Abbiamo raccontato nei numeri precedenti le tragiche vicende serresi legate ai moti rivoluzionari del 1848. Si tratta di una importante pagina di storia locale che merita di essere ricordata sia per comprendere i coinvolgimenti che la nostra cittadina ebbe durante le lotte costituzionali sia per far luce su alcuni fatti che lasciarono un’impronta indelebile negli anni successivi e diedero ulteriori sviluppi all’assetto dello stato sociale negli anni che seguirono.
Lo scontro decisivo tra le forze realiste, favorevoli al re, e le forze liberali, favorevoli alla promulgazione della Costituzione, avvenne nei piani dell’Angitola dove un manipolo di rivoltosi, gran parte dei quali racimolati nei comuni di Maida e Filadelfia, si era concentrato per organizzare la resistenza dopo le pesanti sconfitte subite ad opera delle truppe reali sia nella città di Napoli sia nelle province del Regno. Serra era miracolosamente scampata alle punizioni per non aver voluto mandare volontari a combattere a fianco dei rivoltosi e, mantenendo una posizione neutrale, era rimasta a guardare pronta a subire le conseguenze sia nella buona che nella cattiva sorte di quella lotta che, tutto sommato, non la riguardava. Profondamente cattolica di detto e di fatto, la popolazione sentiva profondamente l’influsso del numeroso clero all’epoca officiante nella cittadina il quale si era messo dalla parte del Sommo Pontefice, anche lui riluttante nel concedere la Costituzione ed, inoltre, si sentiva saldamente legata al re non solo come suo sovrano, ma anche come garante dei diritti civili e religiosi di cui, nel suo piccolo, ogni persona sentiva di poter godere. Per non sottovalutare, poi, anche il rischio d’incorrere nella scomunica. E mentre i rivoltosi si concentravano sempre più numerosi nei piani dell’Angitola, l’esercito regio non se ne stava indifferente a guardare. Le truppe reali, infatti, si erano concentrate nella vicina Monteleone (Vibo Valentia) da dove, al comando del generale Vito Nunziante, attendevano il momento opportuno per attaccare.
Il momento opportuno arrivò il 29 giugno 1848 quando l’esercito borbonico mosse con un nutrito manipolo di uomini e mezzi verso l’Angitola, pronto a scontrarsi con i rivoltosi, convinti, quest’ultimi, di poter resistere e di riuscire perfino ad avere il sopravvento. La notizia dell’attacco si diffuse immediatamente a macchia d’olio per tutto il circondario e anche a Serra la gente, quel giorno, seguì le vicende belliche col fiato sospeso. Dall’esito di quella battaglia dipendeva il suo destino futuro. I costituzionalisti, infatti, non avevano ancora portato a termine la loro vendetta e lo avrebbero sicuramente fatto dopo una loro probabile vittoria che li avrebbe resi più feroci e arroganti contro i serresi ignavi e amici del re.
Non si era ancora udito il suono della campana di mezzogiorno ed ecco arrivare in paese per via di improvvisati e sprovveduti ambasciatori le prime notizie. Erano disastrose e facevano gelare il sangue nelle vene. Correva voce che le truppe reali erano state pesantemente sconfitte e che lo stesso generale Nunziante era stato ucciso, caduto in battaglia. Qualcuno cercava di minimizzare i fatti e precisava che il generale Nunziante non era stato ucciso, ma solo ferito ed era stato fatto prigioniero dai nazionali i quali si apprestavano ad usarlo come ostaggio o ad esibirlo come un trofeo. Nel merito circolavano anche molti particolari. Si diceva che le truppe del re erano state decimate e si erano date disordinatamente alla fuga, incalzate a vista dai rivoltosi che le inseguivano per trucidarle e che nel corso della battaglia era stata presa d’assalto la carrozza su cui si trovava il generale Nunziante il quale era stato ucciso insieme al suo segretario che gli sedeva a fianco mentre i due tentavano di fuggire, camuffati da soldati nazionali.
Si può immaginare con quale animo i serresi accolsero queste notizie e con quale animo si preparavano ad affrontare le inevitabili conseguenze. Qualcuno vedeva già l’ira dei liberali che, vittoriosi, sarebbero andati il giorno dopo ad assediare Serra e che avrebbero fatto piazza pulita del paese e di tutti i serresi. Ma tutto mutò all’improvviso.
Non si era ancora udito il suono della campana della sera ed ecco arrivare nuove notizie, ma questa volte tutte diverse e tutte vere. A vincere la battaglia non erano stati i nazionali, ma le truppe reali le quali avevano sopraffatto senza neanche molta fatica gli avversari e li avevano decimati, dispersi e ridotti alla fuga. Il generale Nunziante non era stato ucciso e nemmeno era stato ferito, ma da vero eroe, durante la battaglia, era sceso dalla sua carrozza e aveva combattuto alla stregua dei suoi soldati. Il suo segretario, che non aveva voluto scendere dalla carrozza e combattere, era stato ucciso. Molti dei rivoltosi si erano salvati con la fuga bestemmiando e maledicendo il momento in cui avevano preso la decisione di arruolarsi. I capi dei nazionali avevano cercato la salvezza raggiungendo le coste di Pizzo e imbarcandosi sui barconi ivi ancorati. Tra i fuggitivi c’era anche un serrese, l’unico che si era andato ad arruolare tra i nazionali. Era un certo Angelo Raffaele Sadurny il quale pensava di poter fare carriera nell’esercito combattendo contro i Borboni. Di lui non si seppe più nulla tranne che è stato catturato e fatto prigioniero.
Finì così quella triste vicenda e con essa anche la speranza di avere la Costituzione per la quale i tempi non erano ancora maturi.
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