Dante Maffia: “una umanità accesa accompagna le immagini, sfronda sempre il superfluo e riesce a dare voce a richiami, sussulti, pensieri, paure, speranze, incontri.”
Un “ragazzo di Calabria” che ha avuto il privilegio di avere tra i suoi tanti critici e commentatori un certo Dante Maffia, candidato Nobel, ed uno “sconosciuto” qual è Giancarlo Pontiggia. E scusate se è poco! In postfazione alla raccolta Petri ‘i limiti (Pietre di confine), (ed. Moretti & Vitali, Bergamo 2005), un libro che, per Pontiggia, “non sarebbe dispiaciuto a Cesare Pavese”, Maffia scrive che il Nostro: “utilizza la memoria come uno specchio che si infrange sul presente e ne cava risonanze alte, attraverso le quali possiamo leggere sia la vita della sua infanzia e sia quella che si va svolgendo giorno dopo giorno dinanzi ai suoi occhi, nella grande metropoli lombarda.” Quanto al suo scrivere, al suo verseggiare, per il candidato Nobel calabrese “si tratta di una poesia in cui persone e cose hanno molta rilevanza: una umanità accesa accompagna le immagini […], che sfronda sempre il superfluo e riesce a dare voce a richiami, sussulti, pensieri, paure, speranze, incontri.”
Leggiamo, volutamente senza traduzione a fronte, la lirica Povari laddove scrive: “Mi mandaru ‘i ja via du Trubbulu/a cogghjiri agulivi, jà m’agustai/na murra ‘i povari chi si stuja/ ‘u culu cu frundi d’abbruvera.//Povaru su chiji, mi dissi unu d’iji/chi si spara pugnetti c’a sidura/‘i sò pa’ e dàssanu mpurriri i gudeja/‘nta potiha du zziu Mi.//Po’ ‘nci vitti mentiri i mani/‘nta fissa d’a fìmmana cchjiù beja/tirà fora ‘nu panaru chjinu ‘i giarasa/favi, poseja, fica calijati/cujuri ‘i pani e vinu ‘i Cirò.//Pìgghjia, mi dissi, tu chi veni/‘i supa du timpuni, mi ringrazzii/appressu, ‘nta nchjianata”. Insomma, poesia ritmica e riflessiva che sembra alludere alla certezza che ciò che si è perduto desta rimpianto e malinconia. Il tutto con un dettato poetico impreziosito da immagini suggestive.
E nella lirica “A folia”: “A folìa chi ndavìa singatu/cu sputazza i cinnari nto margiu/a trovai accuppata cu xacchi/d’armacera e umbri d’alivari.//Mpisu nta nu gghjiommaru i cimentu/i jidita a curteju senza punta/ cercu nu filu i cielu pe cusiri/i jorna chi mi mancanu du cuntu.//U ventu si ndi mpercica ‘nte timpi/na vuci russìja nto cannitu/iestimu tutti i craculi du tempu/prima u diventu axxeri i calijari.” Qui vi è tutto descritto in una tavolozza di colori, delicati, dai marcati contorni di sentimento, sinceri, reali in tutta la parafrasi delle memorie che conservano, ancora, il profumo dell’amore.
Ancora, per Dante Maffia, il Nostro “scrive col cuore della sua lingua madre, con la lingua del suo cuore che non si disgiunge dai sapori, dagli odori, dagli umori della sua terra…”
Io ho avuto il privilegio di conoscerlo e apprezzarlo, nel 2007, in occasione del “Premio Letterario Il Tripode- Città di Crotone” del quale ero membro di Giuria e laddove lo stesso riscosse il meritato premio. Qualche giorno dopo, in una lettera pervenutami da Milano e che custodisco tra le carte care, mi scriveva, tra l’altro, “cercherò sempre, nel mio piccolo, di lavorare per portare avanti l’immagine di una Calabria pulita e piena di creatività” firmandosi “un ragazzo di Calabria”. Qui un applauso è d’obbligo! Sto dicendo di Alfredo Panetta, nativo di Locri ma trapiantato da anni a Milano e, “sebbene, scrive Pontiggia, viva ormai da molti anni in una grande città del nord (intrisa delle sue immancabili solitudini, del suo vuoto doloroso), il poeta che evoca le sue ombre continua in realtà ad appartenere alle colline, alle fiumare, alle sterpaglie, alle capre di una terra sentita come una presenza originaria, inesorabile”, la Locride, la Calabria.
Nel 2004, Panetta è tra i vincitori del “Montale Europa” e tra i Mensionati speciali del Premio Nosside. Successivamente si è distinto ai Premi: Pascoli, il Rhegium Julii, il Noventa-Pascutto, il Gozzano e il Lanciano oltre al citato Il Tripode. I suoi testi sono apparsi sulle riviste letterarie quali: Nuovi Argomenti, Tratti, Il Segnale, Capoverso, La Mosca di Milano, Gradiva, Atelier, La Clessidra, Arte-Incontri, La Biblioteca di Babele, La Ballata e Le Voci della Luna.
Ha pubblicato, oltre il citato Petri ‘i limiti, anche Na folia nt’è falacchi – Un nido nel fango, Edizioni CFR, Piateda SO 2011 e Diricati chi non si mòvinu – Radici Mobili, La Vita Felice, Milano 2015. Infine è anche qualificato membro di Giuria in diversi Premi Letterari.
Leggendo tra le pagine della sua ricca quotidianità poetica le impressioni che si ricavano consentono un approccio incisivo: evitata la retorica ma equilibrata la resa; il linguaggio, che spesso fotografa ambienti e uomini coi quali il poeta ha trascorso buona parte della vita ed ai quali è legato da un concreto cordone ombelicale, possiede una forte carica emotiva. Una poesia costruita secondo le regole dei sentimenti puri, che trasfigurano la realtà fino a farla apparire fantasia, mentre trasformano ascetiche fantasie in realtà che forse regolano la sua vita.
Leggiamo in Cerzi muzzati: “I cerzi ‘i muzzaru nto voscu du Lleri/u ntìsaru nzina i petruji ‘i timpuna/d’i singazzi d’a terra sbujava na mùffura/mentri l’unghji nta ll’aria ‘u corvu azzippava.//Armi lordi ‘i jà sutta, fumenti/zali ad ammuzzu, nu fetu ‘i pisciazza…/Staccati i dentuzzi affilati d’i minni/veniti, c’a serpi è stenduta nto camphu.//Jà nt’a furca, viditi, ‘i nu rramu/na frunda c’alluci, mi pari, chi dicu!/È na lama chi muzza na capa ‘i cristiianu/e mi trasi diritta nt’a menti a hjiumara.//M’agghjiunca, mi strizza, mi suca/po’ rrrota nta ll’aria e mi linchji ‘i sputazza/i mani m’annettu ‘n dinocchjiu/se vo’ l’anima aspetta, ma mò fammi…//Cantari. E passiju nto voscu quando/‘u temphu rallenta, mi ngrugnu/nt’è cuvi undi ‘u focu s’a cogghjì‘i na nticchjia. Accarizzu ‘n piruni/e mi bloccu. Jà sulu mi gurdu d’amuri.”
Al postutto, piace far mie le espressioni di Giancarlo Pontiggia per il quale, tutto l’itinerario poetico e umano dell’amico Alfredo risulta “solitario, spoglio, puntuto, chiuso ostinatamente nel suo orgoglioso silenzio, destinato a lettori che non chiedono complicità:solo la potenza, nuda, di una parola che è figlia della Memoria, voce di ciò che si è perduto.”