sfondo-RM-2023

Rivista Santa Maria del Bosco - Serra San Bruno e dintorni

Domenico Calvetta
Marco Calvetta
white_search.png

DOVE CI TROVI

  • Profumo di Pane
  • Coop Serra San Bruno
  • La Bottega del Pulito
  • Serfunghi di Luigi Calabretta
  • Edicola Grenci
  • Bar Scrivo
  • Congrega Assunta di Terravecchia 
  • Museo della Certosa
  • Istituto Einaudi
  • Edicola Barillari
white_tick.png

Donazione

Aiutaci a sostenere la rivista! Fai una donazione spontanea.

Amount:


Otticairene
Different
Non solo frutta delle 2 P

Il cruciverba in serrese

Gioacchino Giancotti
A+ A A-

Mastropietro Gaetano
E’ stato a lungo difficile scrivere questo ricordo su mio zio Gaetano soprattutto perché non l’ho conosciuto di persona ma tramite i racconti familiari di mia madre, sua sorella Francesca, di mio zio, suo fratello Gabriele, di mia nonna, sua madre M. Grazia Amato e di alcuni vicini di casa in Vico Cesare Battisti, nel rione ‘Schicciu’ di Serra San Bruno. Mio nonno Rosario, padre di Gaetano, parlava pochissimo di questo figlio, restava chiuso nel suo sordo dolore che di tanto in tanto interrompeva in un pianto muto, fatto solo di lacrime silenziose nascoste dietro un fazzoletto, mascherate da uno starnuto o un raffreddore, una particolare tirata del sigaro o della pipa, per non turbare o impressionare noi piccoli. Dunque, scrivere di zio Gaetano significa dal mio punto di vista, svelare l’intimità dell’affetto e del dolore familiare per la sua immatura e grave perdita, avvenuta all’età di 24 anni durante la guerra d’Africa del 1935. Nato a Serra San Bruno nel 1911 da Rosario e Maria Grazia Amato, Gaetano era il primogenito di tre figli; apparteneva a famiglie di parenti collaterali quali: Amato, Giancotti, Scicchitano, Onda, mentre i parenti della linea paterna erano i Mastropietro, Ariganello e Vavalà. Gaetano Mastropietro – Fotoritratto inviato dall’Etiopia (1935) Mia madre, Francesca, sposata dal 1958 con mio padre, Eduardo Letizia sr., durante la mia infanzia parlava molto spesso, in modo divertito e sereno del fratello Gaetano. Ci raccontava che lei era la più piccola dei tre figli, e per questo ricordava sopratutto i giochi infantili che aveva con lui condiviso per soli 10 anni; ci riferiva della passione di Gaetano per la bicicletta e le gare ciclistiche che organizzava in paese con i suoi coetanei. Soprattutto questi racconti hanno creato intorno a noi nipoti, fra il 1965 ed il 1975, un’atmosfera di presenza affettiva dello zio Gaetano che, intimamente, abbiamo sempre considerato e voluto bene intensamente. Mia madre, meno serenamente, commossa e amareggiata, ci parlava del nero del lutto che aveva portato, non solo nell’abbigliamento, da 10 a 15 anni. Infatti, allora era usanza, nei casi di lutto più grave, oscurare tutte le finestre della casa con pesanti e neri tendaggi. Ci racconta ancora oggi di quei tendaggi che si consumarono appesi e furono tolti dopo circa sei anni dalla morte di Gaetano.
Lo zio Gabriele, il secondogenito dei figli, procuratore dell’Ufficio delle Imposte Dirette di Serra San Bruno fino al 1985, aveva un rapporto molto vicino con la mia famiglia e ricordava a noi nipoti del fratello Gaetano portandoci in regalo le biciclette: ci raccontava con orgoglio di una delle prime Bianchi che aveva zio Gaetano e di come sfrecciasse per le strade di montagna durante le corse agonistiche, o con altri appassionati di ciclismo fra cui Giacomo Barillari (fratello di Peppe, più conosciuto come Pippusedda). Ancora, ci raccontava che lo zio Gaetano, finite le scuole medie/professionali, seguiva il padre Rosario, di mestiere scalpellino, alla Petra di l’Ammienzu dove lavoravano alla cava di granito con mazzetta e scalpello (‘ndrillu) 2 collaborando a realizzare opere di arredamento urbano quali fontane, pavimentazione stradale per il paese ed i suoi dintorni. Con il granito realizzavano anche parti di abbellimento per le case e oggetti ad uso domestico: architravi, soglie ed atrii per i portoni d’ingresso, frontali e basamenti per balconi, forni a legna, caminetti, macinini per il peperoncino, scale e qualche pezzo cesellato come la statua di un cane per adornare i caminetti e diversi mortai da cucina. Gaetano esprimeva le sue abilità artistiche, oltre che nell’intaglio del granito, anche nella lavorazione e scultura della creta. Con questa tecnica aveva realizzato pastori per il presepe e una riproduzione scultorea della “Strage degli innocenti”, ispirata con terribile e raccapricciante efficacia all'episodio del Vangelo secondo Matteo (2,1-16). Quest’ultima opera, secondo le tradizioni religiose di allora, doveva essere esposta in chiesa alla fine del periodo natalizio. Quell’anno, malauguratamente, il Natale fu preceduto dalla partenza per la guerra d’Africa e dalla morte di Gaetano, perciò mia nonna custodì e abbandonò quelle opere in soffitta dove con il tempo si rovinarono. Io, studiando storia alle scuole medie, cercavo con attenzione notizie di quella guerra sui libri e le riferivo ai miei fratelli e sorelle ricordando che nostro zio Gaetano aveva perso la vita come soldato del X^ Genio in Africa Orientale, insieme a 4.350 tra soldati e civili italiani. Si trattava della guerra d'Etiopia, nota anche come campagna d'Etiopia o guerra d'Abissinia, e fu condotta dal Regno d'Italia contro l'Impero d'Etiopia, a partire dal 3 ottobre 1935. La guerra si concluse dopo sette mesi di combattimenti con l'invasione totale del territorio etiope e con l'assunzione della corona imperiale da parte di re Vittorio Emanuele III (cosiddetta "Proclamazione dell'Impero"), il 9 maggio 1936.
Mastropietro Gaetano con amici
La guerra non fu tuttavia armata solo per principi di colonialismo ma fu caratterizzata dalla personalità mitomane del dittatore Benito Mussolini deciso a raggiungere l'obiettivo imperiale ad ogni costo, per essere presente in tutti i possibili teatri di crisi, per garantirsi un protagonismo globale. Angelo Del Boca è stato il primo storico a dare una lettura molto critica del colonialismo italiano3 , del quale ha denunciato i crimini: uso massiccio di armi chimiche, creazione di veri e propri campi di concentramento, deportazioni e uccisioni di massa. Il conclamato trionfo, che segnò il culmine del favore (e fervore) popolare verso Mussolini, segnò anche l'inizio di una guerra di resistenza locale che tenne impegnate le truppe italiane fino al 1941, anno in cui gli inglesi attaccarono la colonia etiope e misero fine al sogno imperiale fascista. Un sogno breve e, nonostante le atrocità, oggi ben note dopo l'apertura degli archivi di Stato e la pubblicazione di montagne di documenti, considerato persino "innocente". Da altri fatti, approfonditi successivamente sulla recente ricostruzione storica di Eugenio Di Renzo4 , apprendevo che il Duce Mussolini in quella guerra non esitò ad autorizzare il maresciallo Pietro Badoglio e il generale Rodolfo Graziani ad impiegare armi chimiche per superare la resistenza etiopica e accelerare la vittoria. L’Italia fascista seguì «un itinerario lento, tortuoso, contraddittorio, ambivalente, aperto alla possibilità di brusche inversioni di rotta». Successivamente, a maggio 1936, cominciò una guerra segreta, senza comunicati, nascosta dalla censura, nel corso della quale restarono uccisi dieci volte più soldati che nella guerra ufficiale. Le circostanze che portarono alla morte di Gaetano non furono le armi bensì una malattia: informarono la famiglia che aveva contratto la gastroenterite acuta causata dalle condizioni igienico-sanitarie e climatiche africane e che, sul campo di battaglia, non fu possibile curare! Ma chi può escludere l’azione delle armi chimiche? Comprendemmo i particolari della morte di zio Gaetano, tramite il racconto di mia nonna Grazia, di sua madre, che da un giorno all’altro vide richiamare il giovane figlio in guerra e appena due mesi dopo, ricevette la notizia della sua morte avvenuta il 9 dicembre 1935. Le arrivò una lettera postale inviatale dal cappellano del Cimitero Militare Italiano di Adigrat e vi era acclusa una fotografia in cui era raffigurato il cappellano vicino alla tomba di Gaetano. La lettera spiegava che il cumulo di pietre sulla tomba, era a difesa dei possibili attacchi di animali feroci. Successivamente sulla tomba fu costruito un monumento in cemento e puntualmente i miei nonni ricevettero le fotografie che dimostravano la dedizione ed il rispetto per i morti di quella terra, con la presenza ed il gesto di saluto di due àscari5 e del cappellano militare. Una settimana prima dell’arrivo di quella prima lettera funesta, un vicino di casa di mia nonna (marito di Rosa La Paledda) ne ebbe il terribile presagio in un sogno durante il delirio febbrile per una grave malattia. Il giorno dopo, la moglie turbata da quella che interpretò una premonizione di suo marito, raccontò a mia nonna il sogno in cui Gaetano, arrivava in bicicletta, magro e molto abbronzato dicendo che si trovava “sotto le pietre dell’Africa”. Mastropietro Gaetano è stato ricordato dal Comune di Serra San Bruno con la dedica di una piazza e di una via del paese; il suo nome è impresso su una delle lapidi del monumento ai Caduti in piazza Azaria Tedeschi. Noi nipoti da piccoli andavamo spesso a giocare e girare in bicicletta in questa piazza. Guardavamo quella lapide, leggendo il suo nome e contemplavamo con affetto quei luoghi quasi come la sua ‘casa’. Mia nonna morì a 90 anni, nel 1973, portando il nero a lutto e recitando quotidianamente una preghiera composta da Peppino Barillari per la commemorazione della morte di Gaetano. A me è stato sempre chiaro che quella preghiera, al di là delle espressioni di fede, proprio per la nota visione politica socialista dell’autore, riflettesse la censura e il controllo di quei tempi, il favore (e fervore) popolare verso Mussolini, ma anche la paura ed il terrore scaturiti dal sogno trionfale imperiale fascista: “O Gesù, prostrata ai piedi della tua Croce, come la Tua dolce Mamma, imploro o Redentore del mondo, ristoro al mio dolore, sollievo alle mie pene.
A Te o mio Gesù, affido l’anima buona del mio figliolo che, ventiquattrenne, è volato in cielo, mentre con le balde legioni di Roma in terra d’Africa, presidiava i destini della Patria. Accogli o Gesù la mia preghiera di madre Italiana che, fiera del mio dolore di aver dato il figlio alla Patria, lo offro a Te in olocausto, invocando la Vittoria delle nostre Armi che, sotto l’egida del Tricolore, portano in trionfo la Tua Croce, faro di luce e di civiltà”. Io, ascoltavo queste parole di preghiera di mia nonna e le trovavo dissonanti, aspre e ingiuste rispetto all’afflizione e alla sofferenza reale di cui ero invece ogni giorno testimone. Ricordo mia nonna, finchè fu in vita, sempre afflitta dall’ angoscia di poter ricevere la salma del figlio che però fu riportato in Italia dopo il tempo necessario per la sua riesumazione: 40 anni! Dopo un anno dalla morte della madre e tre mesi dopo la morte del padre. Gaetano (le sue spoglie) nell’ ottobre del 1974, fu accolto, insieme a tanti altri caduti in guerra, con una solenne cerimonia militare e religiosa prima a Catanzaro e poi a Serra San Bruno fu riportato agli affetti ed onori di noi familiari, parenti, amici e vicini, alla presenza delle autorità locali militari, civili e religiose. Fu sepolto nel monumento di famiglia nel Cimitero di Serra San Bruno.

Serra San Bruno, 21 marzo 2017

___________________________________________________________________________________________________
1 Maria Grazia Letizia è psicologa-psicoterapeuta ad indirizzo sistemico-relazionale-familiare, orientatore e formatore. Si è laureata presso l’Università “La Sapienza” di Roma nel 1983; dal 1993 è iscritta all’Ordine degli Psicologi della Regione Lazio con la specializzazione di psicoterapeuta. Inoltre, ha frequentato corsi di perfezionamento post lauream sulle tematiche dello sviluppo neuro-psicomotorio in età evolutiva e della presa in carico dei casi clinici presso l’Istituto di Neuropsichiatria Infantile di Roma. Ha lavorato dal 1990-2016 nei servizi alla persona nel Terzo Sistema/cooperative ONLUS occupandosi di psicologia della disabilità; psicologia scolastica e dell’apprendimento; formazione degli insegnanti, educatori ed operatori sociali. Attualmente svolge attività con il suo Studio di Psicologia e Psicoterapia come libero professionista. Contatti: http://www.mglstudiopsi.it Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo. Tel. Studio: +39 393 9344026 Le foto sono una mia riproduzione digitale di quelle dell’album di famiglia di Gabriele Mastropietro.
___________________________________________________________________________________________________
2 Per i termini dialettali, i soprannomi (‘ngiuri), la scelta delle foto e la revisione dell’articolo, ringrazio per la collaborazione i miei fratelli e sorelle: Andrea, Rachele, Gabriella e Rosario.
___________________________________________________________________________________________________
3 In Angelo Boca, La guerra di Etiopia. L'ultima impresa del colonialismo, Longanesi, 2010 4 In Eugenio Di Rienzo, Il «Gioco degli Imperi», la Guerra d’Etiopia e le origini del secondo conflitto mondiale, Roma, Società Editrice Dante Alighieri, 2016, pp. 202 5 soldati mercenari eritrei dell'Africa Orientale Italiana, inquadrati come componenti delle forze coloniali italiane in Africa














Con questa richiesta, diciamo “standard” nù quartu e nà gazosa, l’avventore si rivolgeva al cantiniere per ottenere il suo quotidiano quarto di vino mischiato alla gassosa, all’epoca prodotta dalla rinomata azienda Gino Giancotti di Serra San Bruno.
Per capire nella sua interezza questo scritto, bisogna ovviamente immergersi nella Serra degli anni 60’ e 70’ ma anche prima, quando le possibilità economiche delle famiglie erano molto precarie e drammatiche. Tuttavia per non rischiare di uscire fuori seminato parlando delle condizioni storico-sociali di quegli anni – se non altro per la complessità e lungaggine dell’argomento - incentreremo la nostra analisi soltanto sul tema che ci siamo proposti di sviluppare attraverso le fonti a dispozione quali la conoscenza diretta e le testimonianze di coloro che hanno più memoria di noi, se non altro, per l’età avanzata.
La nostra cittadina era disseminata di queste cantine, soprattutto nel quartiere Terravecchia rispetto a quello di Spinetto. Ma che cosa rappresentavano questi esercizi singolari? Per dare un’idea ben precisa, si pensi ai moderni Wine Bar, dove si beve vino di qualità come il Barolo o Brunello di Montalcino accompagnati da prelibati stuzzichini, mentre nelle cantine si beveva vino di “bacchetta” con gassosa e semplici stuzzichini. I Wine Bar moderni sono come gli alberghi a 5 stelle, le cantine erano ad una sola stella. Tra gli uni e le altre oltre ad una differenza quantitativa in danaro posseduta dai clienti, vi è un denominatore comune che è quello che agli avventori piaceva e piace il sangue di Bacco.
All’epoca quasi nessuno si faceva il vino in casa e nei piccoli alimentari non si trovava ne si comprava il vino imbottigliato, addirittura disprezzato dagli assidui bevitori che si ritenevano, a torto, degli intenditori. Alle cantine facevano concorrenza le c.d. “Compagnie”- gruppi di amici e parenti di estrazione diversa dai frequentatori delle prime- che si riunivano in case, casolari e circoli privati per giocare a carte e bere succo d’uva. Ma andiamo ad analizzare meglio” la funzione sociale” che avevano le cantine sociali.
Di esse ne so qualcosa per conoscenza diretta. Abitavo a dieci metri dalla cantina di Michele Panucci ( lu Cacamichieli) e potevo annotare quotidianamente le caratteristiche del singolare mondo di questi esercizi speciali. Mi ricordo che Michieli quando i suoi clienti esageravano con le parole o con i gesti, li prendeva da un braccio e “gentilmente” li portava fuori. Nella prima stanza c’erano i tavoli per sedersi e quando entravo sentivo un tanfo misto di fumo di sigaretta e di stufa a legna e vino, mentre nel retrobottega c’erano le grandi botti di diverse dimensioni. Mio nonno mi mandava verso l’ora di pranzo ad acquistare un litro di vino. Non c’era nessuno. Seguivo il proprietario ( o sua moglie Sara o qualche suo figlio) nella seconda stanza. Lui si abbassava e gli aumentava il fiatone a causa del lavoro in miniera che aveva fatto in America. Mi ricordo pure il dolce sgorgare del vino che si riversava dalla margherita della botte nella bottiglia causando una schiuma biancastra che man mano spariva; spesso le mogli, quando il marito ritardava il ritorno serale, le pescavo mentre spiavano dalla finestra della cantina senza essere viste e non si permettevano quasi mai ad irrompere o interrompere la permanenza dei mariti mentre giocavano a carte e a padrone e sotto. Le più temerarie li facevano chiamare da qualcuno che entrava ma sempre con circospezione e riservatezza. Qualche volta i mariti uscivano e le mogli con le buone li prendevano a braccetto sia per “affetto” e sia per camuffare l’evidente barcollamento che la gente poteva notare.
Mi ricordo come se fosse oggi che“Franciscu Pantiedu” all’imbrunire scendeva con 7-8 cani. Lui entrava e rimaneva dentro fino a verso le 22.00. I suoi cani fedelmente l’aspettavano fuori la porta della cantina e tutti noi dovevamo cambiare strada per evitare fastidi, poi quando lui usciva i quadrupedi lo riaccompagnavano o meglio lo guidavano verso la sua abitazione nelle campagne di Guozi nel caso non si rammentasse più la via del ritorno…!
L’altra sera, volli ripercorrere, per usare una elegante metafora “la via del vino” che ormai non esiste più come tante altre cose, così passai avanti alle antiche e nuove cantine.
Iniziai da Corso Umberto I° dove c’era la cantina di Vellone lu Sapenti ( di fronte a Pieppuseda), poi passai alla cantina di Cacamichieli poi a quella di lu Dragu ( dove attualmente abita ‘ncetta Condoleo) e poi passai a quella di Albanese e di Michelino Borello “lu Sapenti”. Continuando ho incontrato la cantina di Elena Tassone la “Petrazza”, poi alla via Sette Dolori quella di Padeda ( Barillari), di Mastro Custuoddo Marino ( padre del prof. Orazio Marino), poi quella di Bruno lu Previti e di Zeno di Marianna, poi ancora a Piazza Scaramozzino la cantina delle signorine Barillari. Continuando il mio percorso incontrai la cantina di Luigino di Rizza ( Pupo) all’angolo di via Roma. Di fronte l’abitazione attuale del. Sig. Bava Francesco c’era una cantina appartenuta a gente di fuori ( dove alla fine degli anni 50’ si consumò un delitto nei confronti di una minorenne). Sempre a via Roma incontrai la cantina di Vigilante ( Marino Giuseppe), poi quella di Rosanna ( Zaffino). Più sopra quella della Diavuleda ( Vavalà-Amato) e alla via Cavour passai davanti quella di lu Bazanu ( Ariganello). Tornando a Corso Umberto vidi quella cantina ubicata dove c’era l’Albergo Centrale ( attuale sala giochi Vallelonga), appartenuta al nonno materno ( Milione ) di Vito Clemente ( Melangiana).
Attraversando il ponte sull’Ancinale eccoci giunto al rione Spinetto. Qui a via Silvio Pellico incontrai le cantine della Pacicca e di Ciccio Loiacono, tornando indietro, e andando verso la via Pisacane mi imbattei nelle cantine di Piruollo, lu tiestu ( Salvatore Regio, padre del compianto don Vincenzino), poi in quella del
Ballerino.
Dopo la chiesa di Spinetto, sul corso Umberto I° quella di De Stefano. E poi ancora quella di Purciedu e dietro lu Palumbo quella di lu Cuottu. Camminando più avanti vidi le ultime due cantine di Zaccagnino (Callà) e quella di Manicu vicino il Calvario.
In conclusione le cantine sono interessanti da studiare dal punto di vista antropologico e folcoristisco perché rappresentarono un fenomeno sociale non indifferente ( disseminate comunque per tutto lo stivale) soprattutto perché fecero parte della nostra storia locale, ma certo, verso di esse, non si può dare un giudizio positivo. L’alcol provocò e provoca disgrazie e dispiaceri allora ed ancora oggi fra i giovani. Il progresso e la cultura poco hanno inciso su questo fenomeno negativo.
Anche da noi causò litigi finiti male alla fine degli anni 50’ ed inizio degli anni 60’, quando in questo ambiente, a pistolettate, rimase vittima un’innocente adolescente e successivamente rimase vittima un altro giovane insieme a dei feriti, ma che in questa sede è inopportuno raccontare i fatti nei dettagli per rispetto nei confronti degli eredi di essi ancora viventi…
In conclusione la cantina rappresentò per un lungo periodo, un centro di aggregazione sociale dove il bacino d’utenza era costituito da artigiani, operai, carbonai, contadini, bovari ma anche da qualche insegnante o professionista che la frequentavano con riservatezza, insomma da quella fascia tipica di soggetti che allora costituivano il variegato tessuto sociale del proletariato dei nostri paesotti.
I clienti quasi sempre di sera, stanchi dopo il lavoro giornaliero tra un bicchiere ed un altro, accompagnato da lupini, arachidi, olive e sarde salate ( per aumentare la sete e bere di più…), non instauravano ovviamente fra di loro discettazioni di tipo culturale, ma scambi di pettegolezzi e notizie riservate, recitate e confidate nei fumi dell’alcol contro i politici, preti, benestanti del paese e donne illibate o meno, contornate da bestemmie, parolacce, tosse da fumo, sputi successivi e svuotamento di vesciche e vomito nelle vie adiacenti.
Gli assidui avventori frequentevano le cantine dopo una lunga giornata di lavoro per distrarsi dalla dura vita quotidiana, i vagabondi li frequentavano per vizio e dipendenza dall’alcol, gli altri per divertimento o imitazione o per sfuggire ai problemi esistenziali che sempre hanno investito la vita dell’Uomo.
Adesso le cantine e i cantinieri non ci sono più. Il loro mondo si è dissolto piano piano con l’avanzare selvaggio del progresso e della tecnologia che hanno travolto usi e costumi intaccando in maniera irreversibile lo spirito e la spiritualità dell’essere umano.

white_info.png

Annunci in Bacheca

  • image
  • image
  • image
Previous Next
Tucci Motors

Come eravamo - Foto d'epoca

Loading script and Flickr images

The Best Bookmaker Betfair Review FBetting cvisit from here.

Traduttore

Italian English French German Spanish
white_arrow.png

Calendario articoli

Aprile 24
L M M G V S D
1 2 3 4 5 6 7
8 9 10 11 12 13 14
15 16 17 18 19 20 21
22 23 24 25 26 27 28
29 30 1 2 3 4 5

Seguici su facebook

white_arrow.png

Articoli più letti

  • 1
  • 2
  • 3
  • 4
  • 5
Prev Next

Fatti straordinari: NATUZZA MI DISSE: “ …

Fatti straordinari: NATUZZA MI DISSE: “ Guardate meglio il Vostro orologio…adesso mi credete?”

Hits:42927|VISITE Franco Inzillo - avatar Franco Inzillo

Il lungo calvario di Natuzza Evolo

Il lungo calvario di Natuzza Evolo

Hits:22707|VISITE Sharo Gambino - avatar Sharo Gambino

Inchiesta su Paravati | Il caso di Natuz…

Inchiesta su Paravati | Il caso di Natuzza…una diatriba per denaro e potere!

Hits:16999|VISITE Domenico Calvetta - avatar Domenico Calvetta

Il mistero della foto di Padre Jarek.

Il mistero della foto di Padre Jarek.

Hits:13814|VISITE Domenico Calvetta - avatar Domenico Calvetta

La mia terra spogliata di tutto dal 1860…

La mia terra spogliata di tutto dal 1860 ad oggi!

Hits:13570|VISITE Antonio Nicoletta - avatar Antonio Nicoletta

Rivista Santa Maria del Bosco - 89822 Serra San Bruno. Reg. n. 1/15 Tribunale Vibo Valentia. Copyright © 2021 Rivista Santa Maria del Bosco. Tutti i diritti riservati. Web Designer Marco Calvetta

Questo sito utilizza cookies. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookies clicca su “Maggiori Informazioni” e leggi l’informativa completa. Cliccando sul tasto “Accetto” acconsenti all’uso dei cookies. Maggiori Informazioni