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Gioacchino Giancotti
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Serra: La ferrovia nei boschi di Santa Maria del Bosco

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la ferrovia a s maria
Dopo la pubblicazione della ricerca inerente “La Fabbrica di Cellulosa” di Serra San Bruno, scritta in tandem con la dottoressa Stefania Pisani, molti serresi, in particolare quelli avanti negli anni, ci hanno espresso gratitudine per aver rinverdito ricordi della loro lontana giovinezza. Quello che ha sorpreso noi autori è che molti di loro conservavano nitidi ricordi di quelle sbuffanti locomotive che all’interno dei boschi di Santa Maria trascinavano fino ai piazzali delle fabbrica di cellulosa i carrelli carichi di tronchi. Padri, zii e parenti di costoro lavorarono a vario titolo su quei convogli. Tra conduttori, carrellisti, frenatori e addetti al carico e scarico dei tronchi, si calcola che non meno di una trentina di persone lavorassero alla ferrovia.

    Essendo l’unica ferrovia ad aver attraversato il territorio comunale di Serra, vale la pena, specie a favore delle giovani leve del paese, fornire qualche sommario ragguaglio tecnico: era una ferrovia da lavoro a scartamento ridotto, del tipo “Decauville”, nota casa francese, ancor oggi usata in varie miniere e nelle foreste tropicali; le rotaie distavano sessantacinque centimetri l’una dall’altra; le traversine di supporto, ricavate da roverelle locali, erano poste a cadenza continua alla distanza di ottanta centimetri, annegate su pietrisco steso e ribattuto su letto di pietre di drenaggio. 

 

BINARI DELLA DECAUVILLE A SANTA MARIA (1910) 

Il percorso era studiato in modo da richiedere minime opere d’arte, pochi ponti di legno e rare spallette di contenimento. Ancor’oggi, nel corpo del canale emissario del cosiddetto “Guttazzu”, è possibile vedere un ponticello sotto cui transitavano i convogli. A monte, incastonato tra due muraglioni di pietre a secco, si spiana ancora un lungo tratto del vecchio letto dei binari. Le pendenze erano contenute nell’ordine del 20-25% e le curve erano di raggio adeguato al transito dei tronchi. Ai capolinea, tra i boschi e sul piazzale dello stabilimento, brevi tratti rettilinei, dotati di scambio girevole, consentivano alla locomotiva d’invertire la direzione di marcia e di agganciare i carrelli in senso contrario. Nei punti critici, in particolare nelle curve pericolose, un binario a doppia guida impediva la fuoriuscita dei carrelli e, all’interno dei capannoni e sui piazzali dello stabilimento, consentiva di ribaltare il carrello sul fianco per velocizzare lo scarico dei tronchi. Ogni carrello era assistito da freno manuale ed era dotato di un solo respingente centrale. All’inizio i carrelli erano serviti dal cosiddetto “freno a bastone” che funzionava facendo leva su di un asse collegato ad un leveraggio che a sua volta azionava le ganasce d’attrito. In un secondo momento la casa francese fornì carrelli equipaggiati con “freno a vite” che azionava le ganasce tramite la rotazione di un volantino a manovella. In entrambi i casi era necessaria attenzione, grande perizia e, principalmente, solidi muscoli. La locomotiva, guidata dal motorista, recava in cabina una cassa per il rifornimento del carbone. L’acqua era caricata alle testate della linea dove erano ubicati appositi serbatoi a caduta. Ogni convoglio era formato da una dozzina di carrelli e, nel comporlo, si usava l’accorgimento d’alternare un carrello con freno a vite ad uno con freno a bastone in modo tale che un solo operaio, seduto sui tronchi del carrello con freno a bastone, lo potesse azionare con i piedi e, contemporaneamente, fosse in grado d’azionare con le mani il volantino del freno a vite.  Di ritorno allo stabilimento i convogli viaggiavano per lo più in discesa e, in questa fase, la locomotiva seguiva svincolata, limitandosi a dare qualche spintarella al convoglio nei tratti pianeggianti. In funzione del notevole peso dei carichi, particolare cura era dedicata all’aderenza delle ruote sui binari, specie nei tratti di maggior pendenza dove il convoglio rischiava di acquistare eccessiva velocità. In salita i convogli viaggiavano per lo più vuoti, ma in discesa, quando erano a pieno carico, due operai, stesi carponi sul carrello di testa, uno per ogni binario, badavano a rilasciare sabbia sul binario di competenza in modo tale da aumentare l’attrito sui binari. Varrebbe la pena dirne di più, ma lo spazio a disposizione non lo consente. Pazienza. 

 

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