Quello dell’eutanasia legale è un controverso tema che torna a fare capolino in Italia, grazie ad un video che gira in rete da alcuni mesi ormai e racchiude in circa 200 secondi le opinioni di uomini di scienza, dello spettacolo, di gente comune, di medici e di malati stessi i quali esortano il Parlamento a discutere la proposta di legge di iniziativa popolare per la liceità dell’eutanasia e il riconoscimento del testamento biologico; proposta depositata nel settembre 2013 e finora mai discussa in “aula”. Il testo di legge è semplice e in 4 articoli colma quella che è una lacuna normativa importante in un paese come il nostro che si definisce civile. Matrice giuridica della proposta di legge sembra essere quello che molti nello stesso video indicano come il diritto di morire. In un ordinamento che pone la vita come diritto inviolabile, la cui tutela è non solo garantita a livello nazionale ma anche a livello europeo ed internazionale, parlare di diritto di morire potrebbe suonare come una contraddizione in termini. Il diritto di morire non è certamente contemplato nella nostra Costituzione, tuttavia potrebbe essere forzatamente ricavato da una interpretazione estensiva del diritto alla salute: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività…
Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana” (art. 32 Cost.).
Che la salute sia un bene strettamente collegato alla vita stessa è in fondo una tesi sin troppo superficiale e riduttiva. La salute è un concetto in antitesi con la sofferenza, non certamente con la morte.
La morte in sé è liberatoria e non produce sofferenza, al contrario la vita spesso non garantisce la salute ma anzi è sorgente di dolori e sofferenze inaudite. Quando ciò accada quale deve essere l’interesse preminente? L’interesse ad una vita priva di salute, o l’interesse dell’individuo ad una morte serena e un diritto alla salute superiore che trascenda il piano fisico e riguardi la sfera spirituale dell’uomo? E quando tale scelta non possa essere determinata dal diretto interessato, chi può fare le sue veci? Sono domande delicate prive di risposte univoche; interrogativi a cui tuttavia il testo di legge cerca di dare una soluzione richiamando un concetto tanto democratico quanto religioso: quello del libero arbitrio, la libertà di predeterminazione attraverso un documento con firma autenticata che nel linguaggio comune prende il nome di testamento biologico (art. 4 della suddetta proposta di legge). In un ordinamento democratico l’individuo con capacità giuridica e d’agire, prima ancora di esser portatore di un diritto alla vita, o di un diritto di morire, è portatore di un imprescindibile diritto di scelta che inevitabilmente si riversa sulla vita stessa e in particolar modo sulla QUALITA’ di quella stessa vita.
E se quello della qualità è il tema chiave dei sostenitori dell’eutanasia, contro di esso è invece dura la risposta che dà Papa Francesco, il quale sostiene il valore della vita anche se afflitta da dolori e sofferenze. Due posizioni antitetiche, figlie non tanto della laicità o religiosità degli individui, quanto piuttosto del senso che ognuno di noi dà alla vita stessa. La forza d’animo che ha caratterizzato alcuni uomini nel corso del tempo, che li ha spinti a sopportare dolori immani è senza ombra di dubbio frutto di una maturata consapevolezza che vede nel dolore un percorso necessario, lo stimolo ad una comprensione più profonda della propria vita. Una consapevolezza e maturità che rimane tuttavia lontana dall’uomo ordinario, dall’uomo del progresso che persegue unicamente il benessere fisico che, se reso irraggiungibile dalla malattia, rende la vita stessa priva di senso.