabria Ultra per mesi e anni, come testimonia, tra gli altri, il libro dei battezzati del parroco di Caulonia don Pasquale Lamanna in cui sono registrate un totale di 180 scosse fino al 19 aprile del 1787. Per la Certosa bruniana, tra le diverse fonti, bisogna anche ricordare una bella lettera del funzionario della Giunta di Cassa Sacra Carlo Romeo, spedita dal monastero di S. Stefano del Bosco il giorno di Natale del 1784: «Mentre mi tratteneva Giovedì mattina 23 corrente nella barracca di mia residenza in questa Real Certosa [...] si è intesa una terribile scossa di tremuoto oscillatorio della quale io non aveva mai avuta la disgrazia di sentire una simile in tutto il tempo della mia dimora in questa Provincia [...]. In questa Real Certosa cadde un muro laterale della chiesa che ne’ primi tremuoti non si era mosso, ed uno avanzo della Cupola che era in parte ruinata dal cornicione in giù; come ancora si sprofondò un Magazzino, dove era solito rimettersi il Grano per uso de’ Monaci». Molte altre scosse fecero seguito a questa nella stessa giornata e il giorno dopo, vigilia di Natale, «[...] se ne intese una ben gagliarda, che fu minore della prima, e maggiore di tutte le altre, che le aveano fino allora precedute. Nello stato presente continuano ogni ora, o due a darne altri segni, ma non sono di gran conseguenza». Eventi certamente lontani, ma, conoscendo la storia dei terremoti, avvenimenti oggi da non dimenticare, un monito per il presente, qualcosa con cui, inevitabilmente, fare i conti.

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