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Il cruciverba in serrese

Gioacchino Giancotti
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foto convento brognaturoPochi conoscono che in tempi non molti remoti, Brognaturo, piccolo paese delle Serre, avesse nel suo territorio una chiesa dedicata alla Vergine S.S. dell’Annunziata e nelle sue adiacenze un convento dei Frati Minori Conventuali di s. Francesco D’assisi.
La chiesa, affidata ai religiosi di detto convento, fin dal 12 settembre dell’anno 1540, dal Cardinale Enrico Borgia, Vescovo di Squillace, era molto accorsata dai brognaturesi e dai paesi più vicini, perché saggiamente e diligentemente curata, “ sua vita natural durante”, dal R.P. Tommaso Catanazio di Arena che il Cardinal Borgia confermava con decreto del 30 marzo 1546, tramite D. Saverio D’Aldana al tempo Vicario Generale della Diocesi. Ed altri decreti, oltre due precedenti, confermavano e convalidavano gli stessi, come quello di D. Luca Antonio Pucio del 10 novembre 1548, essendo quindi vescovo Alfonso de Villalobos il 16 novembre che ammirava ed esaltava lo zelo apostolico e la rettitudine del P. Tommaso Catanazio nel reggere la chiesa dell’Annunziata.
Pur mancando documenti di nascita del relativo convento affidato alla Ven. Provincia del Santi sette martiri, è certo che verso la fine del 500’, la stessa Provincia era in piena efficienza, come si rileva pure da un rogito del Notar Tullio Acquario del 1587, dove si legge che un certo Paolo Gullì da Chiaravalle assegnava al Convento di Brognaturo la rendita annua di 13 carlini.
In altro atto del serrese Notar Francesco Tucci ( 1769 ) si riscontrano i registri contabili e le firme appostevi dai relativi Padri guardiani succedutisi nel tempo dal 1615 al convento stesso.
Il convento al primo piano era costituito da n. 13 stanze per i Padri e per i Fratelli Conversi con bel chiostro, e al pianterreno vi erano il refettorio, la dispensa, la cucina, magazzini e forno, comed risulta in un attestato del 1759, in cui il sindaco dottor fisico D. Giovanni Rosi decsrive il fabbricato, lodando ed esaltando al contempo l’attività dei Religiosi e lo svolgimento delle varie funzioni nella chiesa del convento. Infatti, oltre le funzioni quotidiane e festive, vi era una particolare funzione domenicale in onore della Vergine Immacolata con predica; e nei venerdì di marzo alla sera una disciplina pubblica per gli uomini.
Dei Sarcedoti Padri e dei Fratelli Conversi la maggioranza erano di Brognaturo e dei paesi limitrofi, come risulta dalle “Notizie storiche” di D. Domenico Cirillo di Cardinale, in documenti della Diocesi di Squillace.
I Religiosi di questo Convento emanavano un benefico influsso nella vita spirituale dei paesi vicini. E, data la sua importanza e la sua efficienza, la bolla “Instaurandae” di Papa Innocenzo X ( 1644-1655) e il Decreto apostolico “Ut in parvis”, con cui venivano sorpressi i conventi, la cui comunità non fosse formata da almeno sei religiosi con rendita sufficiente per il loro sostentamento, il Convento di Brognaturo non era compreso nell’elenco dei conventi da sopprimersi nello “Status Relig. Franciscanorum” del Franchini, possedendo i necessari requisiti per la sua sussistenza.
La sua decadenza è da ascriversi al violento terremoto della notte del 5 febbraio 1783 che tante rovine provocò nella regione calabrese e che costrinse i religiosi a trovarsi un ricetto in altri conventi ed anche in famiglie private. Anche le attività di apostolato andarono man mano scemando. Inoltre i moti rivoluzionari della fine del 1700, le guerre del 1800, le leggi eversive dal 1860 al 1872 per la soppressione degli ordini religiosi, per l’incameramento dei loro beni e degli enti ecclesiastici, ridussero a cumuli di macerie e avvolsero nell’abbandono gli istituti religiosi e le chiese conventuali della Calabria.
Il convento di Brognaturo seguì la sorte comune agli altri conventi.
Oggi si vedono tra i rovi alcuni ruderi accanto a quelli perimetrali della chiesa senza tetto e pericolanti.
Sono state salvate soltanto due statue in marmo: quella della Vergine SS.ma e dell’Arcangelo Gabriele che sono state portate nella chiesa Matrice di Brognaturo, dove tutt’ora si conservano.

Fonte Immagine

serafino maiolo di fabrizia
Serafino Maiolo, figlio dell’avvocato e notaio Ricciotti Maiolo e della nobildonna Angiolina Festa, nasce a Laureana di Borrello il 7 maggio 1911 e trascorre l’infanzia e l’adolescenza a Fabrizia, paese del cuore e dell’anima che l’intellettuale sovente celebrerà nelle pagine dei suoi romanzi più noti. Laureatosi a Roma in Giurisprudenza e attivo principalmente in ambito giornalistico e scolastico (fu provveditore e viceprovveditore presso Milano e altre province della Lombardia), è tuttavia la produzione letteraria che consacra Maiolo quale autore neorealista, e a tratti anche tardo verista, negli anni del Secondo dopoguerra.
L’opera d’esordio, almeno per quanto riguarda la narrativa, è Ciaramaca, libro pubblicato per la Gastaldi di Milano nel 1948 e che, attraverso dieci capitoli, narra la storia di Ciaramaca, uomo di mezza età che, dopo aver lavorato per tantissimi anni in America, dove si era recato in seguito a oscuri fatti che lo avevano coinvolto indirettamente e a lutti familiari dettati dalla Grande guerra e dalla peste Spagnola successivamente originatasi, torna nel luogo natio, deciso a riprendere in mano la propria vita e le redini di una famiglia che si è formata e consolidata con lo spettro aleatorio della sua persona, ma con la totale mancanza della figura di marito e padre che il protagonista avrebbe dovuto incarnare e che ora, d’improvviso, rivendica. Tra flashback di un passato tormentato, le difficoltà di un presente acre e le speranze per un futuro giusto e sereno, si dipanano le vicende di una storia che, parola dopo parola e pagina dopo pagina, si fa sempre più corale, allargando manzonianamente il proprio sguardo alle vite di moglie, figli e conoscenti del protagonista, inglobando persino le “voci” di paese che, come le Parche della mitologia classica, stringono tra le dita il filo del destino dei personaggi dell’opera e che, da un momento all’altro, possono scegliere di recidere senza alcuna pietà. Abile lo scrittore fabriziese nel tratteggiare i profili caratteriali dei personaggi che, nei suoi libri, sembrano vivere di vita propria, nel trasmettere a lettrici e lettori i sogni, i desideri e le paure che li accompagnano di capitolo in capitolo, nella riproduzione certosina del taedium vitae che, dominando le esistenze delle figure di un piccolo paese del Sud Italia negli anni Trenta del secolo scorso, li induce inevitabilmente al pettegolezzo sterile, vacuo ma contemporaneamente distruttivo e unilaterale. Tuttavia Ciaramaca è molto più di questo: una componente teatrale, a tratti comica o comunque grottesca, leggera e di autentica bontà vive lungo le vie di una realtà provinciale che non è cattiva di per sé ma che spesso la povertà, la miseria e l’ignoranza rendono tale; un’antica morale, intessuta di valori quali lavoro, famiglia e terra emerge prepotentemente dalla lettura del libro e quasi convince il lettore della giustezza di quelli, almeno se letti come figli di un tempo e di uno spazio preciso e determinato e costantemente sottoposti alla diatriba dello scontro generazionale, molto caro a Maiolo in Ciaramaca. I costumi, le tradizioni, i riti, le usanze, i profumi e le sensazioni di un’epoca lontana, eppure così intima nella storia delle famiglie calabresi, sono i veri protagonisti del libro, quelli per cui vale la pena leggerlo, lasciandosi trasportare tra i vicoli sassosi di una realtà che non esiste più e che pure è dentro di noi, assaporandoli senza remore e godendo di un tipo di linguaggio che, se da un lato ricorda molto la scrittura tardoromantica della letteratura italiana del XIX secolo, dall’altro presenta già temi e forme del movimento culturale italiano noto come Neorealismo, congerie letteraria in cui l’autore si inserisce a pieno titolo. Molte altre le opere di Serafino Maiolo, tra cui molti saggi, una silloge poetica e numerosi romanzi che evidenziano il percorso in fieri di uno scrittore che, nonostante la prematura scomparsa, avvenuta nel 1966 alla sola età di cinquantacinque anni, lascia ai posteri un’eredità pregevole e che merita di essere conosciuta, letta e apprezzata, per un arricchimento che sia personale e comunitario.

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