Ringraziamo il nostro collaboratore serrese Francesco Pisani, “Cicciu Pisani di li Guerri”, che dal Canada partecipa attivamente da 12 anni con la Rivista Santa Maria, proponendo sempre articoli interessanti e racconti inediti.
Quando l’avvocato Calvetta, direttore della Rivista Santa Maria del Bosco, lanciò l’idea di raccontare “fatti di muorti”, per me fu un invito a “pasta e carni”. Avevo trattato l’argomento una ventina d’anni addietro su l’Altra Calabria. Quanto segue lo riporto pari pari dal mio libro “Il portone”.
Nelle lunghe serate d’inverno, prima dell’avvento “televisione”, chi aveva la corrente elettrica, possedeva, tutt’al piú, un apparecchio radio (e per quelle poche famiglie che lo possedevano, bastavano le dita delle due mani per contarle). Chi no,passava le serate al braciere raccontando favole e fatti di morti. Abbiamo già parlato dei lavori a maglia o all’uncinetto che si facevano attorno al fuoco. Allo stesso tempo si raccontavano favole. L’argomento però che attirava tutta l’attenzione e che lasciava tutti a bocca aperta (anche se ripetuto diecine di volte) era quello dei morti. Il solito spiritoso non mancava mai, quando il racconto toccava la parte piú paurosa, di lanciare un grido o fare un rumore tale da spaventare gli ascoltatori.
Il primo fatto che mi viene a mente è quello della cattedrale di Amalfi (se non è successo là, sarà successo altrove, o non sarà mai successo, quel che conta è il fatto).
Si racconta dunque, che nella bella cattedrale di Amalfi, in certi giorni precisi dell’anno,quando il sagrestano apriva la chiesa per la prima messa,trovava i banchi rovesciati; ciò succedeva da anni e nessuno riusciva a dare una spiegazione.
Una sera, il figlio del sagrestano, stanco di dover aiutare il padre a mettere a posto i voluminosi e pesanti sedili, parlando col parroco, si lagnava dell’incapacità di questi di risolvere il problema del rovesciamento dei banchi. Tantopiú, diceva, che il padre non era in grado di maneggiare i pesanti scanni e che dunque stava a lui aiutarlo; anzi, aggiunse, l’avrebbe fatta finita rimanendo in chiesa a vedere chi si divertiva a mettere sottosopra i citati banchi.
Evidentemente non doveva essere scarso di coraggio. A quei tempi i morti si seppellivano sotto la navata centrale delle chiese e passare la notte in tanta compagnia non era facile per gli sprovveduti di fegato. A mezzanotte in punto (come per tutte le storie dei morti che si rispettano) uscì dalla sagrestia un prete parato e pronto a dir messa. Accese due candele, depose il messale sull’altare, s’inginocchiò sul secondo gradino, fece il segno della croce ed incominciò:
“-Et introibo ad altarem Dei.”-
Poi, girata la testa sulla sinistra e non ricevendo la risposta del chierico, andò verso la navata e, con forza sovrumana, rovesciò tutti I banchi. Ciò fatto scomparve da dove era venuto: dalla porta della sagrestia. Dopo l’immediato sbalordimento, il baldo giovane andò a raccontare il fatto al curato, il quale come si trattasse di cosa da niente, fece al figlio del sagrestano, il seguente discorsetto: “Giacché hai dimostrato di avere tanto coraggio, va fino in fondo. Quando il prete inizia la messa, rispondigli”.
L’indomani notte, puntualmente,il giovane si fece trovare in chiesa. A mezzanotte la scena della notte precedente: Il prete arriva, poi, accende due candele, depone il messale, s’inginocchia ed incomincia:
“-Et introibo ad altarem Dei-.”
“-Ad Deum qui letificat juventutem meam-.” Rispose il figlio del sagrestano
“-Confitebor tibi in cithara Deus meus: quare tristis es anima mea -.”
“- Et quare conturbas me-?” Rispose ancora il giovane.
“- Spera in Deo, quoniam adhuc…-
Insomma, fra l’officiante ed il servente, si era creata quella comunione che imponeva il momento. Sino alla fine, quando, preso il messale, il giovane precedette il prete in sagrestia dove il sacerdote esclamò:
“Grazie a te e al tuo coraggio, figliuolo,sono ormai salvo. Da tanti anni soffro in Purgatorio. Da vivo avevo incassato soldi per delle messe che, per pura negligenza, non ho mai recitato. Grazie a te posso ora sperare nel perdono di Dio.”
Ciò detto sparì.
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