La storia riporta che nel 1633, il pittore Francesco Caivano Pingebat, su commissione del priore della Certosa di Serra, realizzò una grande tela detta la: “S.Trinità e Santi Certosini”- di metri: 3,00 x 4,80 – che fu poi collocata nella cappella dedicata a S. Bruno a destra del transetto della chiesa conventuale della Certosa.
Detta tela, recuperata fra le rovine della chiesa distrutta dal terremoto del 1783, è stata poi fissata al muro nel coro della chiesa Matrice di Serra San Bruno.
Nel 1780, per un misterioso episodio, in questo quadro ne venne incastonato uno più piccolo: Il quadro della “Vergine” dello Zurbaran. Dal racconto scritto dal Sacerdote spagnolo Antonio Despuig y Dameto, partito in soccorso dei certosini fin dalla prima scossa -avvenuta il 5 febbraio 1783- apprendiamo quanto segue:
Sera del 7 febbraio 1783:
Dopo aver cercato fra Giuseppe al vivaio delle trote, padre Madera, tornò in Certosa nel momento in cui il priore: Pietro Paolo Arturi, stava congedando l’Espresso e altri tre rappresentanti del vicino paese di Serra che, accorsi per constatare la situazione esistente in Certosa, si apprestavano a tornare ai loro uffizi. Si dicevano rinfrancati dal fatto che nessuno dei monaci era rimasto vittima del disastro, mentre nel paese: oltre alla totale rovina di molte case, si contavano più di quaranta vittime.
Si aveva notizia che tutti i centri abitati circostanti, e in special modo quelli sulla costa, erano stati devastati dallo stesso sisma. Correva voce che a Bagnara si contavano oltre tremila morti e anche l’abbazia di quel paese -anche quella voluta da Ruggero I- era andata completamente distrutta.
Padre Madera era alla ricerca di un quadro che aveva riposto nella falegnameria, gestita da frate Giuseppe, ora distrutta dal terremoto e colma di detriti. In mattinata aveva cercato invano di rovistare fra le macerie della falegnameria ma l’impresa era superiore alle sue forze e pensò di farsi aiutare dal frate falegname. Titubava ad interromperlo mentre stava lavorando alacremente nel montaggio degli assi a sostegno di una capanna nei pressi della fontana. Madera si limitò ad avvicinarsi al frate falegname e lo guardava in silenzio al che, fra Giuseppe, vedendosi osservato e intuendo la sua pena si fece dappresso e prese a dire:
-Padre Madera, sento che la vostra angoscia è per quel dipinto della Vergine che pensate abbia trovato la sua rovina fra le tavole della falegnameria.
-Fratello Giuseppe, è vero; è questa la mia pena, volevo chiedere il tuo aiuto, ma vedo che sei troppo provato dal pesante lavoro di questo momento. Avevo tentato da solo a rovistare fra le macerie della tua fabbrica ma l’enorme difficoltà mi ha fiaccato. Occorre trovare il quadro della Vergine che ho portato da Jerez. Il quadro era stato donato alla mia certosa dal Municipio di Llerena quando ero priore di quel monastero poi, quando ho deciso di continuare la mia vocazione qui: nella casa di Bruno. Avevo portato con me quel quadro ma, il Capitolo di questa certosa l’ha giudicato impudico e così, per salvarlo, l’ho nascosto fra le tavole dietro la porta della tua falegnameria. Ora questo monastero non potrà più ospitarci e ho deciso di tornare nella mia terra insieme con don Dameto e vorrei riportare il quadro nella sua originaria dimora. Tu conosci il posto preciso ove giace il quadro, e ti chiedo di aiutarmi a trovarlo.
-Cercare il quadro nella falegnameria è fatica sprecata, padre, perchè il dipinto non è più colà.
Padre Madera restò sorpreso e disorientato da questa affermazione e il frate falegname chiarì l’accaduto:
-All’inizio della scorsa estate il priore Arturi notò che il grande quadro esposto a destra del transetto della chiesa conventuale della nostra certosa aveva assunto un aspetto sbilenco e, temendo il peggio, mi esortò a portare il necessario riparo della vetusta struttura che reggeva la tela. Quel dipinto; opera del Caivano, stava nella nostra chiesa da un secolo e mezzo; alto quasi cinque metri e con una cornice ornata molto pesante tanto che che, per cavarlo dal muro e portarlo in falegnameria, dovettero aiutarmi tre fratelli. Il mio banco di lavoro era troppo stretto perché potesse stare in piano e, con fatica, lo poggiammo ritto contro le altre tavole giacenti dietro la porta.
E proseguì dicendo:
“Quando una cosa la vedi tutti i giorni ti diventa talmente familiare che la sua vera identità ti sfugge. Quel quadro, poggiato per terra mi sovrastava con quelle figure che sembrava volessero parlare, mi soffermai a mirarlo; e ne rimasi estasiato. Se in chiesa mi appariva come ornamento, avendolo di fronte in tutta la sua grandezza, andava oltre l’apparenza: mi parlava. Mi richiamava quell’attimo decisivo della risposta dell’uomo incerto e confuso, alla chiamata divina e poi; quell’attimo di mutazione in cui il novizio, abbandonata la cocolla dell’incertezza, e indossato l’abito monacale, s’impegna per sempre davanti a Dio e davanti alla Chiesa. Inginocchiato, viene accolto e trascritto nel libro della comunità. Si libera dal peccato e inizia ad elevarsi per gradi, sull’esempio dei Santi Certosini: Alla ricerca di Dio…”
Tanto era l’ardore che infondeva al discorso che lo fissammo con fare interrogativo. In quel momento di tensione il suo discorso appariva fuori luogo. Dai nostri sguardi di stupore, se ne accorse e tacque di colpo. Seguì un momento di attesa dove nessuno profferì verbo, al che il frate riprese a dire:
-Perdonatemi se, in questo frangente, mi dilungo nell’allegoria del dipinto e ignoro la vostra pena; dunque, torno al fatto che vi preme: Dopo alcuni giorni che il quadro sostava in falegnameria, a scanso di danni accidentali alla tela del Caivano, decisi di dar mano all’aggiustaggio.
Con tavole acconce lo sistemai sul banco di lavoro con un telaio dall’esatta misura della cornice e, a sostegno dei lati, piantai per terra un quadrato di puntelli verticali. Sopra vi adagiai il quadro a faccia in giù; di modo che i lati del quadro poggiassero sui puntelli e, la tela, restasse discosta da qualsiasi intoppo. In questa ultima operazione sono stato aiutato dai novizi che, accompagnati da padre Vidagain; loro maestro, erano venuti alla ricerca di legname per attrezzare uno spazio ricreativo all’aperto. Ripresi il lavoro; prima riassestai gli incastri a tenone e mortasa; sostituendo i vetusti cunei dissodati dal tempo poi, con squadra e mazza, ripristinai gli angoli e pensai ad una struttura di rinforzo. Mi sembrò buona l’idea di legare i quattro lati della vecchia cornice con due assi orizzontali incastrati con altri due verticali e, come avevo pensato e disegnato, disposi quattro assi incrociati a guisa di prova. A quel punto, osservando il vuoto rettangolare che si veniva a creare al centro, mi venne alla mente il quadro della Vergine. Fu un attimo, lo recuperai, lo spolverai e lo inserii in quel vuoto. Dalla prova passai all’esecuzione e incastrai ad arte il telaio del quadro della Vergine al centro della struttura di rinforzo: tela contro tela. Quando ebbi finito, rinforzai prima i fissaggi a muro e poi, con l’aiuto di tre fratelli, risistemai il tutto al suo posto originario. Nessuno si accorse che un quadro era stato innestato nell’altro… e fu così che la Vergine entrò, in segreto, nella nostra chiesa.
Fece una pausa aspettando incerto e aggiunse:
-Padre Madera! Il quadro è ora fra le sante rovine della nostra chiesa, vicino alla Trinità, con San Bruno, con i Santi Certosini e con gli Angeli. E, per mesi, la Vergine, ha presenziato, in segreto alle nostre orazioni. Secondo voi, era meglio lasciarla sola e abbandonata nel buio della falegnameria?
Padre Madera restò pensoso e non seppe dare alcuna risposta. I due monaci si guardarono pensierosi poi si abbracciarono commosssi: gesto eloquente di reciproco perdono.
Chiarito il fatto lasciammo frate Giuseppe alle sue occupazioni e ci dirigemmo alla capanna.
Durante il percorso padre Madera manifestò la sua maturata intenzione di fare ritorno in Spagna e si dichiarò pronto a partire con me all’indomani stesso; questo, a patto che il priore avesse accolto la sua istanza. Comunque, si aveva certezza che nessun monaco avrebbe potuto continuare la sua missione in quel luogo; ora distrutto e reso inadatto alla vita monastica.
Accettai la sua richiesta e lo assicurai; almeno per la parte che mi riguardava.
Nota:
Ufficialmente, dello Zurbaran pittore, e del suo quadro della“Vergine Maria”, si conosce quanto segue:
Francisco de Zurbarán, fiiglio di Luis e di Isabel Márquez, è stato battezzato il 7 novembre 1598 nella chiesa parrocchiale di Fuente de Cantos, nell’Estremadura. Stimato pittore, nel 1617 si trasferì a Llerena e sposò Maria Paez de Silices. Il 5 novembre 1618 ricevette dal Municipio di Llerena la commissione di dipingere un quadro rappresentante la Vergine Maria. Del quadro in questione esiste l’attestato il pagamento, avvenuto l’anno successivo e conservato agli atti nel municipio del comune spagnolo di Llerena. Ai giorni nostri, il quadro della “Vergine Maria” dello Zurbaran, risulta irreperibile.