Un’ icona bizantina che rappresenta San Bruno come non siamo soliti immaginarlo.
Chi ha letto della vita di San Bruno e della sua iconografia ha un’idea stereotipata del soggetto, in realtà, non conoscendo i veri lineamenti del santo è stato variamente rappresentato da diversi artisti nel corso dei secoli. Ma questa nuova figura bizantina: per noi insolita nei tratti, nell’espressione e nei colori, ci lascia quasi un senso di estraneità nel confronto con le raffigurazioni classiche del santo fondatore dell’Ordine Certosino. Ecco che di fronte alla novità, alla “stranezza” del fenomeno, interviene una sottile forma di smarrimento e, istintivamente, andiamo alla ricerca di un chiarimento.
Tra le definizioni date alle icone; da quella poetica ad altre di sapore metaforico, sembra più attinente quella che considera l’icona come:“un trattato di teologia a colori”. Infatti, i molteplici dettagli di una icona non sono mai casuali, mai di puro stampo decorativo; hanno sempre un significato: le tre stelle che ornano il maforion della Theotokos simboleggiano la sua perpetua verginità; l’arca di pietra posta nella grotta in cui è deposto il Bambino nella scena della Natività; prefigura il sepolcro, e tantissimi altri significati hanno la loro rispondenza in un simbolo costituito.
Per la disciplina iconografica, non a caso, chi produce un’immagine in questo stile è, oltre un graphos, anche uno scrittore. A volte, la semplice variazione di un particolare, vuol dire cadere nell’eresia. Le regole, che un iconografo deve seguire, sono riportate in appositi rigidi manuali: Hermeneia (risalire ad un preciso significato partendo da un segno), il più famoso è quello di Dionisio di Furnà; che risale all’inizio del XVIII sec.
Questa icona, quindi, rientra nella classico dell’iconografia rappresentativa: è il segno che dona significato ad un eremita fondatore: San Bruno, che qui assume anche il valore simbolico di una vicenda storica vissuta dal suo Ordine.
Infatti, l’icona di San Bruno, benedetta in Vaticano da papa Francesco, è stata scelta come emblema degli eventi che nel 2014 si sono svolti per la commemorazione del quinto centenario del ritorno dei certosini nel loro eremo di Calabria; avvenuto ufficialmente il 27 febbraio 1514.
La ricorrenza è stata associata ad un progetto religioso; ad una futura e possibile – anche se di antica concezione- speranza di fede che, promossa da eminenti religiosi, coinvolge tutto l’universo cattolico cristiano: l’Unione delle Chiese.
Per prendere coscienza di questa simbolica rappresentazione dobbiamo ricostruire un percorso storico religioso per risalire all’intrinseco significato dell’ardito progetto che tende alla congiunzione della cristianità di Oriente e d’Occidente. Fra le tante manifestazioni in questo senso, ricordiamo quella che ci tocca più da vicino: la visita-pellegrinaggio di S.S. Bartolomeo I Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, alla Certosa di Serra San Bruno e ancora, a livello mondiale, la recente intenzione di Papa Francesco espressa dopo l’Angelus del 5 gennaio 2014: “Nel clima di gioia, tipico di questo tempo natalizio, desidero annunciare che dal 24 al 26 maggio prossimo, a Dio piacendo, compirò un pellegrinaggio in Terra Santa”. Ha poi proseguito precisando: “Le tappe saranno tre: Amman, Betlemme e Gerusalemme” e aggiunse: “Lo scopo principale è commemorare lo storico incontro tra il Papa Paolo VI e il Patriarca Atenagora, che avvenne esattamente il 5 gennaio di 50 anni fa e, presso il Santo Sepolcro, celebreremo un Incontro Ecumenico con tutti i rappresentanti delle Chiese cristiane di Gerusalemme insieme al Patriarca Bartolomeo I di Costantinopoli. Fin da ora vi domando di pregare per questo pellegrinaggio”. E così fu.
Questo storico e significativo “anello di congiunzione” tra la chiesa di oriente e d’occidente è molto vicino a noi calabresi, ed è rappresentato dalla presenza di Madre Mirella Muià (eremita) che, con altre consorelle, mantiene viva la spiritualità monastica orientale nel modesto monastero di S. Maria di Monserrato: luogo di spiritualità e preghiera nelle vicinanze di Gerace. L’eremo di Monserrato, nato con l’aiuto di Mons. Giancarlo Maria Bregantini, è stato battezzato da madre Mirella come “EREMO DELL’UNITA”, inteso come luogo di culto per l’Unità delle Chiese.
Madre Mirella, autrice dell’icona-simbolo di San Bruno che vediamo nell’immagine acclusa, è nata a Siderno; ricercatrice per quasi 20 anni presso la Sorbona di Parigi, bi-laureata è anche un’eccellente iconografa anche se, nella sua modestia, non ama essere decantata come artista. In atto dedita alla vita contemplativa e alla preghiera, diffonde la sua spiritualità anche attraverso lo studio, l’insegnamento e il lavoro. L’icona bizantina di Madre Mirella Muià, emblema dell’evento certosino 2014, non porta la firma dell’autrice: La teologia ritiene che le icone sono opere di Dio, realizzate attraverso le mani dell’iconografo: risulta dunque inopportuno porre sull’icona il nome della persona di cui Dio si sarebbe servito. I volti dei santi rappresentati nelle icone sono chiamati “liki”: ovvero volti che si trovano fuori dal tempo, trasfigurati; ormai lontani dalle passioni terrene.
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