Rivista Santa Maria del Bosco - Serra San Bruno e dintorni

Conferenza stampa di sabato 23 marzo: lancio del primo numero della Rivista Santa Maria del Bosco

20 anni di rivista
È nata esattamente 20 anni fa, quando alla guida del Santuario regionale vi era don John Betancur. La rivista “San Maria del Bosco” festeggia il traguardo raggiunto e si consolida grazie ad “una giusta e preziosa squadra e nonostante le intemperie dei tempi, le gelosie e il tentativo vano di sgambetti altrui”. Ad illustrare il lancio del primo numero di quest’anno, durante un’apposita conferenza stampa svoltasi nella sala Giunta, è stato il “regista” dell’operazione Domenico Calvetta che ha preliminarmente ringraziato “i collaboratori volontari del giornale, gli sponsor e i segnalatori esterni che ci danno le informazioni utili e necessarie”. “La rivista – ha spiegato Calvetta – è trimestrale e coincide con le stagioni e le feste che cadono nell’anno solare: la prima rivista sarà presente il prossimo Giovedì Santo, corrisponde alla primavera e quindi alla Pasqua; la seconda verrà pubblicata in luglio, quindi in estate per la festa di Ferragosto; la terza in autunno e quindi coincide con la festa di San Bruno; la quarta coincide con l’inverno e quindi con il Natale”. Invece ogni settimana, sul sito e sui gruppi che appartengono alla rivista, vengono pubblicati articoli, comunicazioni, segnalazioni dei lettori, servizi fotografici. Gli scopi del giornale sono “la promozione del territorio e la ricerca della bellezza in senso lato in tutti i campi e settori: storia locale, tradizioni, foto ed immagini, arte, recupero del dialetto serrese e calabrese”.

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In riferimento alla copertina del primo numero annuale, dopo una cernita su una ventina di proposte, è stata scelta “un’immagine forte e drammatica della deposizione di Cristo dalla Croce dipinta dal grande Caravaggio. Un Cristo uomo morto privo della sua sacralità come ogni essere umano, un cadavere martoriato da ematomi e ferite sanguinanti che davvero rappresentano la sofferenza di questo mondo. La sua resurrezione – ha spiegato Calvetta – è lontana ed impensabile per il suo autore perché oggi come allora il mondo macina male, malattie, distruzione e infelicità. Ma la pecularietà di essa è il nesso speciale che lega questa opera alla serresità, nel senso che è stata materialmente dipinta e riprodotta, con elementi aggiuntivi e originali, dal noto artista

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Vitantonio Tassone e poi però ricollocata e posizionata con finezza grafica da Marco Calvetta in un contesto diverso da un museo, appunto come copertina-vetrina di un giornale, evidenziando così la potenza della scenografia”. Scendendo nei dettagli, Calvetta ha sottolineato che “per alcuni autori la Morte era liberazione e sublimazione, mentre per il Caravaggio è soltanto la fine del percorso terreno, l’enimma della tomba. Il Cristo è morto ed è privo della sua divinità. In questo dipinto la Resurrezione è lontana anzi non esiste. Non è più il Cristo uomo pieno di vita che aveva fatto i miracoli, che aveva resuscitato Lazzaro o che baciava la Maddalena sulle labbra fra la gelosia degli altri discepoli. È un cadavere come tutti gli altri. I 5 personaggi presenti, illuminati da un luce potentissima riflessa che investe le loro sagome, plasticamente effigiate in una cromatura armonica che colpisce anche il semplice spettatore. Affiora nei volti un dolore e una disperazione composte, le braccia rivolte ad un cielo nero che non può rispondere”. (prosegue dopo la copertina)

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Va inoltre precisato che i contenuti del giornale sono volti alla promozione culturale del territorio e costituiscono un invito alla nuove generazioni di tornare a leggere libri e giornali e a scrivere anche di pugno.

Alla conferenza è intervenuto il sindaco Alfredo Barillari che ha evidenziato “l’importanza dell’iniziativa culturale” riconoscendo alla rivista “il merito di divulgare informazioni e riflessioni rafforzando l’identità del territorio”.

Presenti – oltre ai rappresentanti della redazione del giornale Domenico Calvetta, Maurizio Onda e Antonio Franzè – anche diversi esponenti di associazioni locali: Domenico Dominelli e Bruno Pisani per “Incrociamenti”, Bruno Tozzo “Civitas Bruniana”; Maria Gabriella Letizia, Francesca Scordo e Cristoforo Scordo per “Terre Bruniane”; Angela Ciconte per “Femmina” Angela Ciconte; Franco Giancotti per la Pro Loco.copertina marzo2024

 

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Perché le donne non possono entrare nella Certosa?

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Quando eravamo bambini, gli anziani ci dicevano che le donne non potevano entrare nella Certosa altrimenti avrebbero tremato le mura del monastero… Ma era una pia bugia: la verità non è certamente questa. Cerchiamola.
Secondo la legislazione ecclesiastica, negli Ordini di vita contemplativa (sia maschili che femminili) vige la clausura papale, cioè vige quel tipo di clausura dalla quale soltanto il papa può dispensare.
La clausura (dal latino claudere) può essere definita come un recinto sacro che separa le persone consacrate dal mondo circostante. Il termine di clausura ha due significati. Nel senso formale indica la norma canonica che regola l’ingresso e l’uscita nelle case religiose; in questo senso è una legge positiva della Chiesa che riserva un ambiente destinato ai religiosi o alle religiose. Nel senso materiale indica l’ambiente stesso (casa, chiostro, adiacenze, giardino, chiesa ecc.) destinato ai religiosi/religiose, e sottoposto alla legge canonica della clausura.
La professione di vita separata dal mondo e consacrata al Signore è antichissima nella Chiesa: risale alla seconda metà del secolo III o al principio del secolo IV, e se ne può trovare una testimonianza nella vita di S. Antonio abate, scritta da S. Atanasio.
Il concilio di Trento difese questa antica istituzione e proibì l’ingresso di estranei in clausura con la sanzione della scomunica. La ragione fondamentale fu la custodia del voto solenne di castità. Ma, nei secoli successivi al concilio, acquistarono maggior rilievo altri valori spirituali quali una migliore facilità alla contemplazione, una espressione di povertà evangelica ed una esigenza ascetica della sequela di cristo nella vita verginale e povera e mentre prega solo sul monte.
Le leggi canoniche del concilio di Trento sulla clausura si estesero a tutti gli Ordini religiosi e rimasero immutate fino alla promulgazione del nuovo Codice di Diritto Canonico (1917). Da questa data fino al concilio Vaticano II si ha un crescente apprezzamento della vita claustrale come testimonianza di valori escatologici e teologali. Ecco quanto hanno autorevolmente affermato i Padri conciliari nel Vaticano II: «gli istituti dediti interamente alla contemplazione […] conservano sempre un posto assai eminente nel Corpo mistico di Cristo», ma «il loro genere di vita sia tuttavia riveduto secondo i principi di rinnovamento, nel pieno rispetto però della loro separazione dal mondo» (Decreto Perfectae caritatis, n. 7). Il motu proprio Ecclesiae sanctae del 6 agosto 1966, che presenta le norme per l’attuazione del decreto conciliare Perfectae caritatis, afferma che «il diritto particolare… può, secondo lo spirito e la natura dei singoli istituti, stabilire norme più severe circa la clausura» (art. 9).
Come si può notare, anche dopo il Vaticano II la Chiesa non ha ritenuto opportuno modificare lta disciplina della clausura, e in occasione della visita a Serra, il 5 ottobre 1984, Giovanni Paolo II non ha voluto levare la clausura e fare entrare le donne in Certosa.
Cerchiamo ora di porre la questione nella luce più giusta e vera. L’uomo e la donna sono stati creati per stare insieme, e la donna, secondo la Bibbia, è stata creata per far uscire l’uomo dalla sua solitudine. Invece i nostri monaci e le nostre monache vivano separati: quindi, conclude qualcuno, vanno contro il piano di Dio.
Ma vivono separati dalle donne anche i monaci del Tibet… (Si ricordi che i monaci del Tibet non sono di religione cristiana, eppure anche loro hanno scelto la solitudine: il termine monaco significa colui che vive solo e da solo). La solitudine e la separazione dal mondo, infatti, fa parte del monachesimo come tale.
Ma oggi i tempi sono cambiati, dicono alcuni, e anche nella stessa Chiesa la posizione della donna è mutata: lo attesta lo stesso Vaticano II nella Lumen gentium: «Nessuna ineguaglianza quindi in Cristo e nella Chiesa per riguardo alla stirpe o nazione, alla condizione sociale o al sesso, poiché “non c’è né Giudeo, né Gentile, non c’è schiavo né libero, non c’è né uomo né donna: tutti voi siete uno in Cristo Gesù”» (n. 32).
Allora, perché le donne non possono entrare in Certosa? Non si è rimasti prigionieri di una mentalità arretrata? Non si disubbidisce perfino al dettato del concilio?
Con la loro clausura, i monaci non intendono affatto condannare il sesso femminile come se fosse occasione di peccato o di seduzione, e neppure la clausura serve a difendere la eventuale debolezza dei monaci. Chi pensa questo, possiede una mentalità ancora legata a categorie ereditate dal passato. Il monaco vede le realtà del mondo in una maniera diversa da come le vedono gli uomini del mondo, e il suo voto di castità non significa disprezzo della donna, ma amore per tutte le creature, ad un livello più alto del comune amore umano. Se il monaco rimane solo, è per poter meglio essere disponibile all’incontro col Solo, Dio.
A quanto detto sopra c’è da aggiungere che, in questi ultimi tempi, le visite in Certosa sono state eliminate anche per gli uomini, proprio perché nulla disturbi il silenzio e la solitudine del chiostro, accanto al quale i monaci trascorrono le loro giornate tra lo studio, la preghiera ed il lavoro.

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