“Sono felice…”. Qualche giorno fa, sul mio profilo face book, ho postato questa frase. Ognuno, poi, ha dato una sua lettura.
Caro Pasquale (mi rivolgo al medico), caro Pasquale (mi rivolgo al preside), caro Pasquale (mi rivolgo all’altro medico), oggi sono felice perché sono qui, in mezzo ai giovani, a parlare con i giovani di un libro giovane. Scritto da una giovane. Una gio-vane ragazza che io ho visto crescere, passare accanto sulla stessa via, nata nella mia stessa parrocchia prima che questa venisse improvvidamente amputata nel suo ter-ritorio.
L’autrice è Isabella Orfanò. Di cui non dirò, dirò solo che è figlia della nostra città, una città vivace nella cultura in ogni sua manifestazione (dalla narrativa alla poesia, dalla pittura alla scultura, dalla musica al teatro, al giornalismo) tanto che sembra ri-vivere una nuova rinascita nel campo delle arti (numerosi sono gli spettacoli d’ogni genere che si susseguono in tutti i giorni dell’anno) che ci fa ritornare al secolo d’oro che per noi è stato il ‘700. Lei, giovane, alla prima esperienza letteraria che l’affida ad un giovane editore, vive da giovane e in prima persona questa nuova realtà di cui è avvolta e di cui è intimamente partecipe. E in prima persona si mette in gioco scri-vendo questo libro, che può essere fantasia o realtà.
Il libro. Mi ha colpito la bella immagine di copertina: un’onda che si frange delicata su una spiaggia solitaria, che può essere la prima o l’ultima, l’ultima spiaggia. Tutti abbiamo una spiaggia cui tendiamo: la prima e l’ultima. La prima spiaggia è quella dell’arrivo dopo una lunga e stancante traversata, l’ultima spiaggia è quella della partenza, del distacco, dell’abbandono, della speranza. Si arriva e si parte, si nasce e si muore, ma nel nostro libro l’ultima spiaggia è quella dalla quale l’Autrice, scusate, la protagonista prende il volo per vivere intensamente, per tornare a vivere, per ri-trovare il piacere del vivere in una società moderna o postmoderna, industriale o postindustriale, tecnologicamente avanzata dominata dal digitale, certamente di-sumanizzata, che uccide e distrugge ogni sentimento umano in una disumanizzazio-ne continua e dissacrante che porta all’annientamento dell’uomo che perde ogni ri-ferimento, ogni valore tipico della sua umanità. È un libro facile, con una scrittura agile e veloce, che porta ad un’indagine interiore per scoprire se stessi e andare oltre le apparenze, oltre la policromìa affascinante degli abiti alla moda indossati per un solo giorno. È un libro facile, fuori moda perché non ci sono omicidi, femminicidi, sesso, droga, mafia, turpiloquio, ecc. È un libro, però, che non stanca, a volte anche divertente in situazioni abbozzate con ironia o solamente lasciate alla libera intui-zione del lettore. È un libro che, in un dialogo interiore, pone l’uomo o la donna, nei panni della sua protagonista, a interrogarsi, a chiedersi perché, a fare domande, domande a se stessa, a specchiarsi, a ritrovarsi. A ritrovarsi su una spiaggia, che è la spiaggia della copertina, che è la spiaggia della vita, l’ultima spiaggia: quella da cui si parte per andare sulle strade segnate dalla vita. E per fare questo è necessario spo-gliarsi dei quotidiani panni della falsità, della bugia, dell’inganno. Buttare la maschera dell’apparenza. È necessario interrogarsi, scavare dentro, riprendere “il vestitino verde buttato nel cestino dei rifiuti”, quel vestitino semplice semplice che dice chi sei, che mostra la tua persona vera, che non inganna e non ti inganna, che ti sta tanto bene nella sua semplicità, nella sua verità. È necessario, quindi, avere fede, vivere se stessi nella dimensione umana dei propri interessi, dei propri sentimenti atrofizzati da questa società talmente disumanizzante, talmente crudele, e volta tutta al consumismo più sfrenato che spinge a rottamare anche le cose più care, le persone e i sentimenti migliori, allo spreco, alla produttività esasperata, all’uso e getta che non vede l’uomo o la donna nei suoi bisogni, nei suoi sentimenti. E allora è necessario riappropriarsi del proprio io, del proprio corpo, della propria vita, della propria anima. È quello che fa la protagonista del libro, Francesca Strani, nel nome è la spia, il segno significante dell’intento dell’Autrice che fa un’opera di ricerca psicologica con, a volte, l’inversione dei ruoli e delle parti: il buono e il cattivo, il dolore e la gioia, la professionalità della dottoressa e l’improvvisazione della paziente, l’io e l’anti io, convergenti tutti sulla stessa spiaggia, l’ultima spiaggia, che è poi quella da cui si parte per andare dove davvero il cuore ci porta. E non bisogna avere paura, perché non bisogna avere paura dei propri sentimenti. E, proprio per questo, parte la pro-tagonista, parte ognuno di noi, abbandonando un passato o un presente che non le appartiene, che non ci appartiene, e ciò avviene in un dialogo continuo e tempestoso, con una lotta intestina tutta personale dove non trovi supporto né al-leati, una guerra civile combattuta dalla stessa persona nella stessa persona che si sdoppia e si divide, di continuo si divide. Per trovare se stessa.
Io non racconto il contenuto del libro, né faccio confronti o paragoni, ma dico so-lo del tema trattato, che è trattato molto bene dall’Autrice, ed è un tema difficile, quello del disagio giovanile oggi, del giovane sempre in fuga da se stesso, dal correre di continuo inseguito dalla luce. Non dalla luce vera, quella del sole, della luna, delle stelle, ma dalla luce falsa, fredda, intermittente dei display colorati, fosforescenti, che crudelmente ti segnano il tempo, ti bruciano la vita. E Isabella, figlia di questo tempo, esce con la sua protagonista da questo tempo per prendersi il suo tempo, per vivere il tempo come lei vuole, in modo strano, in modo diverso, in modo vero e sincero, e lo fa con amore. Con amore, è questo il tema dominante nel libro che pia-no piano emerge pagina dopo pagina, rigo dopo rigo, per trovare lo sboccio definiti-vo, come fiore di rosa nel mese di maggio, sull’ultima spiaggia: la spiaggia dell’amore.
Leggetelo, leggetelo questo libro, leggetelo con amore, perché è scritto con amore.
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