Questa notizia che sembrerebbe a prima vista fantasiosa, non è nuova ne inedita in quanto divulgata prima dal noto giornalista Sharo Gambino e ultimamente da Silvano Onda, autentico serrese, pittore, ricercatore e storico dell’Arte, residente a Venezia dove non ha mai smesso di tenere saldi i contatti culturali con la Calabria e la provincia vibonese. A sua volta, questo allettante argomento fu trattato da due insigni studiosi come Francesco Costero all’inizio del 900′ e da B.Barillari negli anni cinquanta , rispettivamente nel “Decameron di messer G.Boccaccio”, p.24, Sonzogno Milano 1909 e “Brutium” XXX, n.7-8,RC.1951. E’ inutile e superfluo soffermarsi sulle varie tappe della vita e delle opere del nostro, perché non fanno parte di questo lavoro. Al contrario, la nostra ricerca deve concentrarsi nella radiografia degli ultimi anni della inquieta vita dell’autore del Decameron che sono quelli che determinarono in lui una crisi mistica che lo portò a “bussare” alla porta della Certosa di S.Stefano del Bosco di Serra San Bruno . Le note biografiche che ruotano intorno agli anni tra il 1368 e il 1372 sono frammentarie e lacunose ma interessanti per capire lo stato d’animo nel quale versava il poeta : vecchio, ( per l’epoca) povero, malato, disincantato ormai dai successi della trascorsa gioventù . Nel 1370 e parte del 1371 si trova a Napoli dove riceve profferte dalla regina Giovanna e da suo marito Giacomo di Minorca, da Ugo San Severino, per poi rientrare a Certaldo dove morirà il 21.12.1975. “I suoi contemporanei, per bocca di Franco Sacchetti, avvertono che con la sua dipartita è venuta meno l’ultima, la più genuina e più calda voce della poesia italiana”. Francesco Costero nell’opera citata che è derivazione di fonti autentiche riferisce testualmente, fra le altre cose “…Nel 1370 Niccolò di Montefalcone, abate della certosa di Santo Stefano del Bosco in Calabria, e compagno suo di studio in giovinezza, sapendo che il Boccaccio era disposto a ritirarsi in un chiostro, gli offerse il suo cenobio per asilo,dove avrebbe trovato una bella biblioteca,un clima benigno e ogni sorta d’agi.Il Boccaccio che piegava a penitenza vi si recò; ma il perfido amico, invece di fargli incontro, fuggì di notte tempo dal monastero per non riceverlo. Il povero poeta, affranto dal lungo viaggio e bisognevole di soccorso, rimase stupito a così infame procedere; ma poi rientrato in sé stesso gli scrisse…” che poteva con ragione deriderlo d’avere dimenticato la sua povertà; che ben sapeva mancare i miseri per fin da amici, e che tutto in natura è mutabile…” (cod. San. ep.I). Ma quali furono le ragioni che spinsero il poeta a tentare la fuga mundi esortata dal fondatore dell’Ordine Certosino circa 270 anni prima? principalmente tre: la sua ammirazione per i certosini; la sua attrazione per la lingua greca calabrese; il monito di mutar vita … E’ nota la devozione ch’egli ebbe per i certosini e la sua amicizia con il Gran Siniscalco Niccolò Acciaiuoli , signore della Certosa di Firenze. E’ altresì nota la sua passione per la lingua greca che veniva parlata nella maggior parte della Calabria. A tal proposito, proprio il Petrarca, gli fece conoscere il calabrese Leonzio Pilato che a suo dire, era molto ferrato nella lingua greca perché aveva vissuto a Costantinopoli. Il monito di mutar vita invece, gli pervenne tramite Giovacchino Ciani, da parte di Pietro Petroni, romito della Certosa di Siena il quale prima di morire gli intimò di mutare le sue tendenze verso gli studi mondani e di riflettere sul problema della vita eterna. L’avvertimento del Petroni turbò profondamente l’animo del poeta sulla tematica escatologica della vita dopo la morte, tanto da indurlo a prendere quella decisione estrema di chiudersi in un monastero di clausura certosino, come quello di Calabria, dove il santo tedesco San Bruno aveva fondato la prima certosa d’Italia (1091) e la seconda del mondo dopo quella del delfinato francese di Grenoble(1084). Naturalmente dopo “il tradimento” perpetrato dall’amico Niccolò di Montefalcone, il suo soggiorno presso la Certosa di S.Stefano del Bosco si ridusse a pochi giorni, ma ci fu. Lo confermano, oltre le fonti prima citate anche l’affermazione contenuta in un sonetto del Sacchetti, suo contemporaneo ed estimatore, secondo la quale il poeta soggiornò in certosa “vestendo la tonaca di certosino” divenendo monaco bruniano. Si aggiunga che la Certosa di Santo Stefano del Bosco di Serra San Bruno, pur essendo sotto la giurisdizione cistercense (1193-14590) perché adottò la regola cistecerce di Fossanova (Latina), nell’epoca nella quale si consumò la crisi mistica del Boccaccio godeva di ottima fama sia per la disciplina monastica, sia per l’economia del suo feudo che si era ormai ingrandito (casali di Spadola,Gasperina, Montauro e Bivongi) e sia per il numero e qualità delle vocazioni. Tuttavia, anche se sono trascorsi quasi ottocento anni dal soggiorno del Boccaccio nella certosa di Serra San Bruno, l’analisi delle fonti a disposizione degli studiosi e dei ricercatori sono da approfondire e rappresentano ancora un mosaico come tale caratterizzato dal fascino dei colori del tempo.
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