Dove sono Elmer, Herman, Bert, Tom e Charley, il debole di volontà, il forte di braccia, il buffone, il beone, il rissoso? Tutti, tutti dormono sulla collina. (…)
Il perché di questi versi di Edgar Lee Masters come incipit di questo modesto articolo, lo spiegherò più avanti. Ascoltando Pino, i ricordi legati alla lettura di questo bel libro sono riaffiorati in me, ho colto il significato di questi versi in una nuova prospettiva.
Conosco questo viandante per vocazione e per diletto, dai tempi della scuola media, conosco la sua passione per la natura, per la montagna ma oggi ho scoperto qual è il suo sogno. Egli sta diventando il custode delle storie legate alla nostra montagna, alle località che lui visita con una certa frequenza: “Lu bellu”, “Panaru”, “Fimmina morta”, San Bruniedhu”, “Vasafimmini”, “Nivieri”, ecc. Luoghi familiari a noi serresi, soprattutto alle generazioni passate. Spesso si sono narrate storie di persone che hanno perso la vita in queste località, a causa a eventi atmosferici avversi, o incidenti, o in conseguenza a un’azione violenta.
Nel 2014 Pino, assieme a Nicola Macrì, si occupò di ricostruire l’evento nefasto dei tre “allampati”. Si racconta che il 2 giugno 1916, in contrada “Nivieri” tre mannesi furono colti da un improvviso temporale e cercarono riparo sotto un abete, ma, un fulmine si abbatté su di loro e rimasero folgorati. I familiari, non vedendoli rientrare dal lavoro, preoccupati per le cattive condizioni del tempo, diedero l’allarme e molti compaesani si recarono sul luogo, dove trovarono i corpi di Albano Salvatore e De Lorenzo Giuseppe Maria, mentre il terzo: Figliuzzi Ruggiero era ancora vivo. I soccorritori costruirono delle rudimentali barelle per trasportare le vittime, a ogni sosta era posta una croce. Il terzo malcapitato morì in contrada “Siettu di li chianchi” vicino a Rosarella mentre si tentava disperatamente di farlo arrivare in paese ancora vivo.
A questo punto Pino mi racconta che un giorno, trovandosi sul luogo dei “tre allampati”, vide che davanti all’albero c’era un cumulo di cenere, probabilmente un piccolo incendio divampato a causa di qualche lumino votivo lasciato sul posto della disgrazia, si preoccupò di rimuovere la cenere depositata davanti all’albero che ormai è diventato un luogo di preghiera e di ricordo dove, da diversi anni, il 2 giugno è celebrata una Santa Messa in ricordo delle vittime di quel giorno, assieme a tutte le vittime della montagna. Dopo qualche giorno incontrò la nipote di Figliuzzi Ruggiero che gli disse di aver sognato quella notte il nonno tra la cenere… Una strana coincidenza!
Interessante è il racconto di un episodio accaduto attorno al 1968 presso Ferdinandea dove un signore, Spagnolo Giuseppe, di Laureana di Borrello si era recato ad acquistare del carbone. Per arrivare alla carbonaia, fece salire suo figlio su un mulo che dopo un po’ buttò il ragazzino facendogli male alla spalla. Lo Spagnolo allora fece andare il figlio sul camion e lui salì in groppa al mulo ma, nel momento in cui doveva scendere, gli rimase il piede in una staffa, il mulo non arrestò la sua corsa e il signor Spagnolo fu trascinato e sbattuto tra alberi e rovi. Una morte atroce e lenta! Da una lapide posta sul luogo della morte di questo signore, ebbe inizio la curiosità di Pino, il suo desiderio di ricostruire le storie delle persone perite in montagna. Questo episodio gli fu raccontato da uno dei protagonisti, proprio da quel ragazzino, allora quattordicenne, che ricorda ancora nitidamente quanto accaduto più di cinquanta anni fa.
Il mio interlocutore è un fiume in piena, racconta di molte donne morte per assideramento. Nemmeno i rigidi inverni le facevano desistere dall’andare in montagna a raccogliere la legna da ardere. Erano tempi duri, non esistevano mezzi di trasporto, non c’erano strade, non vi erano molte possibilità economiche e le persone dovevano fare molti sacrifici per portare avanti la famiglia.
Un giorno Pino si è soffermato su una croce a “Vasafimmini” che ricorda la morte per congelamento di un tale, un pescivendolo proveniente da Sant’Andrea che veniva a vendere il pesce a Serra. Molte persone si spostavano a piedi da un paese all’altro percorrendo percorsi anche non battuti di montagna, le insidie erano davvero tante.
Morti per congelamento anche tre appartenenti alla stessa famiglia presso il Passo di Pietra Spada, probabilmente nei primi del ‘900. Le varie località denominate “Fimmina morta” ricordano le morti per congelamento di alcune donne che percorrevano i sentieri impervi e solitari per procurarsi la legna per il fabbisogno della propria famiglia. Le donne serresi che andavano a raccogliere legna in montagna, incontrando le croci che ricordano le donne morte per congelamento, ponevano un legno sul luogo e accendevano un piccolo falò, forse pensando di dare un po’ di ristoro all’anima della donna morta per il freddo. Gesti che possono essere incomprensibili ai più, ma, per la gente di montagna erano parte di un rituale importante.
Anche ai primi del ‘900 risale la morte per congelamento del “Tamburinaru” a Santa Maria, un suonatore di tamburo che veniva da Acquaro forse per suonare ad una festa di paese.
Molte anche le morti a causa di incidenti di caccia, com’è testimoniato dalle croci a “Boscarello”, nei pressi della Lacina, o dalla croce di “Panaru” dove fu ucciso un uomo, nel 1860 circa, mentre stava raccogliendo fragole.
Vittima dell’esplosione di una bomba un ragazzino di quattordici anni: Bruno Tassone detto “patata”, mentre stava pascolando le mucche, anno 1943.
Presso la località “Lu bellu” si trova la “cruci di lu priguri” o “acqua fitusa” che ricorda la morte di un uomo che aveva bevuto alla fonte, probabilmente acqua avvelenata.
La “Valle di lu campulisi” invece fu teatro di una lite finita male tra due persone ubriache nel giorno di ferragosto, si colpirono a vicenda a colpi di accetta.
L’episodio che rimane ancora un giallo insoluto è quello di Bruno “ligatu”, morto appunto legato a un albero e sparato. Probabilmente quest’uomo era un brigante, in seguito ad una scommessa, un gioco, fu legato all’albero e ucciso.
Pino sta ricostruendo tante storie, tra queste, quella di Salvatore Pelaia, detto “Bonasira” morto a Rosarella. Il Pelaia, diciannovenne, doveva partire in guerra, quel giorno era andato in montagna con i suoi familiari, stavano trascinando tronchi quando gli dissero di mettersi in mezzo ai buoi, a una discesa, uno dei tronchi cominciò a scivolare per poi bloccarsi a un certo punto, egli continuava a tirare, ma il bue gli schiacciò la testa a un albero! Tragica fine di un ragazzo che aveva una vita da vivere.
Le storie raccontate da Pino fanno pensare a quanto sia stato duro vivere senza i mezzi dei quali ci serviamo oggi nella quotidianità, percorrere tanti chilometri a piedi sentieri scoscesi, al freddo, con i temporali, esposti a pericoli di varia natura. Storie delle quali egli è diventato uno scrigno dove custodirle e tramandarle alle generazioni successive. Pino ha un sogno: porre sulle croci una breve epigrafe che possa far conoscere a tutti chi lì perse la propria vita e il perché. Chiunque si trovasse a passare da quelle parti si possa fermare e ricordare, pregare per quelle vite strappate prematuramente e che ora … dormono, dormono sulla montagna.