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Reduci di guerra serresi: ricordando Salvatore Iorfida, "Lu stivaliedhu".

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Salvatore Iorfida lu stivaliedu
Anche lui appartiene a quella generazione  cui la vita non ha riservato una gioventù felice. Nasce   a Serra San Bruno il 28.11.1919, gli piacerebbe molto studiare ma non può farlo la sua infanzia, infatti, è subito funestata dalla prematura scomparsa del padre che lo carica della responsabilità della famiglia imponendogli di badare alla madre ed alla sorella.  Fino a 15 anni frequenta le botteghe dei maestri falegnami Peppino e Salvatore Zaffino (Tutulì) prima e Salvatore Figliuzzi (Gisardo) dopo. Per portare qualche soldo in più a casa intraprende poi il più duro mestiere del boscaiolo che lo costringe a partire da casa per la montagna all’alba di ogni giorno  per farvi ritorno la sera stanco e consumato. A 16 anni vive personalmente la tremenda esperienza dell’alluvione che il 21.11.35 colpisce e devasta Serra San Bruno, lui sta dormendo al piano terra della casa della nonna sita al rione “Zaccano” e si accorge del pericolo solo quando l’acqua  l’ha ormai  travolto assieme al lettino sul quale è sdraiato. Con la forza della disperazione, chiamato ed incoraggiato a gran voce dalla nonna, che si trova al piano superiore della casa, riesce a saltare sui gradini della scala e ad aggrapparsi alle braccia della nonna che lo tira su e lo soccorre coprendolo coi primi panni che trova e riscaldandolo poi al “braciere”. Passano solo pochi anni da allora ed arriva la chiamata alle armi, deve presentarsi a Catanzaro il 05.02.1940 ma ritarda qualche giorno la partenza per passare la festa del Carnevale con la mamma e la sorella è un brutto momento, il distacco è tremendo, ma non c’è nulla da fare deve partire. Il giorno otto assieme ai suoi amici Dominelli Nazzareno (zenu lu bidellu), Monterosso Giuseppe (Peppi lu Zuccu), Manno Domenico(lu lindiniedu) e Bruno “di Franculinu”(non ricorda il cognome), che come lui sono chiamati alle armi, intraprende il viaggio. A Catanzaro rimane solo qualche giorno poi viene mandato a Napoli e da qui in un batter d’occhio e senza ricevere il minimo addestramento, intorno alla metà del mese di Marzo, imbarcato per Tripoli(Libia) destinazione 14° Reggimento Artiglieria – G.A.F.(Guardia alla Frontiera). Ma le sorprese non sono finite, arrivato a Tripoli, dopo pochissimo tempo viene assegnato alla Contraerei. E’ un esperienza tremenda la postazione ove si trova viene sempre di più martellata dai bombardieri Alleati che sganciano su di essa centinaia di bombe senza, fortunatamente, mai colpirla. Per tre lunghissimi anni rimane sotto le bombe ma svolge il suo compito con coraggio ed orgoglio non vuole morire e non tanto per se stesso ma per non lasciare sole la mamma e la sorella che sente sempre vicine sempre presenti nella sua mente. Intanto la battaglia incalza ed arriva il momento in cui gli Anglo-Americani sferrano un pesantissimo  bombardamento aereo-navale, le bombe arrivano da ogni dove, niente rimane in piedi, la città è distrutta ed il ns. esercito è costretto a riparare in Tunisia abbandonando tutte le postazioni e le poche ed inadeguate armi in sua dotazione. I soldati sono oramai stremati non ce la fanno più, la ritirata è tremenda, quanti uomini cadono per strada, quanti ragazzi non ritorneranno più a casa, quanti pensieri brutti attraversano la mente di Salvatore ma proprio in questo momento di così grande sconforto improvvisamente come per miracolo arriva il dispaccio del Comandante Supremo delle Forze Armate in Libia,Generale Graziani, che concede a tutti i soldati con sulle spalle tre anni di Africa il  rimpatrio ed una licenza premio di due mesi. Il beneficio lo riguarda direttamente e la sua gioia è immensa anche se per due mesi ritorna a casa non gli sembra vero però è proprio così. Alla fine della licenza viene inviato a Palermo (ancora zona di guerra) al 12° Corpo d’Armata ma qui è fatto prigioniero dagli Americani, subito dopo il loro sbarco, nel maggio dell’anno 1943. Viene catturato da un soldato americano con origini Napoletane che lo ferma non puntandogli le armi addosso ma gridandogli così: “Paisà statti buonu .... non avere paura non ti faremo del male siamo amici”. La prigionia non è durissima ma deve comunque lavorare sodo. Per un anno rimane a Palermo lavorando sia come falegname presso il locale Ospedale sia presso la centrale elettrica alimentata a carbone. Poi viene imbarcato su una nave civile e trasportato prima in Algeria e poi  in Inghilterra da dove  in treno viene trasferito in Scozia. Non lo trattano male, sono umani e perciò si considera fortunato rispetto ad altri suoi commilitoni che hanno avuto sorti diverse. Nel maggio del 1946 viene liberato e rimpatriato con una nave civile. Sbarca a Napoli e da qui con un treno “merci” arriva alla stazione di Pizzo. E’ stanco, non ha soldi, non ha niente da mangiare è una situazione bruttissima che non può accettare lui che ha dato i migliori anni della sua gioventù alla Patria, non ha esitazioni, non si perde di coraggio, si fa indicare l’abitazione del Sindaco di Pizzo e gli si presenta davanti, gli spiega la situazione e  quel Sindaco, immediatamente e con grande commozione gli dona ospitalità e cibo. Così rifocilato parte per Serra a piedi impiegando circa 12 ore per arrivare. All’arrivo è sfinito ma felice quando rivede la madre e la sorella commosso le abbraccia con forza e non riesce più a trattenere le lacrime ma sono lacrime di gioia nelle quali affoga tutto il passato che diventa così solo un brutto ricordo.

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