Gli ultimi quattro anni trascorsi come referente per la Biblioteca dell’ICI di Sellia Maria, mi ha offerto la possibilità di invogliare i ragazzi alla lettura, di allestire mostre e altre manifestazioni culturali pubblicate anche in video per le maggiori ricorrenze del calendario, ma anche di compiere ricerche sul territorio nel quale risiedo ormai dal 1983. Questo “lavoro”, realizzato nel 2006 è dedicato non solo agli Emigranti di Sellia Marina ma a tutti gli Emigranti calabresi.
Verso la fine del 1800, l’Italia era fra gli Stati europei, fra i più densi di popolazione e molti cittadini, specie meridionali, decisero di abbandonare il proprio paese che non offriva possibilità di crescita economica, ma solo tasse e bassi stipendi,
Tra il 1890 e il 1900, arrivarono in America 888 italiani: due terzi erano uomini e quasi tutti pensavano ad un ritorno in tempi relativamente brevi, dopo avere accumulato un capitale che potesse sopperire in futuro al mantenimento delle famiglie. Ma non andò così per tutti! Oltre due milioni di italiani emigrarono chi a New York, chi a Philadelphia, a Chicago, Detroit, e di questi, solo il 40% tornò in Italia…..
Molti dei nostri emigranti erano analfabeti, ma si fecero ben preso conoscere come grandi lavoratori tanto da costituire una minaccia per gli irlandesi che già si erano stanziati in loco e occupando nelle grandi industrie, il posto degli ebrei chiamati al fronte.
Dopo la Prima Guerra Mondiale, arrivò per gli italiani anche la fama di “mafiosi”, estesa dalle gesta di criminali come Al Capone, Lucky Luciano, Franck Costello, Joe Miseria etc, ma queste figure, pur perdurando nel tempo, non hanno potuto evitare che nascessero grandi leader italiani nelle industrie come nella politica, specie con la seconda generazione ormai stabilmente integrata.
In cent’anni (1820.1920 ), emigrarono più di 4.190.000 italiani, molti dei quali per opporsi al regime fascista, fra questi non possiamo dimenticare Enrico Fermi, Emilio Segre, Arturo Toscanini, Gaetano Severini e tanti… tanti altri… vi erano più italiani a New York che a Roma.
Che cosa significhi lasciare la propria terra, gli affetti, la casa, gli amici e andare… dove…con pochi o niente soldi in tasca per affrontare un viaggio di 24 giorni; attraversare l’oceano per sfuggire alla miseria ed inseguire il “ sogno americano”, divenuto quasi un impegno inderogabile per molti, ma con nel cuore la speranza del ritorno, può esprimerlo solo chi è stato emigrante!…
Tutti sapevano cosa lasciavano: nessuno sapeva cosa avrebbe trovato all’arrivo nella “ terra promessa”!.
In tasca, una lettera del Parroco, un certificato rilasciato dai carabinieri e uno dal medico che attestava lo stato di buona salute dell’individuo e poche lire racimolate alla partenza salutando amici e parenti.
Scoprirono subito che non solo il viaggio era faticoso ma anche l’approdo non era semplice, ma erano prima di tutto italiani e come tali grandi lavoratori e per questo costruirono quelle strade che non erano lastricate d’oro ma che seppero rendere percorribili anche per le future generazioni.
Considerati stupidi e sporchi, trattati da inferiori, ma nella loro umiliazione seppero far sorgere grandi imprese e già nel 1905 era sorta una “ Little Italy “, già avevano imparato una seconda lingua, gestivano negozi, pubblicavano giornali italo-americani, fondavano società di mutuo soccorso e, soprattutto, risparmiavano, risparmiavano per mandare le rimesse in Italia, a casa alle famiglie per poterle mantenere e spesso per riunirle per sempre nella nuova terra.
I nostri emigranti andarono ovunque si trovasse il lavoro: in Argentina, in Brasile, in Canadà, in Venezuela, ma anche in vari paesi d’Europa, in Germania, in Belgio, in Olanda, in Francia come in Svizzera, sempre alla ricerca di quel tozzo di pane che potesse sopperire ai bisogni personali e a quelli della famiglia rimasta in Italia.
Dove c’era lavoro, lì c’era anche un italiano e, spesso, un italiano meridionale che non sempre trovò solo lavoro: spesso vi trovò anche la morte…!
Così a MONONGAH nell’ Wst Virginia in miniera: il 6 dicembre del 1907, delle 105 vittime, 88 erano italiane e fra queste,30 erano di origine calabrese; molte delle vittime, erano poco più che ragazzi o in Svizzera a Mattmark, dove una lastra di ghiaccio travolse 102 operai e fra questi, ancora una volta, vi erano operai calabresi.
E ancora di tante altre tragedie si potrebbe raccontare, ma certamente quella che ha destato maggior impressione, è stata quella di Marcinelle, in Belgio, nella miniera dove, per un errore umano, morirono 265 minatori…136 erano italiani…le operazioni di soccorso si svolsero dall’8 al 23 agosto, quando si sentì dire in perfetto italiano:” sono tutti cadaveri”, dopo la tragedia furono introdotte alcune norme di sicurezza che prima erano assenti, come le maschere antigas.
L’emigrazione in quegli anni, specie verso il nord-europa, fu di 140.000 lavoratori: 18.000 le donne, 29.000 i bambini…una vera fiumana di calabresi si riversò in Belgio attraverso i convogli ferroviari che partivano da Milano.
Ma questo mio contributo a tutti i nostri emigranti, non vuole, né può essere una storia dell’emigrazione della quale studiosi insigni di storia e di antropologia si sono già occupati largamente, così, come per chi volesse approfondire l’argomento proprio relativo all’emigrazione calabrese, basta navigare in Internet, dove nel sito Florense vi sono tutte le notizie alle quali io stessa ho attinto per meglio illustrare questo mio lavoro.
Abbiamo già mostrato fra i primi emigranti, Giuseppe Leuzzi, classe 1891, ma egli non è il solo che è partito dalla Marina di Sellia, anche il figlio dopo vari anni seguirà il suo esempio e con lui la giovane moglie.
Ma a partire furono tanti, tanti….anche se non di tutti abbiamo testimonianze dirette o fotografie da mostrare, abbiamo solo dei nomi, i Napoli, i Dardano, i Barbieri, i Parrottino, i Capicotto e chissà quanti altri dei quali i nipoti nulla sanno perché a loro forse, neppure è stato detto!
E di quanti emigranti ancora dovremmo parlare, non soltanto di coloro che, nella
maggior parte non sono più con noi, ma anche di quanti, costretti perché ora come
allora, senza un lavoro stabile, è partito dopo gli anni ‘60.
Forse non avevano più la valigia di cartone, ma certo anche se meglio accolti, restavano sempre “meridionali” e a loro, difficilmente affittavano case, ma trovavano sempre il “compare”, partito prima di loro che avrebbe procurato un alloggio.
Così a Milano come a Torino e in tante altre città d’Italia; arrivavano sposi freschi e lì, fra mille difficoltà crebbero i figli, s’incontravano con i compaesani e rassicuravano i parenti lontani sulla loro vita e sul loro stato di salute: foto e cartoline d’auguri andavano e tornavano dall’Italia e dall’estero.
Questa generazione, fece di tutto per tornare e tornò, qualcuno anche solo per morire nella propria terra d’origine e contribuì, come la precedente, a far crescere il paese, e la Marina, ormai diventata Comune, è oggi più fiorente che mai, grazie anche
al loro sacrificio.
Caterina Tagliani
( visibile anche su You Tube https://www.youtube.com/watch?v=lYTYJIE7a-w&t=12s )