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Rivista Santa Maria del Bosco - Serra San Bruno e dintorni

Domenico Calvetta
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Il cruciverba in serrese

Gioacchino Giancotti
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Corajiesima bambola
Dopo le baldorie e le scorpacciate del martedi grasso che volevano la morte di Re Carnevale, in molti centri calabresi, fino a non molto tempo fa, ma a dir la verità, ancora in uso in qualche luogo, apparivano qua e là delle curiose, e a volte inquietanti, bambole di pezza penzolanti da balconi e finestre.
Corajesima, ossia la vedova di Carnevale, vestita a lutto, che indicava la Quaresima.
Una bambola di pezza, rudimentale tempo fa, e più curata oggi, vestita di nero, poggiava su una patata o un agrume dove erano conficcate sette penne di gallina; sei uguali e una di colore diverso. In mano un fuso che simboleggiava lo scorrere dei giorni verso la Pasqua ed alcune, anche con una collana di fichi secchi o altro. Le sette penne simboleggiavano le domeniche quaresimali e ogni domenica, dopo la messa, se ne staccava una, lasciando per ultima quella di colore diverso. Lo stesso, ogni domenica veniva levato un fico secco o quello che c'era sulla collana, in genere, roba mangiareccia che indicava il digiuno della quaresima.
In passato era preso molto in considerazione, il digiuno quaresimale.
Corajiesima bambola1
Gli adulti stavano molto attenti a non "cammararsi" (fare peccato mangiando carne il venerdi) e facevano di tutto per proibirlo anche ai bambini. Per distoglierli dalle tentazioni, anche dolciarie, che erano inutili, usavano impaurire i bambini dicendo loro che Corajesima avrebbe preso loro, " i cannarozza" (la gola) per bollirla e mangiarsela.
Molti bambini sono cresciuti con quell'assurda paura...
Il giorno di Pasqua, la bambola veniva bruciata sul davanzale dove poggiava, in segno di buon augurio, portandosi via tutte le negatività.
Fortunatamente, col tempo, la bambola di pezza dalle sembianze inquietanti, é andata scomparendo dalle vie.
Oggi se ne vede qualcuna in giro, ma é più un ritorno folkloristico. Un attaccamento alle tradizioni, tralasciando al passato, le usanze superstiziose che hanno accompagnato e segnato la vita dei nostri nonni.

Scatti realizzati da Nerofumo Production 

Carmelo Stilo
Nasce a Condofuri(RC) il 09.02.1922 ma vive a Serra San Bruno sin dal 1953 felicemente sposato con una donna serrese. Trascorre i primi 20 anni della sua vita nel suo paese natio assieme ai genitori ed ai suoi sei fratelli e quel periodo ricorda ben volentieri e con nostalgia, anche se i tempi non erano belli ma ciò nonostante lui viveva tranquillo cercando di trovare ed imparare un mestiere che gli consentisse da grande di vivere serenamente. Nel gennaio dell'anno 1943, però, anche per lui arriva la chiamata alle armi ed il giorno 18 dello stesso mese deve partire con destinazione Treviso. Da qui, dopo neanche quattro mesi di permanenza e addestramento, assegnato alla Divisione “Macerata”, viene mandato in Croazia prima in un città e poi in un'altra entrambe situate sicuramente nelle Regioni Alpine ma delle quali non ricorda con precisione il nome. In questo Paese, dove a seguito dello scoppio del conflitto quasi tutti gli uomini giovani e meno giovani sono confluiti nelle file dei Partigiani, il compito che assieme agli altri suoi commilitoni gli viene assegnato, è proprio quello di scovare ed arrestare questi combattenti. Ma la cosa non è certo facile, tutt'altro, nessun Croato infatti aiuta la nostra armata in questa missione ed anche quelle poche persone che in un modo o nell'altro si spacciano per amici e confidenti, devono sempre essere presi col beneficio d'inventario perché spesso e volentieri non sono altro che infiltrati nemici, con il compito ben preciso di scoprire e riferire le nostre mosse e strategie ai loro connazionali combattenti. Ciò nonostante il nostro soldato ed i suoi commilitoni, superando anche le grosse difficoltà causate dall'inclemenza del tempo e da un equipaggiamento sicuramente inadatto ed insufficiente, rastrellano continuamente il territorio loro assegnato rimanendo spesso fuori dal campo per periodi superiori ai 60 giorni e costretti ad accamparsi alla meno peggio in luoghi impervi e sconosciuti, affrontando con immenso coraggio il pericolo assai alto delle imboscate. Certo i risultati ci sono, in quanto tanti combattenti nemici vengono scovati ed arrestati ma a caro prezzo, in quanto le perdite tra le nostre file sono molte a causa degli scontri feroci dovuti soprattutto al fatto che mentre i nostri cercano di catturare vivi i nemici, questi ultimi aggrediscono soltanto per uccidere o essere uccisi. Un episodio in particolare colpisce Carmelo, un episodio talmente cruento e feroce che lascia in lui un segno indelebile che ancora oggi, nonostante il lungo lasso di tempo intercorso da allora, non riesce a scacciare dalla sua mente. Durante l'intervista, nel raccontarlo, per ben tre volte si ferma con la
voce commossa e le lacrime agli occhi. Nel corso di uno dei tanti rastrellamenti il suo battaglione, mentre sta percorrendo una valle, viene sorpreso ed attaccato dai combattenti nemici che ivi gli tendono una tremenda imboscata. E' un attacco ben preparato che evidenzia inconfutabilmente la perfetta conoscenza che gli avversari hanno dei nostri movimenti. Sono posizionati sulle alture che fiancheggiano la vallata ben attrezzati e con l'artiglieria ben posizionata, al passaggio dei nostri fanno fuoco a volontà ed è una carneficina i morti si contano a decine, non c'è possibilità di difesa, non c'è scampo, bisogna soltanto ritirasi e cercare di limitare le perdite. Carmelo vede i suoi compagni cadere colpiti da ogni parte ma non demorde ed alla fine, aiutato anche dalla buona sorte, riesce a salvarsi ed a raggiungere il campo. A causa dell'inclemenza del tempo (neve, freddo e ghiaccio) solo dopo 15 giorni si riesce a tornare sul posto per raccogliere i corpi dei caduti ma ivi giunti si scopre una cosa orrenda, non degna di chi combatte una guerra da qualunque parte esso stia, i Croati non si sono accontentati di uccidere ma hanno anche spogliato i cadaveri portandosi via equipaggiamento ed indumenti e lasciando quei corpi senza vita nudi sul posto. Terribile…. unico conforto, diciamo così, per i nostri è quello di essere riusciti a raccogliere tutte le salme dei caduti e di aver dato loro una degna sepoltura in un cimitero del luogo. Con le lacrime agli occhi Carmelo ribadisce: “non scorderò mai quell'orrenda carneficina, quei giovani corpi massacrati, denudati e lasciati lì a marcire nel fango e nella neve”. Dopo quasi due anni di Croazia viene rimpatriato ed in treno, assieme ad altri compagni, portato a Fiume(PN) ma qui la situazione è ormai fuori controllo, nessuno sa che ordini impartire e per di più i Tedeschi, che battono ritirata, pretendono da lui e da tutti gli altri soldati Italiani la consegna delle armi. Non trovando alcun punto di riferimento, assieme ai commilitoni, decidono di non fermarsi e proseguire per Trieste e questa decisione sicuramente evita loro di essere fatti prigionieri. Giunti a Trieste, esausti, senza soldi e senza viveri, vengono calorosamente accolti dai triestini che li portano nelle loro case, li rifocilano, li fanno riposare e danno loro abiti puliti e borghesi. Dopo qualche giorno di riposo sempre a piedi riparte, assieme ad altri commilitoni meridionali, alla volta della Calabria, il viaggio è lungo e pesante, si segue costeggiandola la linea ferroviaria sperando così di accorciare il tragitto ed evitare pattuglie nemiche, si mangia soltanto la frutta (soprattutto uva e angurie) che si trova nelle campagne e nei campi che si attraversavano. Dopo circa 31 giorni di cammino arriva a Reggio Calabria dove si ferma, accolto calorosamente da suoi parenti che ivi vivono, il tempo necessario per mangiare qualcosa e riposarsi un poco. Riparte quindi, sempre a piedi, per Condofuri e quando arriva con grande gioia riabbraccia il padre, la madre e le cinque sorelle non trova il fratello Bruno che apprende essere prigioniero in Grecia(anche lui poi rientrerà a casa). Essendo ancora militare si presenta poi presso la locale Stazione dei Carabinieri per mettersi a disposizione. Viene mandato per svolgere servizio di ordine pubblico prima a Catanzaro Lido, poi a Crotone, poi ancora a San Giovanni in Fiore, quindi a Serra San Bruno. Con la firma dell'Armistizio che da lì a poco arriva, finisce la sua avventura militare ma continua il suo rapporto con Serra San Bruno dove tutt'ora vive assieme alla sua famiglia.

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