Visita al monastero Greco-ortodosso di Bivongi, primo e unico in Calabria.
Nell’ambito del riavvicinamento delle religioni e confessioni diverse auspicate dalla Chiesa cattolica-cristiana, giorni orsono abbiamo deciso con don John Betancur ( sempre attento ed entusiasta ad iniziative nuove) e con altre persone, di andare a visitare il monastero di rito greco-ortodosso che sorge in agro di Bivongi (RC) e che è stato dedicato a San Giovanni Therestis (in greco “il Mietitore”), santo medievale che soggiornò in quel sito a cavaliere tra il X e il XI secolo e che seguì in tutto e per tutto la regola del monachesimo basiliano: distribuì tutti i suoi averi a poveri e malfamati e compì quella “fuga mundi”- che qualche secolo più tardi faranno propria certosini- ritirandosi in solitaria contemplazione. La mattina, di buon’ora, siamo partiti da Serra San Bruno percorrendo la Statale 110 che porta sulla costa ionica. Quasi ogni punto e località di questa antica strada ha suscitato in noi forti emozioni in quanto rappresenta un percorso di reminiscenze storico-religiose di un certo fascino, appartenenti a variegate epoche, ma che comunque non fanno parte di questo contesto e argomentazione che ci siamo proposti di sviluppare ma che ci impegniamo a riproporre ed illustrare in apposita e idonea sede. Dopo circa 50 minuti di viaggio, usciamo dalla statale e proseguiamo per una stradella interpoderale, dove nelle adiacenze, sorsero siti di una rilevante importanza storico-spirituale, intorno al monte Consolino, tanto che questo comprensorio fu denominato “Terra Santa del Basilianesimo in Calabria…”. Giungiamo finalmente alla nostra meta. Suoniamo ad un cancello di legno grezzo, ci viene ad aprire un monaco dal saio nero; calvo ma con barba e baffi lunghissimi, vestito con una tunica smunta e lisa, con i sandali da frate, ci accoglie con calore e semplicità; intanto si avvicina un cane bianco di nome Argos e una delle signore che sta in nostra compagnia dimostra timore per la presenza inaspettata di esso. Il monaco non parla bene l’italiano e dopo i convenevoli ci introduce nella chiesetta. Prima di entrare in essa diamo un fugace ma attento squardo all’esterno. La chiesetta, ricostruita sui ruderi dell’antica chiesa di stile bizantino, è molto bella ed è stata restaurata con mattoni e pietra grezza. Le celle, di nuova fattura, sono state realizzate sulle collinette sottostanti. Intorno al complesso monastico la primavera “brilla nell’aria e per i campi esulta”in quel sito quasi incantato. A monte ammiriamo il sistema orografico variegato e imponente delle rupi di Stilo e sotto la valle dello Stilaro, dove le fiumare si incontrano e si sperdono per poi ricongiungersi per sempre quando si riversano nel mare. Intorno tutte colline lussureggianti di verde condite da un sole splendente. Per adesso il monastero è abitato è gestito da Padre Genuadios (Ienadios), così si chiama il monaco che ci ha accolto, dicendoci senza mezzi termini che non vuole essere fotagrafato e che non ama la pubblicità giornalistica che mal si addice ad un religioso del suo ordine. Tuttavia la nostra curiosità e insistenza vincono per qualche minuto la sua timidezza e riservatezza, tanto che riusciamo a cavare qualche notizia (utile per noi e per i lettori) da quell’anima semplice e sincera. Lui ci informa che è di nazionalità greca, che ha 44 anni e che a diciotto anni è entrato come monaco nella penisola del Monte Athos in Grecia, dove sorgono diversi monasteri con oltre duemila monaci. Prima di lui questo sito basiliano era occupato da Padre Cosmas che da qualche anno è ritornato nella sua patria di origine. Ci dice che il suo nome significa più o meno “coraggioso” ma lui coraggioso non è. Ci spiega che la barba per gli antichi greci era segno e dimostrazione di forza, mentre per loro è solo tradizione plurisecolare. Continua a parlare informandoci che loro non sono monaci di clausura come i certosini, anzi, al contrario di essi, possono uscire e ricevere persone ma sempre in giorni ed ore limitate e prestabilite; ci dice ancora che loro monaci sono morti per il mondo, rappresentano il cuore della Chiesa, la loro vita è dedita solo alla preghiera, la messa viene celebrata in lingua greca sulla linea patristica e auspica anche alla Chiesa cattolica-cristiana un ritorno alla lingua madre latina. Quando parliamo di culture nazionali, ci spiega che non si deve parlare di cultura greca, italiana, francese ect., ma si deve parlare di una cultura mediterranea che ci accomuna, ci amalgama e alla fine diviene una cultura unica di cui l’uomo moderno europeo ha attinto per migliorare il suo sapere. Mentre lui continua a parlare senza inflessione alcuna, ci troviamo all’interno della chiesa. Essa si presenta semplice, disadorna, senza banchi. Di fianco sui muri, sono affrescati le figure, plasticamente effigiate, dei padri della Chiesa greco-ortodossa con una pittura di stile bizantino. Di fronte notiano l’altare, dove dietro di esso, i sacerdoti celebrano l’eucaristia e le funzioni religiose in lingua greca e con rito ortodosso. Sulla sinistra nella cappella e dietro l’altare, notiamo una figura arcana di monaco antico con in mano una falce pronto a mietere il grano. Si tratta di San Giovanni di Therestìs (come già detto, in greco il Mietitore) che è il santo al quale è dedicato il piccolo complesso monastico. Dopo circa mezz’ora dall’arrivo, la nostra visita o pellegrinaggio giungono alla fine. Lui conclude dicendoci che per partecipare alle loro funzioni bisogna chiedere l’autorizzazione al suo diretto superiore l’Archimandrita (Rettore) Padre Nilo che attualmente risiede a Melicuccà (RC) e che insegna diritto romano all’Università di Catanzaro. La pronuncia di quel nome ci rammenta il grande Nilo, un altro monaco e santo basiliano che onorò la terra di Calabria perché nacque nel 910 a Rossano e morì nel Lazio nel 1004. Fra le altre cose, fondò la badia di Santa Maria di Grottaferrata che ancor’oggi è abitata da monaci Basiliani che seguono la regola di S. Basilio Magno, vescovo di Cesarea nel IV secolo e Padre della Chiesa. Sito famoso per la copiatura di testi antichi, ancor oggi conserva manoscritti di un certo pregio culturale dove sorge una tipografia specializzata a stampare testi sacri. E qui ricompare ancora una volta il grande merito del monachesimo che è quello di avere trasbordato e veicolato a noi contemporanei la cultura antica, senza della quale saremmo stati più poveri nello spirito e più limitati nel sapere. Dopo un affettuoso saluto con la promessa che saremmo tornati, ci congediamo da quel monaco e usciamo dal quel complesso monastico con uno stato d’animo più quieto e leggero ma colmi di energie positive che ci aveva trasmesso quella persona speciale e meglio preparati ad affrontare i venti impetuosi della vita quotidiana.