

Era il 10 giugno 1862, appena un anno dopo la proclamazione del Regno d’Italia, quando una giovane ventenne, Rachele Spadea, giunta a Serra San Bruno da Montauro per convolare a nozze con il giovane Cesare Pisani, colpita da “feral morbo”, come inciso sulla lapide posta a memoria imperitura, viene a mancare.
Non ci è dato sapere se si sia trattato di tifo o di colera o di altra epidemia che magari imperversava in quel periodo, ma a chi frequenta il cimitero di Serra San Bruno, non può essere sfuggita quella tomba che custodisce le giovani spoglie di Rachele.
Probabilmente è una delle tombe più vecchie che ancora persistono all’interno del Camposanto, ma è proprio la particolare forma architettonica di questo sepolcro, certamente di matrice pagana, che colpisce agli occhi e attira l’attenzione. Sembra un corpo completamente estraneo rispetto al contesto in cui è inserito. La descrizione, poi, accurata e colta del momento del trapasso della giovane fanciulla, incisa sull’ampia soglia di marmo, che copre l’intera parte bassa della tomba, esprime in modo diretto e solenne il dolore provato da chi ha vissuto quella tragedia, evidenziando tutto l’affetto e l’amore profondo nutrito per la bella Rachele.
Non ci sono croci o angeli o alcun segno tradizionale che possa ricollegarsi alla pietas cristiana, quasi a sottolineare un consapevole distacco dalla Chiesa e comunque dalla sfera Cattolica, bensì un repertorio iconografico suggestivo ed allo stesso tempo inquietante, come gli occhi fissi e profondi di quella che sembra essere una civetta incastonata sopra questa specie di sarcofago al centro di una mezza luna. In cima svetta un simbolo strano forse di natura araldica, sormontato da un piccolo perno in ferro, su cui molto probabilmente era fissato un antico puntale decorativo, andato perso nel tempo. Ai lati spiccano due forme sporgenti tridimensionali a semicerchio nelle cui facce sono incise delle piante a foglia larga, forse d’acanto, che nell’arte funeraria tardo-barocca ottocentesca simboleggiavano la rinascita e la continuità della vita oltre la morte.


La civetta invece ha rappresentato un uccello dall’ambigua influenza negativa o positiva a seconda dei popoli e delle generazioni che si sono succedute nei secoli. Nel medioevo, infatti, insieme al gatto nero, era considerata un simbolo della stregoneria. Di cattivo presagio, molto probabilmente a causa del suo essere un animale notturno, era anche per gli Aztechi, per gli Egizi e per i Cinesi.
Molto cara era invece ai Greci, che la consideravano simbolo di saggezza e vigilanza, sempre legata alla Dea Atena. La civetta richiamava anche la notte, quindi il sonno e l’oblio della morte. Era colei che portava alla vita il sonno eterno della morte.
La curiosità suscitata da questo strano sepolcro mi ha indotto a riconsiderare un fenomeno sempre più in voga tra la gente, per quanto singolare: il necroturismo o turismo cimiteriale.
Una volta, il pensiero di trascorrere il tempo libero a visitare un cimitero poteva sembrare un passatempo morboso. Tuttavia, il turismo nei cimiteri è cresciuto fino a diventare un movimento sempre più popolare, con numerosi siti Web, blog e tour operator che dedicano tempo e risorse per mostrare la bellezza, le sensazioni e l’ispirazione che i cimiteri hanno da offrire. Ogni cimitero racchiude in sé i valori di un popolo resi eterni attraverso i monumenti, è un ricordo della “presenza divenuta assenza”.
Quanto Vale un Uomo
Quanto il numero tatuato sul braccio
quando la pelle è l’unica veste indossata
o quanto il suo nome in colonna sulla lista
quando la lista è vita e tutto intorno c’è l’abisso
quanto la sua sete profonda di giustizia
quando la fonte stessa è oramai esaurita
o quanto la sua voglia assoluta di libertà
quando è legata stretta col ferro spinato
Quanto vale la sua dignità
quanto un pianto silente nel cuore della notte
lontano da occhi e orecchie indiscrete
quanto una preghiera alle prime luci dell’alba
per la salvezza dell’anima e una morte veloce
quanto la fierezza del volto nel suo incedere
quando viene portato di peso al martirio
Quanto pesa un uomo
quanto una valigia di cartone piena di ricordi
strappata di mano da chi non conosce la pietà
quanto un granello di polvere sugli alti comignoli innevati
dopo aver attraversato camere tossiche e fornaci sempre accese
quanto il suo coraggio e la speranza che nutre nel cuore
di pagare con la vita il prezzo più alto per un mondo migliore
“Chi salva la vita di un singolo uomo salva l’intera umanità”
anche se per un attimo, un giorno, un minuto, un sospiro appena
“Un’ora di vita è sempre vita”
Il dono più grande che ci è mai stato dato.
Antonio Franzé 2025