La vita a imitazione della Chiesa primitiva costituì uno degli ideali più importanti della religiosità medievale. Una vita di povertà, fatta di rinunce ai beni del mondo e, nelle esperienze più radicali, anche di silenzio e solitudine, di ritiro anacoretico solo a solo con l’Uno. Ma di alcuni singolari esperimenti di vita religiosa è possibile ritrovare le tracce pure nei secoli successivi, come accadde a Serra nel terzo decennio del Novecento quando – come racconta una fonte inedita – un giovane di Sersale di diciannove anni, «essendosi innamorato di Gesù» e «avendo sentito dire che San Brunone si era ritirato […] dentro una grotta, venne in questo paese e giuntovi addì 27 ottobre 1926 vi si fermò». Il giovane, che, volendo vivere secondo una certa tradizione ascetica e penitenziale, portava sulle ginocchia un cilicio armato di chiodi per mortificare la carne, «andò a cercare un luogo propizio per stabilirsi una piccola grotta» e lo individuò nei pressi della “serra dei monaci”, non lontano dal Calvario: «La gente gli vuol bene – dice ancora la fonte – e gli si portano le cose necessarie, il vitto, olio, candele, ecc., anche dai contorni, con grande carità e divozione. Vive sempre a piedi nudi, senza usare legna per riscaldarsi, vive solitario, prega dinanzi al suo altarino, va nel paese per assistere alla S. Messa e fare la S. Comunione». Come si vede, un modello di vita ispirato al contemptus mundi, al “disprezzo del mondo”, quasi in linea con quei pauperes Christi che, spogliati di tutto, andavano nudi a seguire Cristo nudo: il vitto e il necessario per la vita quotidiana ricevuti in dono, l’estrema sobrietà e frugalità del vestire, la ricerca del sacrificio nel sopportare i rigori climatici, un’esistenza interamente dedita alla preghiera. Eppure un modello di vita che non mancò di suscitare diffidenza nelle gerarchie ecclesiastiche, se, dopo aver visto il giovane di Sersale, il vescovo dell’epoca «lo trovò isterico e portato alla superstizione», mentre la fonte che stiamo utilizzando sottolinea che «si vorrebbe vederlo più istruito delle cose di Dio e meno visitato da persone divote per allontanare certi pericoli e lasciarlo nella sua semplicità». Inevitabilmente, una scelta esistenziale tanto radicale doveva attrarre nella sua orbita altre persone, magari spinte dalla sola curiosità: «Dopo aver dormito 6 mesi sopra di un pagliericcio, lo bruciò, per dormire sopra di una tavola. Egli, quando va in Chiesa, nel paese, non ama di esser veduto, e cerca di nascondersi in qualche luogo più ritirato. […] La sua riputazione va estendendosi sempre più. Ai 7 di giugno 1927, nella festa di Pentecoste, cinque automobili hanno preso la direzione del suo piccolo eremitaggio: “Dov’è il Santo?” si grida da tutti. Eppure la gente, avida di vederlo, si vede alla presenza di un umile delicato fanciullo. Quando però si bussa alla sua porta, non apre che quando ha finito la preghiera». Di fronte a tale scelta, all’apparenza persino eccentrica, diversa, rispetto a quella del vescovo di Squillace, fu la posizione del cardinale Camillo Laurenti, prefetto della S. Congregazione dei Regolari, che lo incontrò dopo la sua visita alla Certosa il 5 settembre del 1927: «Ora, quasi durante una mezz’ora, Sua Eminenza poté vederlo, esaminarlo, interrogarlo, vedere il cilicio armato di chiodi che portava sulle ginocchia, e dopo maturo esame disse che la sua impressione era buona, che lo credeva di buona fede, senza finzione, vedendosi manifesta l’innocenza sul suo viso», pur riconoscendo, «per più sicurezza», la necessità di una direzione spirituale. Certo è che si trattava di una fede intensa, vissuta anche mediante gesti che potevano sembrare parossistici e continuamente nutrita di pratiche devozionali, come si poteva osservare a messa, durante l’Elevazione, quando si percuoteva il petto ripetutamente, una diecina di volte, inginocchiandosi a più riprese nel momento in cui attraversava la cappella dove veniva celebrato il sacro rito. Un corollario della personalità del giovane eremita, che lo avvicinava ai veggenti depositari tra Otto e Novecento di prodigiose apparizioni, era la sua ignoranza, alla quale, tuttavia, si univa una peculiare capacità di comprensione delle cose: «Egli non sa leggere, ma fa delle risposte che fanno meraviglia a quelli che l’interrogano. Prega e fa penitenza: ecco tutta la sua vita. Si alza alle due, dopo mezzanotte per pregare, ed ha una divozione del tutto speciale alla passione di Gesù Cristo, al Sacro Cuore e alla Vergine SS.ma, e del suo SS. Rosario». La piccola immagine, cosiddetta di S. Alfonso de’ Liguori, che portava stretta sul petto e che rappresentava Gesù Crocifisso tutto insanguinato, compendiava il significato dell’esistenza del solitario di Sersale, quotidianamente impegnato nel suo tentativo di sequela Christi.
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