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Rivista Santa Maria del Bosco - Serra San Bruno e dintorni

Domenico Calvetta
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Il cruciverba in serrese

Gioacchino Giancotti
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“Lo Zanotti segnala diversi miracoli ottenuti per intercessione del S. Patriarca, dopo la sua canonizzazione.
Padre antonio costaNel 1715, un uomo di Gerace supplicò San Bruno affinché gli ottenesse da Dio un bimbo che perpetuasse la sua famiglia. Nove mesi dopo sua moglie diede alla luce un maschietto, ma si avvidero che era muto. Il padre addolorato quanto mai, prese il figlioletto e portatolo davanti all'altare di S. Bruno lo scongiurò di completare la sua opera. Il bimbo incominciò subito a parlare. Nello stesso anno Oliva Spani, di Catanzaro, tormentata dal demonio, fu gettata da lui con violenza in un braciere. La piaga che si formò fu riconosciuta incurabile. Il marito condusse la povera donna al lago di S. Bruno e con ardente fede pregò a lungo: l'acqua miracolosa guarì immediatamente la moglie e la liberò dall'ossessione. Nel 1718, Antonio Mattis, di Gagliano, avendo la moglie pazza, fece un voto a San Bruno e la malata riacquistò la ragione. Il 28 marzo 1719, Giovanni Bernardo, da S.Pietro di Cosenza, ammalato da sette anni e senza l'uso delle membra, fu portato dai genitori al lago di S. Bruno. Appena lavato si trovò interamente guarito. Nello stesso anno, Angela Rizzi, da Catanzaro, posseduta dal demonio da diversi mesi, fu interamente liberata entrando nel lago miracoloso.
Nel 1721, il barone di Lesselhol, luterano, capitano delle truppe imperiali in Calabria,visitò per curiosità il lago di S. Bruno. Vide un sol giorno ventiquattro energumeni liberati dal giogo satanico. Quello spettacolo gli aprì gli occhi dell'anima e lo liberò dal demonio dell'eresia; fece la sua abiura il 24 giugno del 1721 nella chiesa dei Cappuccini di Reggio. Fu senza dubbio per le grazie ottenute per intercessione di S. Bruno, che le borgate vicine alla Certosa di Calabria scelsero per loro patrono speciale il Fondatore dei certosini. Quel patrocinio fu riconosciuto ufficialmente un decreto della S. Congregazione dei riti, del 18 dicembre 1756, per i territori di Serra,
Spatola, Bivongi, Montauro, Gasparino e Montepavone. Feste annuali in onore di S. Bruno. Il culto di S. Bruno è sempre più vivente in Calabria, la sua festa è la più grandiosa dell'anno. Le popolazioni nel celebrarla mettono tutto l'ardore della loro natura meridionale e tutta la vivacità della loro fede semplice e sincera. È il lunedì di Pentecoste che si celebra questa festa con una pompa straordinaria. Dopo la Messa cantata, la processione sfila al suono delle campane e della musica, allo scoppio dei mortaretti e al grido di " Viva San Bruno ".
Quando la vita di un bambino è in pericolo in quelle regioni, i suoi genitori si obbligano con voto di vestirlo da certosino se egli guarirà. Allorché la grazia desiderata è ottenuta, sia miracolosa o no, essi conducono il loro bambino alla Certosa con una piccola veste, e cocolle confezionate alla sua misura. Il padre Sacrestano, nel mattino del lunedì di Pentecoste, benedice quelle vesti e chi le deve indossare, e presiede alla vestizione dei certosinetti. Ogni anno si contano dieci o dodici fanciulli d'ambo i sessi, così vestiti in riconoscenza dei favori ottenuti per l'intercessione di S. Bruno. Essi non lasceranno il loro abito monastico prima che sia consumato. I certosinetti hanno un posto distinto nella processione che sfila attorno alla Certosa.
Nel 1884, un bimbo di tre anni, Francesco Bercamini, cadde in un braciere ardente;quando la sua mamma lo raccolse, il piccino aveva il petto e il viso bruciato e sembrava morto. La pia donna fece subito il voto a S. Bruno; ottenne la grazia della guarigione perfetta del figlioletto e si affrettò a fare del suo Francesco un certosinetto. Bruno è il Santo popolare in Calabria. Ma l'eterna e vera glorificazione di Bruno si perpetua ogni giorno nel grande Ordine ch'egli fondò: la sublimità dell'opera proclama la potenza dell'operato.”
Questo scritto; sulle grazie prodigiose di San Bruno, è stato integralmente tratto dal libro di A. Mariani dal titolo: SAN BRUNO -Fondatore dell'Ordine Certosino-Alba,24 gennaio 1943- Prefazione del prof. Giorgio La Pira.
A. Mariani è il pseudonimo del Padre certosino Antonio Costa che, impedito dalla regola a firmare direttamente le sue opere, ha scelto di pubblicarle con questo nome.
Durante il periodo trascorso nella Certosa di Firenze (1929-1933) conobbe il giovane Giorgio La Pira, e ne divenne il suo confessore. Nel 1938 entrò nella comunità della Certosa di Farneta, presso Lucca e scelse il nome di Gabriele, qui ebbe l'incarico di Procuratore. Dom Gabriele Antonio Costa, Il 10 settembre 1944, insieme con altri confratelli, fu ucciso con una raffica di mitra dalle S.S. tedesche. Insignito della Medaglia d'oro al valor militare è stato sepolto nel cimitero della Certosa di Farneta.

Angelo-vinicio gambinoAd occhio e croce poteva misurare si e no un metro di altezza. Su quel corpo gracile e   rachitico  vi era un viso da vecchio, sebbene non avesse più di venti anni, pieno di rughe e una bocca sdentata. Non poteva camminare per via delle gambe corte e il ginocchio valgo. Saltellava soltanto e per brevi tratti facendo leva su due minuscole stampelle; se il luogo da raggiungere era distante, il fratello lo portava a cavalcioni sulle spalle o  lo trainava sopra il carroccio agganciato con una robusta fune
Per la gente del paese era “ lu marduoccu “, forse per via del cognome Murdocco, ma per la combriccola che lo attorniava era  la “ lanatra “ ( l’anatra ) , forse  per il suo modo di muoversi sulle stampelle. I compagni che gli erano più prossimi costituivano una specie di Corte dei Miracoli  di cui disponeva a suo piacimento. Erano più piccoli di lui come età. Figli di povera gente vestivano con  abiti dismessi che qualche anima pia aveva loro dato e che essi indossavano senza far caso alla taglia; privi di scarpe, andavano a piedi nudi  in qualsiasi stagione tanto in estate quanto in inverno sotto la pioggia  e qualcuno anche nella neve.
I loro genitori erano preoccupati a procacciare il cibo per la numerosa prole . Le madri e le sorelle maggiori in primavera e in estate si recavano, quando ancora  era notte, in montagna per raccogliere i grossi  e lunghi rami (l’asschi ) di faggio o di abete che  trovavano  sul posto dove i boscaioli avevano lavorato le piante. Si  inerpicavano sulla montagna percorrendo viottoli quasi impraticabili  a piedi scalzi e  dopo aver composto li mazzi di ligna se li sistemavano sulla testa e con quel peso, che a volte raggiungeva anche  il mezzo quintale, ritornavano in paese a giorno ormai fatto e vendevano quella legna per una lira e mezza  massimo due.
Nelle altre stagioni si recavano nei boschi a raccogliere funghi o fragole per ricavarne, poi, un misero guadagno. Difficilmente riuscivano a mettere  insieme il pranzo con la  cena: il pasto era uno solo e consisteva in una minestra di verdure, che loro stesse andavano a raccogliere nei prati , oppure, alternativamente, in un piatto di fagioli  o riso o patate o castagne secche bollite.
I loro padri , quando trovavano qualche giornata , facevano i manovali o lavoravano la terra per conto di qualche proprietario, altri sostavano davanti ai pochi magazzini esistenti in paese in attesa che arrivassero i traìni da Pizzo per scaricarne le merci. Presi, perciò , da tali problemi di sopravvivenza non potevano curarsi dei figli, per cui godevano della massima  libertà: uscivano e rientravano a casa a loro piacimento in qualsiasi ora del giorno e a volte anche della notte senza rendere conto a  nessuno. Andare a scuola , poi , era un pensiero che nemmeno li sfiorava né a loro né ai loro genitori come non li sfiorava l’idea che l’acqua non serviva soltanto per dissetarsi .
Scorazzavano per i campi e gli orti a rubare la frutta matura e saporita o lungo la riva del fiume a caccia di trote che guizzavano nelle acque limpide dell’Ancinale.
Ciascuno di loro aveva il soprannome: Lola, Friz, Zuchiti, Sordiciedhu jancu, Gattujinnaru, Pitusu………mentre egli, il capo, era la  lanatra.
Stabiliva tramite la sua Corte quando era il tempo dei vari giuochi che i ragazzi del paese di norma praticavano: quello di li  pitirocia, di la  mazza e di lu spizzingulu, degli allegri motivetti  suonati con frischiotta e piditari in primavera e in estate; delle noci ai primi di ottobre, in occasione della festa di. S. Bruno.  Ed era lui che dava l’inizio e nello stesso tempo stabiliva il prezzo delle noci da vendere  ai ragazzi, dato che le botteghe di frutta e verdura non  le commerciavano.
In questo gioco primeggiava su tutti anche perché non disdegnava di mettere in atto qualche piccolo trucco come per esempio impiombare la noce più grossa ( lu bbadhu ), per renderla più pesante e più aderente al terreno nel suo breve tragitto, con cui colpire e sparpagliare le noci, già accastellate ad una certa distanza.
Verso la fine di settembre, primi di ottobre, mandava l’ Armata Brancaleone a fornirsi di

noci negli orti attigui al  paese che loro conoscevano bene per aver spesso razziato frutta, pannocchie, lattughe e a volte anche qualche gallina. Lungo il tragitto raccattavano dei pesanti pezzi di legno ( zzaccuni ) da lanciare contro i rami del noce e provocare la caduta dei frutti. Giunti sul posto, si acquattavano dietro le siepi di rovo per non essere visti dai contadini che non molto lontano preparavano  il terreno per la semina, mentre il più abile nel tiro, con rapidi spostamenti, si nascondeva dietro la pianta e, una volta accertatosi di non essere visto, usciva allo scoperto e con tutta la forza che possedeva lanciava  lu zzacuni  verso i rami maggiormente carichi di noci che cadendo causavano un leggero tonfo. E come fosse stato un segnale convenzionale,da dietro la siepe, con la velocità di un fulmine, sbucavano i compagni che le raccoglievano e le nascondevano tra pelle e camicia. E così ancora , sino a fare il pieno.
In estate, quando ad un certa ora avvertivano i morsi della fame, li mandava nelle campagne a rubare  frutta e loro, senza farselo dire due volte ,si avviavano verso quelle località  ad essi ben note e ritornavano, a seconda, carichi di prugne , mele , pere, ciliegie…. Angelo,in compagnia di qualche altro della combriccola, li aspettava seduto sui gradini della chiesa Addolorata e a loro arrivo mangiavano allegramente fino a saziarsi, non avendo altro con cui riempirsi lo stomaco.
Nessuno avrebbe potuto pensare che in quell’essere diseredato da Dio e dagli uomini vi albergasse un profondo sentimento di dignità  sia come persona sia  come italiano. Ecco due episodi.
 Da poco, a Serra, si era insediato un reparto di militari Alleati con lo scopo di ricavare dalle nostre montagne grosse partite di legname di faggio e di abete da destinare a uso bellico. ( Fu allora, con il loro arrivo, che conoscemmo il pane bianco fatto con la farina di cocco, la puzzolente “farinella” di piselli, le scatolette di saporita carnibiffa “corned beef –carne di manzo-“, le aromatiche sigarette “ Players – Navy  Cut “ nonché l’intramontabile schewing gum ).
 Il Comando Alleato era allogato in uno stabile sito sul Corso Umberto I  prospiciente Piazza S. Giovanni e proprio su questa piazza i militari inglesi organizzavano, nelle sere di estate, degli incontri di box tra ragazzini o giovanetti mettendo in palio : sigarette,  schewing gum, cioccolato….

Lo spettacolo era veramente spassoso: la gente si assiepava attorno ai contendenti per assistere agli inconsueti incontri, e li incitava con urla, applausi, fischi….  Spesso gli spettatori scoppiavano in fragorose risate quando i ragazzini nel tentativo di colpire con violenza l’avversario,  non cogliendo il bersaglio, trascinati dalla pesantezza dei guantoni facevano una piroetta su se stessi  e stramazzavano a terra.

Una sera Angelo si avviava sulle sue grucce ad assistere ad uno di questi incontri quando  vide cadere davanti ai suoi  piedi una sigaretta appena accesa. Guardò in alto e quando scorse un sottufficiale inglese affacciato al balcone che lo osservava con aria divertita, in segno di  disgusto prima sputò sulla sigaretta e poi  la spiaccicò con la stampella. Quindi, dopo aver rivolto con aria di disprezzo un altro sguardo al sottufficiale, con piccoli saltelli riprese il suo lento andare e sparì tra la fitta schiera degli spettatori.
Sempre in quel periodo, metà anni quaranta, era stato aperto il Cinema “Aurora”  ( all’epoca Zì-Zì )  e prima del film venivano proiettati i documentari della “ Fox-Moovietone “ in cui si esaltavano le azioni di guerra delle truppe alleate e sminuite quelle delle truppe italo-tedesche
 Nelle serate piovose e fredde, Angelo e i suoi amici sgaiattolavano furtivamente nel locale del cinema per assistere alla proiezione dei film e sedevano nei posti di prima fila, raramente occupati da altre persone, siti a meno di un metro di distanza da una ringhiera in legno che delimitava la platea dal proscenio. Non appena apparivano sullo schermo le trionfanti truppe alleate, da quella fila, ad un suo segnale si alzava una bordata di fischi, urla, battiti di piedi sull’impiantito di tavole mentre lui  batteva, con forza, le stampelle sulla ringhiera. A quel punto la proiezione veniva interrotta e Vito, la maschera, interveniva energicamente e a suon di pedate li sbatteva fuori dal locale.
Con il passare del tempo, Angelo e la sua compagnia mi passarono di mente. Mi ricordai di loro molti anni dopo,un giorno, quando da via Sette Dolori sbucai in piazza  Monumento dove si soleva riunire la Corte dei Miracoli. Chissà che fine avevano fatto!  dove erano andati a finire tutti quanti! E Angelo? Forse insieme a qualcun altro della compagnia, saltellando sulle sue minuscole stampelle, sarà andato a bussare alla porta del buon Dio per avere da Lui quella felicità che non aveva conosciuto sulla terra.

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