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Antropologia: Intervista a Giuseppina Callà sulle monache di Casa a Serra San Bruno

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Le monache di casa
Già la nostra rivista nell’ambito delle rubriche che trattano le tradizioni e la storia locale, aveva accennato alle monache di casa che un tempo vissero nella nostra cittadina, pubblicando in un precedente numero la foto dell’ultima di esse, Maria Cristina Pelaggi che oggi ripubblichiamo. Oggi invece, a questa singolare figura, le dedichiamo un’intero articolo aiutati dalle informazioni preziose che ci ha fornito Giuseppina la Turibella ( all’inizio della conversazione vuole chiamata con il soprannome da parte della madre ). Notizie di prima mano, perché essa è vissuta fino al suo matrimonio in un contesto di religione popolare come d’altronde la maggior parte dei nostri antenati. Unica figlia femmina a fronte di sei maschi e seconda in ordine di nascita nell’anno del Signore 1930. E’ stata cresciuta da quattro zie ( due vizuochi ) che le hanno trasmesso il senso religioso popolare, oggi forse obsoleto, e tante informazioni utili per lo studioso di antropologia e per il filologo dialettale. Ci ha ricevuto nella casa della figlia Marianna seduta su una comoda poltrona. Con la sua parlantina come un fiume in piena, con la sua lucidità mentale e con il suo marcato ottimismo ci ha trasmesso quelle energie positive di cui tutti abbiamo bisogno nella buona e nella cattiva sorte, per affrontare meglio le vicissitudini della vita. Imparandoci pure ad essere sempre ottimisti anche davanti alle brutte situazioni perché si affrontano meglio i problemi esistenziali a scapito dei lagnosi, essa può entrare nel Club degli Scialati che vuole fondare il filosofo serrese prof. Gigi Vavalà, figlio dell’ins. Lino, attualmente docente al liceo classico di Trani. Ma andiamo brevemente al tema iniziale evitando di andare fuori seminato. La figura della Monaca di casa è interessante per l’appassionato delle tradizioni locali perché fu un soggetto raro che racchiudeva il laico e il religioso nella stessa persona e che fu presente fino al 1965 circa. Figura ormai sparita dal nostro paese, risucchiata dal modernismo attuale della chiesa post concliliare.

Ma quale era la sua missione? A questa domanda, Giuseppina, la nostra esperta interlocutrice in tradizioni popolari, preziosa per gli studi antropologici, inizia a parlare come un tamburo battente! Lei ci racconta tutto quello che conosce e noi lo traduciamo dal dialetto serrese all’italiano. “La monaca di casa rimaneva in famiglia ma faceva tutte le attività o quasi che spettavano alle suore diciamo “di carriera”, con autorizzazione del parroco e del vescovo. Esse appartenevano all’Ordine della Madonna del Carmine e portavano una tonaca marrone, saio bianco e mantello nero. Facevano impressione ad incontrarle, perché all’ora dei vespri ( in inverno quasi buio ) sgusciavano “dalli viniedhi” ( vicoli stretti ) e con passo veloce si recavano alla chiesa di appartenenza; esse facevano il voto di castità per tutta la vita e la vestizione avveniva in chiesa con una cerimonia solenne; l’abito monacale lo mantenevano anche nella loro casa; insegnavano il catechismo ed erano preparatori di comunione e cresima ai giovani di allora; visitavano i malati, le persone bisognose e assistienu all’agunia ( assistevano le persone all’agonia, mentre stavano per morire ). Certo non avevano gli studi come le suore moderne e per campare facevano i biscotti con le ricette della nonna: li ‘nsudi, li giambirlietti, li mastazzola, li sambiesiedhi ( festa di San Biagio ), li sanbruniedhi ( festa di San Bruno ). La monaca “di li Giacumi” non aveva bisogno di lavorare o di essere mantenuta, perché viveva di rendita in quanto apparteneva a famiglia borghese. In chiesa recitavano il rosario, le litanie, i vespri e difficilmente si assentavano dalle messe. Insomma erano ausiliari del parroco a tutti gli effetti”. Ne ricorda qualcuna: la Monaca di li giacumi ( già citata ), la Monaca di Maria Suncurza ( nella foto e deceduta nel 1965, parente dei Bartone/De Paola), la Monaca di li Pinti e la Monaca di li Franci ed altre ormai cancellate dal tempo e dall’incuria degli uomini”. Fine della piacevole e simpatica conversazione. Il nostro è un omaggio alla loro memoria e alla loro vita spesa per aiutare gratuitamente il prossimo con sacrificio ed abnegazione con rinuncia ai pochi piaceri che la vita dona.
Ci salutiamo con Giuseppina La Galla ( alla fine della conversazione vuole chiamata con il soprannome da parte del padre, così rispettando tutte e due! ) e usciamo più ricchi di cultura popolare e più ottimisti di quanto pensassimo. Andremo ancora a trovarla. Un grazie da parte della redazione e della collettività serrese.

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