Nel 1877 Giuseppe Maria Pisani (Serra San Bruno, 1851-1923) e Luciano Cordiano (Serra San Bruno, 1851-1915) aprirono uno studio fotografico denominato Il Genio dando vita ad un sodalizio tecnico-artistico per il quale possono essere considerati tra i pionieri della fotografia in Calabria. I due fotografi avevano una formazione diversa: Luciano Cordiano, chimico professionista, aveva studiato farmacia dopo un apprendistato nella bottega del padre Michele, uno speziale proveniente da Casalnuovo, mentre Giuseppe Maria Pisani, iscritto nel 1871 all’Accademia di Belle Arti di Napoli, studiò pittura ed ebbe come maestro Domenico Morelli. Nel 1874 conobbe Mariano Fortuny e la sua pittura risentì delle riflessioni sulle opere dello spagnolo incline agli effetti corposi di materia pittorica nell’impasto cromatico degli incarnati. Negli anni Ottanta, gli anni più vitali del dibattito sul realismo, la sua tecnica divenne più raffinata e continuò a dipingere a Napoli nell’orbita dei seguaci del Morelli.
Nello stesso fecondo periodo dipinse molti paesaggi e soprattutto ritratti fortemente veristi, donne e bambini quasi sempre di estrazione popolare, forse non con scopi di denuncia sociale, ma per un tentativo di documentare la vita del suo tempo. La permanenza a Napoli di Giuseppe Maria Pisani fu intervallata da frequenti ritorni a Serra San Bruno dove, intanto, fervevano altre attività. Nel 1880 aprì un opificio artistico con l’intagliatore Gabriele Regio per favorire lo sviluppo delle arti applicate in cui i serresi erano maestri, nel 1881 fondò la Società operaia di mutuo soccorso, una istituzione liberale con scopi assistenziali per gli artigiani serresi, un vero e proprio sindacato ante litteram, e nel 1882 fu chiamato a dirigere le scuole comunali di disegno. Tuttavia tra tanti interessi coltivati, un ruolo di primo piano lo ebbe la pratica fotografica. La fotografia e la pittura andavano di pari passo in quegli anni: anche a Serra San Bruno si cercò di unificare le due arti sfruttando l’una a vantaggio dell’altra. Le prime immagini policrome, ad esempio, venivano realizzate su vetro colorandole ad olio sul verso, e finivano per ottenere l’effetto desiderato a causa della trasparenza del supporto. I più antichi cartoncini formato visita, reperiti nelle Serre calabre, dimostrano come i ritratti fossero condizionati dalle composizioni pittoriche tradizionali. Le pose assumevano quel tipico atteggiamento di pensosa naturalezza che divenne patrimonio delle classi borghesi di tutta Italia. Inoltre, i fondi neutri dietro le figure, che facevano da contrappunto ai valori del soggetto ritratto, gli effetti plastici e l’intensità espressiva, divennero caratteristiche comuni a molti lavori degli anni Settanta quando, l’introduzione del processo al collodio modernizzò tecniche ormai considerate primitive. Gli acidi fotografici e i composti chimici in parte sopravvissuti nelle loro caratteristiche bottiglie di vetro blu venivano acquistati presso la Maison de produits chimiques Imbert & Cia sita a Napoli in via Toledo al numero 339 mentre altri materiali arrivavano dalla ditta fondata da Bernhard Wachtl a Vienna. Gli obiettivi giunti fino a noi con le ottiche ancora intatte, di forme e dimensioni diverse, recano marchi prestigiosi, come Derogy o Voigtländer ma spicca tra loro il Pantoscop realizzato da Emil Busch, un ottico tedesco direttore dello stabilimento di Ratenow. Le lastre al bromuro d’argento realizzate negli anni Ottanta, dimostrano l’attività costante di documentazione del patrimonio culturale. A tal proposito, alcune di quelle conservate nell’archivio della Certosa di Serra San Bruno, attribuite allo studio fotografico Il Genio, in parte pubblicate nel 1983 da Ilario Principe, documentano attraverso l’occhio dell’artista, il dissenso nei confronti dei lavori di ricostruzione del monastero bruniano alla fine del XIX secolo perché l’architetto francese François Pichat aveva deciso il totale abbattimento delle antiche fabbriche cinquecentesche.
Di conseguenza nei gruppi familiari degli artisti ed artigiani che formarono il grande cantiere, gli Scrivo, i Barillari, i Drago, i Pelaggi, non ci fu Giuseppe Maria Pisani che si era posto in posizione polemica nei confronti dei demolitori francesi. A tal proposito assumono particolare importanza due fotografie, le uniche conosciute stampate da lastre al bromuro, che recano nella parte retrostante il timbro dello studio fotografico Il Genio: rappresentano la facciata della cinquecentesca certosa con le statue di Santo Stefano e San Bruno ancora nelle nicchie, prima della loro rimozione, e una veduta panoramica del complesso monastico cinto dalle mura turrite che documenta la posizione esatta delle fabbriche prima della loro demolizione. Due documenti eccezionali per la ricostruzione della storia del convento certosino. Altra fotografia di sicuro interesse è quella che rappresenta un gruppo di amici tra cui si riconoscono Giuseppe Maria Pisani e Luciano Cordiano realizzata con l’autoscatto. Uno degli amici durante il tempo di posa fece la “linguaccia” rovinando la foto ma in fase di stampa fu “cancellato” e sostituito con un drappo bianco, facendo apparire una tavola di legno nodoso laddove c’era un tendaggio. Interessanti pure le foto scattate per Achille Fazzari, tra cui quella che lo ritrae in riposo dopo una battuta di caccia sui gradini del “Dormitorio” di San Bruno, pagate 100 lire, come dimostra un biglietto autografo reperito tra le carte di famiglia. La maggior parte delle lastre al bromuro sopravvissute al tempo ritraggono i monumenti più importanti di Serra San Bruno, dagli scannelli delle statue marmoree seicentesche ai preziosi paramenti della chiesa matrice. Spicca tra le altre il tabernacolo della chiesa dell’Addolorata completa dell’angioletto originale trafugato nel 1982. Le altre ritraggono personaggi appartenenti ad un piccolo mondo antico ormai dimenticato a causa dell’anonimia dei loro volti: le pose e i vestiti testimoniano il gusto e la moda del loro tempo, una documentazione eccezionale della storia del costume di un piccolo lembo della Calabria sopravvissuto all’oblio. Lo studio fotografico Il Genio chiuse l’attività tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento quando ormai a Serra San Bruno altri fotografi si facevano concorrenza tra loro: La fata di Bruno Barillari, di cui è stato reperito un solo cartoncino timbrato e datato 1894 che raffigura una bambina ritratta post mortem, lo studio fotografico di Raffaele De Francesco, di cui null’altro si conosce se non il timbro, quello di Salvatore Scrivo e del più prolifico Antonio Gambino già ampiamente trattati da Antonio Panzarella. Tra i tanti fotografi serresi spicca pure la figura di Giuseppe Calabretta, ultimo erede di un modo antico di fare fotografia, noto per la documentazione di volti presi dal popolo, espressivi e plastici.