Bruno Chimirri (Serra San Bruno, 24 gennaio 1842 – Amato, 28 ottobre 1917) è stato tra gli uomini politici meridionali più importanti dell’Italia post-unitaria. Undici volte deputato quale rappresentante dei collegi di Serra San Bruno e Catanzaro, nominato senatore del Regno il 16 ottobre 1913, segretario dell’Ufficio di Presidenza della Camera durante la XIV e XV legislatura, Vicepresidente della Camera durante la XIX legislatura, Chimirri fu anche più volte al Governo: nel primo Gabinetto Di Rudinì come titolare del Dicastero dell’Agricoltura, Industria e Commercio e, successivamente, come Ministro della Giustizia; nel Gabinetto Saracco come Ministro delle Finanze e, a interim, del Tesoro. Personalità poliedrica di giurista e studioso di diritto, ma anche dalla forte sensibilità culturale, come testimoniano, tra l’altro, gli interessi indirizzati verso l’opera pittorica di Mattia Preti e verso la Divina Commedia dantesca. Un autore contemporaneo, commemorandolo, ebbe modo di scrivere: “Calabrese di forte ingegno […], svolazza come farfalla intorno alle fiamme della letteratura, del diritto, della politica e delle scienze economiche. La sua parola è rapida, facile, fluida”. Il senatore Giuseppe Manfredi, durante la partecipata commemorazione di Chimirri presso il Senato del Regno si espresse in questo modo: “La Calabria ha perduto un illustre figlio, il Senato un esimio, dal giorno 28 di ottobre, in cui morì Bruno Chimirri nella sua villa di Amato in Provincia di Catanzaro. Di là il 25 avevaci espresso il suo compianto nella commemorazione del senatore Caetani; oggi il compianto è per lui stesso. In Serra S. Bruno aveva tratto i natali il 24 gennaio 1842; e, presa laurea in giurisprudenza all’Università di Napoli, presto nell’avvocatura aveva acquistato rinomanza di dotto specialmente nel civile e di eloquente. Dal foro portò alla tribuna parlamentare il fiorente ingegno, gli ampi studi, l’animo patrio e liberale, la facoltà oratoria. Lo introdusse alla Camera il collegio di Serra S. Bruno nella 13ª legislatura; e vi fu mantenuto dal collegio stesso e dal 1° di Catanzaro nelle elezioni a scrutinio di lista di continuo sino alla 23ª. Vi acquistò grande stima e meritò i più elevati uffici. Fu segretario della Presidenza, e nella 19ª legislatura vice Presidente; membro della Giunta del bilancio; della Commissione, fra tante altre, per la legge elettorale, e di quella per il codice penale. Manifestatesi le doti dell’uomo di stato, fu elevato al potere; prima per l’Agricoltura, di poi per la Giustizia, infine per le Finanze. Notabili furono i suoi discorsi e le sue relazioni, che forman volumi. Si ricorda l’oratore massimamente ascoltato sulla legge per le Opere pie, sulla riforma elettorale, e nella commemorazione di Silvio Spaventa, intorno alle questioni sociali, su varî trattati di commercio e sulle convenzioni pei servizi marittimi”. E il senatore Antonio Cefaly, nella medesima commemorazione, aggiunse: “Sono obbligato però anch’io, quale concittadino di Bruno Chimirri, a portargli il saluto della terra natìa, che, orgogliosa, vedeva meritamente in lui il maggiore uomo politico delle Calabrie e colui che nei consessi amministrativi e politici, da conferenziere e da ministro, si occupò sempre, come hanno ricordato i preopinanti, dell’immegliamento morale ed economico di quelle contrade. L’editore Hoepli ha pubblicato un grosso volume, e sta per pubblicarne un altro contenente discorsi, relazioni e leggi che furono opera di Bruno Chimirri e da lui dedicati alle Calabrie. In essi il sociologo calabrese dell’avvenire e coloro che s’interessano veramente del risorgimento delle Calabrie, troveranno grande miniera d’idee e di studi d’un ingegno pratico di prim’ordine, dotato di vastissima coltura e di qualità di scrittore e di oratore limpido ed affascinante”. Tale opera, in due volumi, intitolata La Calabria e gl’interessi del Mezzogiorno, edita nel 1915 e nel 1917, rappresenta tuttora una stimolante riflessione sui problemi del meridione italiano. Nelle sue pagine discorsi parlamentari, conferenze, saggi d’occasione, si armonizzano in un disegno unitario che costituisce uno dei grandi focus sulla Calabria tra compimento dell’unificazione nazionale e Grande Guerra, certamente degno di stare nel medesimo scaffale dei classici del meridionalismo. Ritornano, nelle pagine dell’uomo politico serrese, i grandi temi della politica di quel periodo storico: l’emigrazione dei meridionali all’estero, i dibattiti sul rapporto tra Stato e Chiesa (di cui Chimirri propugnò la conciliazione), la crisi agraria, le discussioni sulle leggi “pro Calabria”, le analisi sul presente e sull’avvenire della Regione. Le parole con cui Mastro Bruno Pelaggi, seguace della politica chimirriana nel contesto locale di Serra San Bruno, lo immortalò contro i suoi avversari, per quanto, forse, eccessivamente adulatrici costituiscono una sorta di suggello poetico della figura del grande uomo politico serrese: «Don Bruninu Chimirri è galantuomu, / ca di nudhu giammai si vindicáu. / Vui lu sapíti tutti quant’è buonu / e quant’offesi si dimienticáu; / e lu sapiti ch’allu sulu nuomu / l’Italia tutta lu frunti ‘nchináu / […] Jío poeta non su’, ca scarpidhínu, / ma dicu sempi “Viva Don Bruninu!”».
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