Uscire dalle tenebre fu sempre l’aspirazione dell’uomo. I serresi cercarono di uscire dalle tenebre nell’anno 1893, quando videro che gli abitanti di Nicastro e di Monteleone, due paesi distanti solo pochi chilometri, erano usciti dalle tenebre prima di loro. «Come, loro sì e noi no?» Fu così che un po’ per invidia, un po’ per spirito d’imitazione anche i Serresi invocarono l’avvento della luce. Non stiamo parlando dell’avvento della luce di Dio, ma dell’avvento della lampadina. Più precisamente stiamo parlando dell’avvento della corrente elettrica la quale avrebbe acceso le lampadine e, quindi, avrebbe consentito ai cittadini di uscire fuori dalle tenebre della notte e vedere finalmente la luce. “O chi luci, o chi luci o chi alligrizza’- gridava il poeta mastro Bruno Pelaggi in una delle sue poesie e sognava di vivere in un mondo dove il sole splendeva anche di notte e lui, invece di andare a letto, s’intratteneva allegramente con gli amici a giocare a carte nella piazza. “Cu’ s’aspettava mai sta cuntintizza –scriveva – di notte mu nc’è lu suli ntra sta chiazza!”
All’epoca mastro Bruno ricopriva la carica di consigliere comunale e, volere o volare, nella decisione della pubblica amministrazione di portare l’energia elettrica a Serra, c’era pure il suo zampino. Ma, siccome era un criticone per natura, non esitava a parlare male anche di se stesso. “Lu municipiu –diceva – ‘ndi calau ‘sta pizza: ventiduimilaliri pi ‘sta cazza”. Si trattava indubbiamente di una grande innovazione e di un importante passo in avanti verso il progresso e la modernità. Ma, tutto questo al poeta non stava bene: per lui vi erano cose più importanti a cui pensare come il completamento della strada lungo l’Ancinale oppure la realizzazione dei tombini per le vie dell’abitato perché ogni volta che pioveva l’acqua allagava le strade e lui, che ogni giorno tornava a casa dal convento dove lavorava, si ritrovava con le scarpe e i piedi bagnati.
Avvenne che un giorno capitò a Serra Robert Holtmann, un ingegnere, che era venuto dalla Svizzera, chiamato dalla famiglia Fabricotti per collaudare una turbina elettrica nello stabilimento di Santa Maria. L’ingegnere Holtmann era rappresentante della ditta Zelleweger & Cremberg con sede a Uster nel Cantone di Zurigo e si occupava della produzione di apparecchi elettrici. Non si sa se a prendere l’iniziativa fu il Comune oppure se la proposta partì dallo stesso ingegnere il quale aveva fiutato un grande affare. Fatto sta che il 22 aprile di quello stesso anno il Comune stipulò un contratto col quale il signor Holtmann s’impegnava a portare nel giro di sei mesi la corrente elettrica a Serra per una somma pattuita di lire 18.500. Il progetto prevedeva la realizzazione di una centrale elettrica ad acqua da insediare nei pressi della segheria comunale in località Archiforo e con l’energia ottenuta si potevano alimentare 150 punti luce dei quali 80 destinati all’illuminazione pubblica e 70 da concedere in uso ai cittadini per illuminare le abitazioni private.
Così fu scritto e così fu fatto. Nei tempi stabiliti tutto fu pronto per fare arrivare la corrente elettrica in paese e dare il via all’accensione delle lampadine, già piazzate per le strade. L’inaugurazione fu fissata per il giorno 13 maggio 1894 con inizio alle 20:30, ora in cui sull’abitato calavano le tenebre. Quella sera, contrariamente a quanto solitamente avveniva, l’addetto del comune non passò per le strade del paese ad accendere i lampioni a petrolio con lo stoppino. Al loro posto erano stati piantati i pali che sostenevano le lampadine. Nella piazza principale dell’abitato fu realizzato un grande palco, il Corso era stato tutto imbandierato con festoni e nastri tricolori, la banda musicale con tamburi e tromboni faceva il giro del paese e i bambini allegri e festosi correvano dappertutto, completando al meglio quella che doveva essere la scenografia delle grandi occasioni. Il programma prevedeva prima il discorso dell’ingegnere Holtmann, esecutore dell’opera e poi, in gran solennità, quello del sindaco. Quest’ultimo a metà del suo parlare avrebbe dato il via all’accensione delle luci. L’ordine sarebbe stato immediatamente trasmesso tramite il tintinnare della campana della chiesa dell’Assunta ad un addetto elettricista il quale, all’interno di una cabina situata nei pressi del vicino fiume Ancinale, avrebbe innescato le leve degli interruttori. In quel preciso momento tutte le luci dell’abitato, comprese quelle delle case si sarebbero accese e il paese sarebbe stato tutto illuminato. Un vero miracolo dell’intelligenza umana!
Ma le cose non andarono così. E’ vero che l’ingegnere fece il suo discorso con tanto di applauso finale. E’ vero anche che il sindaco parlò con grande orgoglio e con tanto di fascia tricolore, esaltando l’operato dell’amministrazione comunale, ma quando quest’ultimo diede il via all’accensione delle luci e la campana del’Assunta tintinnò, l’addetto innescò gli interruttori, ma l’illuminazione fece FLOP. Per dirla meglio, non successe nulla. Nessuna luce si accese e la corrente elettrica alla centrale d’Archiforo era e alla centrale d’Archiforo rimase senza nemmeno spostarsi di un millimetro.
Grande fu lo sgomento e la meraviglia della gente che era accorsa a gremire la piazza anche dai paesi vicini. E grande fu lo sgomento e la meraviglia del sindaco, che rimase impietrito e muto per la vergogna davanti a tutte le autorità presenti e a quell’immensa folla, pronta a far partire l’applauso e rimasta immobile con le mani congiunte, ma ferme una sull’altra.
Nel buio pesto di quella sera l’ingegnere Holtmann, dopo essersi riavuto da quella brutta e imprevista sorpresa, cercò di salvare il salvabile e, scendendo velocemente dal palco, si diresse come un matto verso la cabina d’Ancinale. Una volta all’interno, imprecando contro l’addetto elettricista, tacciato con rabbia come un buono a nulla, si mise ad azionare le leve degli interruttori, facendole andare sù e giù come se la colpa del mancato passaggio della corrente fosse totalmente loro. Ma ogni manovra fu completamente inutile: la corrente non arrivò, le lampadine non si accesero e il paese rimase totalmente al buio. Immaginate la faccia di mastro Bruno Pelaggi che, per curiosità era andato anche lui in piazza e si trovava in mezzo a quella folla incredula e ammutolita. Di certo era molto compiaciuto della figuraccia che stava facendo il sindaco e tutta l’amministrazione comunale e rimurginava in cuor suo la poesia che avrebbe fatto all’indomani. “Sti cunzigghjieri stupidi e minchiuni/vurianu currjiati cuomu cani/cu frischji cu lignati, cu vastuni/cu pitrati, ma gruossi mazzacani.”
Successe, quindi, che, per non deludere ulteriormente le aspettative della gente, l’ingegnere Holtmann mandò in tutta fretta alcuni tecnici alla centrale di Archiforo per vedere cosa era successo e conoscere il motivo per cui la corrente non arrivava. Nel frattempo la gente che attendeva nella piazza dava segni di nervosismo e agitazione. Vi era tra la folla anche un certo mastro Custuoddu il quale di professione faceva il calzolaio, ma aveva fama di essere un sapientone che tutto sapeva e tutto faceva. Si pensò, allora, d’interpellarlo per sapere da lui le cause del perché la corrente non arrivava. Mastro Custuoddu chiese subito di esaminare un pezzo di filo di quelli che passavano da un palo all’altro e che dovevano trasportare la corrente elettrica. Glielo portarono e, dopo averlo esaminato a fondo, sentenziò: “Questo filo è tutto pieno. Al suo interno non ha nemmeno un buco. Come fa la corrente a passare?” Si udì una voce da un angolo della piazza: “I soliti imbroglioni. Hanno utilizzato il filo sbagliato per risparmiare e fregarsi i soldi del Comune!” Vi fu un trambusto generale. Un gruppo di persone male intenzionate si avvicinò minaccioso all’ingegnere e già qualcuno sollevava il bastone pronto a dargliele di santa ragione. Buon per lui che proprio in quel momento le lampadine dei lampioni, che erano stati sistemati tutt’intorno alla piazza, cominciarono ad accendersi, ma di una luce fioca e tremolante che non consentiva a chicchessia di vedere oltre la punta del proprio naso. Tanto bastò perché l’ira della folla si placasse. L’attenzione fu tutta rivolta al miracolo della luce elettrica che in quel momento sebbene esile e sottile cominciava ad arrivare attraverso quei fili pieni e senza buco.
Era successo che nei giorni precedenti era piovuto a dirotto e l’acqua scorreva veloce nel canale. La turbina girava a tutto spiano, ma la corrente invece di camminare sui fili si disperdeva nell’acqua. I tecnici erano riusciti a recuperare solo una piccola parte della corrente che si disperdeva, ma era talmente poca che le lampadine si illuminavano appena. Narrano le cronache che quella luce fioca e tremolante si vide solo per tre sere, poi nulla più e il buio tornò totale. Acché, sopra di tutte, si levò alta la voce di mastro Bruno: “Sai chi mi resta mu vi dicu sulu?/Ca cuomu cazzi ristamma allu scuru.”
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