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Serra e la sua storia | Nella Chiesa Matrice un quadro certosino da conoscere.

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Alcune opere d'arte sono spesso incomprese. Avendole sempre sotto gli occhi diventano familiari, quasi una parte di noi, ma spesso non riusciamo a decifrarli. E' il caso di una delle due grandi tele collocate nel coro della chiesa Matrice, la Trinità con Santi Certosini, commissionata durante il priorato di dom Urbano Fiorenza da Badolato (1633 – 1636)  per uno dei bracci del transetto della chiesa conventuale dell'antica Certosa. Il dipinto fu oggetto di studi per diversi anni e variamente attribuito perchè la firma fu scoperta da Giuseppe Maria Pisani solo nel 1984. In un cartiglio posto in basso a destra si legge, infatti, “FRA.CUS CAIVAN….PINGEBA° 1633”. L'opera, di ottima qualità pittorica, rivela la non comune conoscenza dell’iconografia bruniana e dei Santi certosini. Nel 1992 Silvano Onda aveva ipotizzato la derivazione dello schema del quadro da un’incisione di Hieronymus Wierix (Anversa, 1553 – 1619) raffigurante i sette arcangeli, mettendo così in correlazione i certosini e le creature angeliche. Ma un altro riferimento utile alla comprensione dell’opera potrebbe essere ravvisato in una nota incisione di Jean Messager  tratta da un disegno di Jean Matheus che raffigura La Trinità e i Santi certosini. Al centro della composizione spicca San Bruno con in mano una palma che allude al salmo 92.12 Justus ut palma florebit, circondato da santi identificati dalle diciture poste ai loro piedi: B. Hugo Lincon. (Ugo di Lincoln), B. Dionisius (Dionigi di Rijkel), B. Stephanus (Stefano di Die), B. Antelmus (Antelmo di Belley), B. Birellius (Giovanni Birelli), B. Hugo Gratianop. (Ugo di Grenoble) e altri tre santi vescovi con mitria e pastorale privi di connotazioni identificative. La pala d’altare dipinta da Francesco Caivano condivide con questa incisione, oltre allo schema compositivo, l’identità dei santi certosini, ricondotti però a sette, numero che ricorre spesso nell’iconografia bruniana evocando la fondazione della prima certosa e il sogno di Sant’Ugo. Bruno, al centro della composizione, tiene in mano il ramoscello d’ulivo che allude al salmo 51.10 Ego autem sicut uliva fructifera in domo Dei relativo alla moltiplicazione dei suoi seguaci, alcuni dei quali divennero santi importanti, con una loro tradizione agiografica e relativi attributi iconografici. Si può agevolmente identificare Sant’Ugo vescovo di Lincoln a causa del cigno che lo seguiva sempre, simbolo di candore, ma anche Donigi di Rijkel il cui attributo è il demonio sconfitto, dipinto ai suoi piedi con ali di pipistrello. La candela accesa da mano divina è l’attributo di Sant’Antelmo vescovo di Belley mentre l’aureola sette volte stellata connota Ugo vescovo di Grenoble alludendo al racconto di carattere agiografico sull’apparizione onirica dei sette astri che annunciarono l’arrivo di San Brunone dei suoi compagni nella sua diocesi. Più problematica è la figura vescovile alla destra di S. Bruno il cui attributo è il libro tenuto insieme al pastorale che potrebbe identificarlo con Stefano di Chatillon vescovo di Die. Il certosino inginocchiato simmetricamente a Dionigi di Rijkel non è contrassegnato come gli altri da attributi iconografici ma il riferimento all’incisione sopra citata di Matheus e Messager potrebbe permetterne l’identificazione con Giovanni Birelli, generale dell’Ordine morto in concetto di santità, perché i due personaggi sono posti in una posizione simile. La pregevole opera, comunque, merita di essere indagata ancora più approfonditamente sia dal punto di vista iconografico che da quello stilistico, con particolare riferimento alla figura del suo autore, ancora quasi del tutto nell’ombra. Tuttavia, nella sua armonia compositiva, si nota una stridente dissonanza: le figure poste sopra il mondo, infatti, tra l’Eterno Padre e il Cristo, non sono da riferire al Caivano in quanto sono state aggiunte alla fine del XIX secolo da un modesto decoratore serrese, Federico Bosco (1834 - 1926). Anni fa l'opera ha subito un restauro da parte della Soprintendenza che l'ha ricollocata nel coro della chiesa usando delle viti che hanno forato la tela e il telaio per fissarla al muro! Per saperne di più: Domenico Pisani, La certosa di Serra San Bruno e la storiografia artistica in Certosini a Serra San Bruno. Il patrimonio storico e artistico, a cura di Domenico Pisani e Fabio Tassone, Serra San Bruno, edizioni Certosa, 2015, pp. 19 – 61.

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