( memorie di una “quatrareda” degli anni ’50)
Le gonne allargate sull’erba verde sembravano immense corolle multicolori di grandi fiori magici.
Gli annosi alberi della certosa stormivano dolcemente carichi di promesse nascoste.
Le ragazze, esili, dai vitini di vespa e gli abiti a quadretti “vichy”, parlottavano tra loro, guardando a tratti di sottecchi e con un certo pudore pudico, il viale da cui sarebbero sbucati alle ore piccole i giovani rampolli in bicicletta o in automobile giardinetta.
Ognuna di esse aveva un sogno nascosto nel cuore, un segreto amoroso, un grande amore cullato dolcemente, che forse non si sarebbe mai avverato.
Ma loro erano animate da una grande speranza, unita alla spensieratezza giovanile.
Il prato della certosa si trasformava per magia in un grande lido coperto dal verde giada brillante delle foglie, luogo di villeggiatura mattutino della gioventù serrese di quegli anni.(Soverato e il suo mare, erano a quei tempi molto distanti e irraggiungibili dalle pulzelle serresi.).Ora il cuore cominciava a batter più forte, le tempie pulsavano velocemente:arrivavano “trappi trappi” “ li giovanotti biedi”, pedalando lentamente con fare annoiato e stanco.
Spesso rimanevano in piedi , con la bici in mano, lo sguardo assente e lontano , come per cercare nuovi orizzonti. Alcuni si sedevano vicino le ragazze , tremolanti di emozioni, qualcuna si alzava e seguita dal ragazzo andava a bere all’antica fontanella.
Il massimo dello scandalo era allontanarsi dietro la vecchia torre cadente, lungo le mura della certosa per passeggiare o scambiarsi qualche furtivo e frettoloso bacio all’ombra di un San Michele, complice e benevolo.
La sera, poi, c’era la passeggiata nel Corso Umberto ; le ragazza sciamavano “armate” ed eleganti, non prima di avere litigato con la madre , restia a queste passeggiate “da civetta”:”state attente! Nun passiati assai…..prima si divertano cu vui e puoi si stancanu e si pigghianu chidi chiù frischi!”, “chida faccia chi non cumpara cientu ducati di chiù vala!”( la persona che stà nell’ombra è valutata e stimata più di quelle che passeggiano).
Eterne frasi obsolete che risuonavano nelle bostre orecchie incutendoci timore e diffidenza verso i presunti “ziti”(?). si arrivava passeggiando insieme fino alla fine del paese, a “Santu Ruoccu” e si ritornava indietro arrivando al ponte dell’ancinale e giù di nuovo……..
Il massimo era fermarsi al Bar di Don Fiorindo o alla cartoleria Greci e parlare lanciandosi furtive occhiate. Accanto alla persona amata, il nostro cuore palpitava di gioia e un solo sguardo ci rendeva felici.
Era il tempo delle mele, il tempo delle grandi illusioni, del vero amore, dei primi moti del cuore, della dolcezza struggente che riempiva ogni attimo della nostra vita. Ore e ore passate alla finestra o al portone, per vedere anche per un attimo la persona amata e mia madre ci richiamava con un secco:”ma chi faciti allu purtuni, vinditi la tila!………”
Ora le ragazze degli anni ’50 sono diventate adulte, mature; ognunao ha imboccato la sua strada, spesso molto diversa da quella sognata. Anche loro guidano raccomandazioni alle nipoti che sbocciano e vivono in maniera diversa da allora, con minigonne e ombelichi al vento. Per noi sono rimasti solo i ricordi di quel tempo meraviglioso.