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Rivista Santa Maria del Bosco - Serra San Bruno e dintorni

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Il cruciverba in serrese

Gioacchino Giancotti
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Da Serra a Toronto “artista vigoroso e sicuro scultore, raffinato pittore dalla ricercata preziosità cromatica, elaboratore grafico: un artista completo”
Antonio Caruso
È da qualche settimana che il nostro giornale on line ha aperto una nuova pagina, quella dedicata alla Galleria d’Arte volta ad accogliere artisti già famosi, aspiranti artisti e artigiani prestigiosi. La pagina è già stata inaugurata dall’illustre e poliedrico artista serrese Giuseppe Maria Pisani junior con contributi del Direttore Mimmo Calvetta e di chi scrive questa nota. La Galleria ospita, questa volta, un altro artista di fama internazionale, un altro serrese, Antonio Caruso. Io lo ricordo, poco più che decenne, vivace riccioluto correre tra le stradelle di Spinetto, fermarsi nella chiesa dell’Assunta ad osservare le statue, entrare nella sartoria di mio padre e disegnare modelli sartoriali.

Caruso nasce a Serra San Bruno nel 1951 e il suo primo maestro, alla scuola di avviamento professionale, è il prof. Raffaelino De Francesco che, avendo intuito le qualità artistiche del ragazzo,  gli  insegnò a conoscere l’argilla con la quale cominciò a creare le statuette del presepe. Altri suoi maestri, in terra natia,  furono “lu professori” Salvatore Tripodi e Giuseppe Maria Pisani. Le non fortunate vicende familiari lo costringono a lasciare ben presto Serra per il collegio “Michele Bianchi” di Camigliatello Silano. Inevitabilmente, poi, Caruso compie il grande salto, verso il nord della penisola: l’Accademia “Carrara” di Bergamo e l’Accademia di Belle Arti di Brera. È Bergamo che dà i primi vagisti artistici del giovane serrese, le sue prime importanti opere. Qui, scrive E. La Riccia, “studiò in profondità la tecnica dell’affresco e la trasformò in maniera che essa poteva essere applicata anche ai quadri. In pratica egli applica i colori ad olio e imprigiona il tutto in varie velature, una tecnica che lui chiama ‘frescografia’”.

Le sue prime tele, per la prima volta sono  esposte, nel 1977, in una mostra allestita nella Valbruna di Cambicce e tre anni dopo a Pesaro ad una collettiva assieme ad artisti già affermati come  Annigoni e Fiume. E scusate se è poco! Qui riscuote i primi illustri apprezzamenti che gli valgono un premio per l’originalità della grafica. Da qui la sua fortunata esperienza come assistente dello stesso Annigoni nella realizzazione del grande affresco per la Basilica di Sant’Antonio a Padova.

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Successivamente la sua arte si mostra a Milano, Cernobbio, ancora Bergamo, Lisbona, Parigi, Bruxelles, Ginevra e Madrid grazie anche alla collaborazione con la rivista internazionale d’arte “Diplomatic Bag” diretta da quel mostro dell’arte che è  Ghitta Hussar e per la quale “Caruso è un artista vigoroso e sicuro scultore, raffinato pittore dalla ricercata preziosità cromatica, elaboratore grafico: un artista completo.”

Ma certamente la sua conferma come artista internazionale è data dal suo arrivo e permanenza in Canada, tra la sua gente qui emigrata da tanti anni. Vi arriva, per la prima volta, nel 1982 per esporre al Museum for Indian Art di Thunder Bay dove riscuote meritatissime affermazioni che gli aprono le porte di Toronto e di altre città nordamericane. Dovunque è  presente mai cessa di ricordare le sue origini, “la mia infanzia è stata toccata dalla spiritualità di san Bruno e sono cresciuto col ricordo di quanto di più bello hanno fatto i grandi maestri serresi”.

Nel 1995 decide di trasferirsi definitivamente con la famiglia in Canada. Qui incontra Angelo Pelaia, direttore de “Il Laghetto dei Serresi nel mondo” che vi scrive: “colpisce nel Caruso la signorilità, l’umiltà e la gentilezza ed un’altra pregevolissima virtù abbiano anche notato in lui, l’ossequio, per non dire addirittura la venerazione che ha per gli artisti serresi” come appena ricordato. Ed ancora. Il già citato E. La Riccia, critico d’arte, incontrando il nostro Antonio alla Settimana Calabrese del Centro Leonardo da Vinci di Montreal, così si esprime: “un uomo dal viso aperto, dall’aspetto modesto, alla mano, che dell’artista ha lo sguardo profondo, penetrante, sintomo di chi, in lotta con se stesso, rincorre in continuazione, con la sua immaginazione, modelli di vita, per vivificarli interiormente, trasformarli in immagini che impresse sulla tela, sul legno e nel mosaico, sappiano parlare al cuore dell’uomo.” Caruso gli si mostra come “valente scultore e anche ottimo pittore e grafista”.

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Tra le sue opere più ammirate si ricordano: Gli angeli a concerto; una Resurrezione; Le torri di San Gimignano;  le tele che ricordano la sua terra, i Bovari di Calabria e Omaggio alla primavera; Donna del Canada. Tra le opere d’arte sacra: la statua di S. Jean de Brèbeuf sistemata in una piazza di Vaughan, un Padre Pio e un Crocifisso molto ammirato alla mostra del Centro Leonardo da Vinci; una statua di San Giuda Taddeo  posta nell’omonima chiesa del Weston Red nell’Ontario nel 1994, anno della morte della sua cara mamma Angela Mauro. Ed ancora.  La scultura del Gesù Bambino in legno impressa su un francobollo di Canadan Post esposto alla The Gallery di Maple assieme ad altri suoi 41 lavori.

Sono ancora molte le comunità di calabresi che si rivolgono al Caruso per avere una scultura lignea del proprio Santo patrono, insomma, un “testimone  della devozione calabrese nel mondo” come da più parti ricordato.

Oggi Antonio Caruso continua a conservare intatta la sua carica artistica, la voglia di sperimentare, di discostarsi dalle correnti di massa dell’arte contemporanea.

È il figlio di Serra San Bruno, lontano materialmente ma legatissimo col cuore; il suo cordone ombelicale con la sua terra non si è mai reciso. Forse è il contrario, è la sua madre terra che non lo ricorda non avendo mai voluto ospitare un qualche evento culturale e artistico per celebrare uno dei suoi figli più famosi, un figlio che, artisticamente, è esploso nel mondo.



N.B: Le foto delle opere riportate in questa pagina sono state estrapolate dal seguente sito http://www.antoniocaruso.com/

Eravamo eravamoSembra che l’eta’ del mondo, almeno di quello moderno, venga scandita in ‘decenni’. Dopo gli anni ’60, quelli del boom economico, gli anni ’70, quelli dell’impegno politico ed ideologico.Poi gli anni ’80 del graduale disimpegno e dei ‘compromessi’. Con gli anni ’90 il patrimonio ideologico viene relegato alla discussione di pochi e, nell’oziosita’ generale, si fa avanti una generazione  di  giovani tanto intraprendenti quanto immorali. Il 2000 segna il trapasso  dal vecchio mondo della politica a quello nuovo del carrierismo. I vecchi giovani degli anni ’70 si rinchiudono nel rimpianto  e ai loro accorati proclami di lotta si susseguono generiche strombazzature di piazza e sgrammaticati programmi politici.

La mia prima gioventu’, quella migliore, io l’ho vissuta negli anni ’70.La Destra era ancora destra, la Sinistra non era solo un colore; c’era un forte Centro e, a galvanizzare il tutto, gli opposti estremismi. Si voleva cambiare il mondo, chi con l’impegno politico e culturale, chi con la pistola in mano. Serra San Bruno, da sempre estrema periferia d’Italia, quella volta non rimase a disparte. La gioventu’ ribelle, quella che non era costretta al lavoro, leggeva Mao ed il Mein Kampf e, da opposte posizioni, ambiva allo stesso progetto politico: sovvertire il disumano ordine capitalistico a favore di una classe  di lavoratori o di una ‘aristocratica’ borghesia illuminata.  Mentre dalla vicina Brognaturo giungevano voci di un un giovane di buona famiglia impegnato a brandire catene nelle vicinanze di piazza Bologna a Roma e di un altro di piu’ umili origini piu’ propenso alle molotov di Autonomia operaia, nel  nostro paese gli opposti messaggi  giungevano  dal compianto Silvano Onda e dal tenebroso Manganaro. In mezzo a chi la liberta’ la voleva imporre o chi, invece, abolire, cresceva la mia generazione di giovani comunisti; allora si preferiva essere chiamati cosi’, lasciando il piu’ generico appellativo di ‘sinistra’ ai socialisti, precorritori dell’opportunismo politico. Fu nei primi anni ’70 che arrivo’ a Serra l’insegnante di filosofia Dino Vitale, raffinato intellettuale di Catanzaro . Questo Socrate cervellotico, chiamo’ a raccolta gli ancora immaturi cervelli di un pugno di gracili giovincelli e li educo’ con gradualita’ e fermezza al vivificante mondo della cultura, non solo politica. Il sottoscritto, Peppino Neri, Pinuccio Calabretta, mentre il paese nascondeva il suo sonno in una cappa di umidita’ , riscaldati da un flebile braciere e da qualche bicchiere di vino annacquato, sedevamo in compagnia dei compagni storici Mannella, Gamo e De Stefano ad ascoltare ancora smarriti le erudite lezioni del compagno Vitale, che, cosciente del nostro imbarazzo, utilizzava il rossore delle nostre guance come sprone all’impegno politico e culturale. E mentre il giovane Errigo si faceva promotore di una gioventu’ democristiana, in realta’ promuovendo solo se stesso,  ed il meno giovane Enzo Iorfida si atteggiava ad intellettuale socialista, quel triumvirato di sedicenni leggeva e discuteva i classici del pensiero progressista per prepararsi alla lotta. Contagiati dal prof. Vitale, trasmettemmo il contagio ad altri nostri coetanei  e le sedie nella piccola sezione di partito comincarono ad essere poche. Venne Domenico Pica con la sua posticcia laurea in filosofia; venne Minasi che comunicava con il silenzio; poi, un po’ piu’ tardi, il giovane Gigi Vavala’,un Vitale in miniatura; Fiorello Schiavello facile a scaldarsi, ma mai eccessivamente; Micuzzu Dominelli, che, piu’ per curiosita’ che per convinzione, non voleva tenersi fuori da questa fresca fonte di pensiero e che, spinto in seguito verso i  compromissori eventi di fine decennio , nell’intimita’ di serate tra ‘vecchi compagni’, ritorna con commossa partecipazione a quella prima scuola di vita. Questi i giovani di allora. Volevamo cambiare il mondo partendo da Serra. Si era allegri ma impegnati; premurosi e,talvolta, anche eccessivi. Avevamo quella fede che genera impazienza ma mai violenza. Pensavamo ad arricchirci di cultura e non di falso benessere. Ambiziosi, anche! Ma di quella ambizione che sorge nei recessi del cuore  e  non nei postriboli del potere. Eravamo……Eravamo……

Un grande scrittore russo, Ivan Turgenev, scrisse nell’800 un libro che fu subito manifesto dello strappo generazionale; il libro si chiamava ‘Padri e figli’.  Gli anni ’80 segnarono il graduale calo della tensione idealistica e scrissero il primo capitolo di un libro  che si e’ protratto fino al tragico epilogo di quest’ultimo decennio. A noi giovani degli anni ’70, di destra e di sinistra, rimane il conforto di un tentativo mal riuscito ma profondamente sentito!

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