Utile premessa – La lavorazione del ferro da parte del sapiens risale nella notte dei tempi, tra il IX e l’VIII secolo a.c. nell’Europa settentrionale e quindi anche in Italia. Una trattazione particolare verso questo prezioso metallo non mancò neanche nella mitologia, dove il Dio Vulcano (per i Greci Efesto), noto per la sua bruttezza, ma famoso e apprezzato nel mondo antico, per la forgiatura originale di armi e scudi nella sua officina divina, usati in battaglia dagli eroi del suo tempo. Oggi nell’osservazione del tessuto urbano emerge l’abbondanza dei metalli, versatili, duraturi e derivanti dalla Natura, che costituiscono l’arredo cittadino come cancellate, pensiline e grate “finestrali”, specialmente a Serra e in Calabria, dove l’artigianato d’élite si propagò durante i germi della rivoluzione industriale.
La tecnica arricchisce la fantasia – Questa volta la nostra attenzione cade su Nazzareno Vavalà che da 40 anni lavora il ferro, sia perché è stato segnalato da più lettori e sia perché abbiamo ammirato ed analizzato alcuni suoi lavori, trovandole interessanti e superiori a quelle standard che si vedono nel tessuto urbano di Serra, ora emulando le opere storiche di altri e ora inventandone nuove, dopo un lungo processo di riflessione. Nato 56 anni fa a Serra, iniziò a 16 anni andando “allu mastru” da un altro noto forgiaro, Lino Marino (Lu Ccliu) che a sua volta proveniva dalla bottega di una storica famiglia di fabbri di Raffaele Pace (Ncinni). Anzi proprio “Mastru Micu”, il figlio maggiore di “Mastru Rafieli”, dove aver chiuso la sua attività per limiti d’età e di malattia, andava a trovarlo e spontaneamente l’aiutava senza pretendere alcun compenso, perché aveva trascorso la sua vita nella sua forgia e gli mancava forse l’odore acre dell’officina e la fuliggine che si posava via etere sulla pelle. In queste occasioni gli insegnava qualche “segretuccio” di mestiere che Nazzareno conserva ancora gelosamente, in omaggio alla memoria di un grande artigiano del passato. Il nostro autore si è dedicato alla lavorazione del ferro e di meno ai suoi derivati. La tecnica eseguita è quella della forgiatura a mano, come la battitura continua a mezzo di strumentazione meccanica, come magli o similari che scendono e salgono scandendo il ritmo desiderato che urta e sagoma il grezzo metallo surriscaldato, mentre con la tenaglia e altri utensili, il ferro alla stato originario, viene girato e rigirato in tutti i versi, per raggiungere con molta pazienza e duro lavoro, la forma immaginata nella rigogliosa fantasia dell’artigiano: ed ecco apparire man mano i manufatti plasmati, lisci e di forme flessuose ma regolari. Molto di meno viene usata la tecnica della battitura a caldo, più antica ma più faticosa dove il maglio viene sostituito da un martello o mazzetta che impegnano ambedue le braccia del lavoratore. Infine non sarebbe completa la competenza del nostro protagonista, se non citassimo la sua dedizione al restauro degli oggetti antichi pensati e realizzati dai suoi avi, rinomati in Calabria e a Serra. Il restauro degli utensili e arredi ferrosi antichi, abbisogna di una sottile maestria, perché la superfice del ferro si ossida, si sfalda, si arrugginisce perdendo la sua brillantezza iniziale e per di più necessita pensare con la testa del predecessori che non ci sono più.
Alcune sue opere: alla ricerca del Bello – Per questo siamo andati a specolare con acribia intorno alle sue opere, per involare sempre di più notizie e fatti che ci consentissero di scrivere queste note, corredate da foto originali. Da esse si evince quanto noi sosteniamo. Le immagini sono esempi concreti per l’occhio umano. Alcuni dei suoi lavori che in questa sede vengono scandagliati,rendono giustizia di quanto abbiamo affermato. Ultimamente si sono vestiti di nuovo i vasi che abbelliscono il monumento dei caduti di Serra. Sembrano solo verniciati quando invece è stato eseguito dall’autore un sottile lavoro di restauro; la croce posta sulla chiesa Matrice distrutta da un fulmine il 30.03.95 e dopo il suo intervento reinserita al suo posto. LUI l’ha prima ricomposta (misura 120 cm. X 190…alcuni pezzi trovati vicino il monumento) e adesso svetta verso l’azzurro cielo, al di sopra dei graniti scolpiti dagli abili artigiani serresi, laddove la pietra e il ferro compongono un sodalizio armonioso. Tale giudizio vale pure per il cancello interno della Chiesa Addolorata di nuova fattura, che chiude il locale dove è posto il Cristo morto portato nella processione di Pasqua; anche qui colpisce il gioco simmetrico del disegno che sembra ricamato, rifinito con quadrello, decorazione greca e le aste verticali collegati da rombi che richiama l’altare del Fanzago (la decorazione greca) e s’innestano armonicamente in quel luogo sacro; nelle ultime due opere di rara venustà, l’autore si cimenta a cesellare il ferro in un gioco di forme e movimenti per raggiungere un effetto ottico diretto alla ricerca del BELLO; Come nel Cristo stilizzato (opera ancora incompiuta) dal significato teologico, dove la tecnica stimola l’immaginazione azzimata e abbellita dalla bellezza dell’opera , viene rappresentato il Salvatore inchiodato sui rami di ulivo in una scenografia drammatica dove contrastano la sofferenza del Signore che si sacrificò per il mondo, auspicando la pace fra gli uomini con la simbologia dell’ulivo. Infine la croce con l’uva, dove l’artista svetta per abilità e audacia, creando dal nulla un’opera interessante per gli studiosi; e qui che l’algido metallo dimostra una inconsueta vitalità, come se potesse parlare ai visitatori che l’ammirano; e sempre l’arte sacra che guida l’istinto, l’estro e le pulsioni dell’autore nella simbologia della croce che rappresenta, come nella precedente, la sofferenza degli uomini ma incastonata nell’uva che rappresenta il frutto della Natura che può divenire vino, sangue di Cristo e linfa vitale per l’uomo. Il modellato è liscio, equilibrato e contiguo in una simmetria di movimenti a tratti flessuosi in modo che i suoi componenti convergono verso l’imponente elemento della Croce. La luce non rivela ma partecipa alla composizione, schiarendo le forme e disperdendosi negli anfratti delle ombre. Questa breve trattazione finisce qui: anche se l’autore è di carattere schivo e riservato, le sue opere meritano di essere divulgate nelle giuste e meritate sedi.