All’entrata del rione Zaccano, sulla sinistra, c’è la casa che Innocenza-Rosa (Nucenzarosa) Pelaia, figlia di mastru Biasi e di Virginuzza Pelaggi, portò in dote allora del suo matrimonio con mastru Michieli Vinci, sarto.
In quella casa, dove si sono cresciuti una nidiata di bambini, c’era posto per tutti: i discepoli di mastru Michieli; i compagni di Bruno; di Pieppi, sì, quel Pieppi che ho citato altre volte e continuerò a citare; di Gina; salto Stella perché le sue compagne lei le riceveva in casa della nonna Virginuzza, a Largo Sette Dolori, dove abitava; di Micuzzu, morto prima che raggiungesse l’adolescenza; di Biagio; e, immagino degli altri. Di questi ultimi però non ne posso parlare, ero già partito a vivere la prima avventura in compagnia di Pieppi, in Svizzera.
Quando non c’era piú posto al braciere, la buona Nucenzarosa, invitava i piú intimi nell’altra stanza, dove c’era il caminetto:
“ -A Cicciu mio, vattindi alla ciminera” e non era poco dire: pochi eravamo i privilegiati aventi diritto “alla ciminera”. Gina era la prima a seguire ed a formare cosi’ un secondo gruppo.
Oltre a queste due stanze, la bottega e la cucina, al piano superiore c’erano due camere da letto. Ad esse si accedeva e per la scala interna, il sottoscala nascondeva il gabinetto, e dall’esteriore, per una scala di pietra, limitrofa.
Da quella scala, infatti, salivano i Vinci e salivano gli Albano:
Teresina Tucci, figlia di mastr’Angelo e Luigi Albano di l’Angiluni, calzolaio, organista, senza figli.
La scala, fatta in granito, con tanto di sottoscala che apparteneva a Teresina, si sviluppava fino ad occupare la meta’ della strada. Di là le liti.
Hanno tentato, nel corso degli anni, di far fare una curva agli ultimi scalini.
Fin qui le due famiglie erano d’accordo. Ma, dove farli girare? Verso mastru Luvici, ostruendogli l’entrata o verso mastru Michieli ostruendogli la finestra?
Ed i commenti:
“- Avimu m’allargamu la strata ca Michieli Vinci ava mu passa cu l’atamobili” diceva mastru Luvici.
“- No” rispondeva l’interpellato, “l’allargamu mu passa Tirisina cu la carruzzella”.
Gli spettatori si godevano le liti piene di arguzia e di trovate originali.
E le botte e risposte:
Passava di là verso mezzogiorno, un amico comune.
“-Buon appitittu”
“-Buonu pi d’utri” rispondeva mastru Michieli.
“- Mancu pi stringhi” faceva eco mastru Luvici.
Quando Bruno, il maggiore dei Vinci, era sulla ventina, comprò la prima macchina, una Lancia Augusta. Il padre non la degnò d’uno sguardo. Andò nella bottega di mastru Luigi e con quanto fiato a veva in gola, gridò:
“- A Luvici, vidi ca io passu cu la machina, Tirisina (che era allora sulla sessantina) quandu passa cu la carruzzella?
Scendeva (non da uno di quegli usci) ma da quella scala, Pieppi. Era Carnevale e lui si era “vistuto di mascaratu”. “Lu caru maestru”, Michieli Vinci dixit, l’aspettava, anche lui “vistutu di mascaratu” ai piedi del scala.
Pieppi aveva messo il mantello, il cappello e i gambali del padre.
Eravamo ancora sotto i dieci anni e i gambali arrivavano a metà coscia, rendendo impossibile il piegamento del ginocchio, Pieppi non si perse d’animo, si adagiò con la schiena sugli scalini e si fece scivolare trattenendosi, come poteva, con le mani. Ad ogni scalino la testa sbatteva sul granito e, scendendo, sbatteva sempre piú forte e sempre piú velocemente.
Arrivò all’ultimo gradino,indolenzito ma trionfante. Lo aiutai ad alzarsi e poi a piegarsi ancora per non farsi vedere, dalla finestra, dal padre. Svincolammo verso Guozzi dove un altro compagno, Michelino Marino ci aspettava…
Chi conobbe Pieppi Vinci,ebbe modo di conoscere la sua simpatia ma pochi, pochi davvero, la sua generosità. Pieppi era oltremodo generoso. Quando andavo a Toronto per ragioni di lavoro, arrivavo di sera. Ci vedevamo e lui, pur di passare ancora un’ora col vecchio compagno, era pronto ad assentarsi dal lavoro notturno che svolgeva nelle autorimesse degli autobus del comune di Toronto. Ci voleva tutta la mia persuasione a convincerlo di andare a lavorare.
Quando era ventenne, messe su “Tua” il famoso annuncio:
“Non bello ma simpatico, cerca anima gemella, scrivere a patente No…” ”Arrivarono trentadue lettere. Andò dalla nonna Virginuzza e mostrando le lettere, anzi mettendogliele, “ntra lu faddali” disse:
“-A nanna aju trentadui ziti”
“- A boia randi, ca cuomu facisti”
“-A nanna ancora non mi vittaru”
Quelle lettere furono lette da mezzo paese, qualcuno voleva qualche indirizzo per iniziare la corrispondenza, ma Pieppi fu irremovibile.
Poi ci fu la frana di Nardo di Pace e venne il Presidente della Repubblica. L’occasione era troppo bella per non approfittarne e combinare una marachella.
Con una macchina nera, andammo verso Santa Maria, all’uscita della visita alla Certosa, ci accodammo, meglio, ci infiltrammo, malgrado i colpi di claxon della scorta, nel corteo presidenziale a ricevere i battimani dei paesani. Io, vestito di scuro, mi ero seduto dietro, lui al volante.
Tutto andò bene fino al palazzo Zaffino, battimani a non finire. Ma sullo scalino di mastro Domenico Sodaro, dove il corso è piú stretto, c’era una cara amica, Licia Gambino. Ci riconobbe.
“Mala nova mu li vena, iddhi sugnu”.
E non era necessario precisare chi fossero.
Mi fu detto, allora avevo lasciato il paese per il Canada,che una volta Pieppi, “abballau lu ciucciu” pare che nessuno l’abbia mai fatto bene come lui.
E le imprecazioni che riceveva quando era operatore al cinema e si rompeva la pellicola. Ma lui non si faceva impressionare. Continuò imperterrito istruendo gli operatori che gli succedettero.
In Svizzera, quando voleva farsi un giro di macchina, e voleva farselo sempre, ricorreva alle sue conoscenze di meccanica. Apriva il cofano, intingeva il dito nell’olio e lo portava poi sulle puntine platinate. Aspettava allora il proprietario che tentava di farla partire. Lui allora si avvicinava e diceva:“moi mecanisien” .
Pulite le puntine, la faceva partire. Rifiutava il compenso, ma voleva provarla. Io rimanevo col proprietario che vantava i meriti e le conoscenze tecniche di Pieppi.
Un giorno… no, questa la lascio per un’altra volta.