È la pianticella latrice di gioia e prosperità e per questo sta ancora bene nei giorni del Natale come segno di luce e libertà.
Pochi giorni e sarà Natale. Come sempre, e per fortuna, il Natale col suo bagaglio di tradizioni che neppure l’era d’internet e la globalizzazione ha cancellato e cancellerà. Col tempo la festa religiosa si è arricchita di usanze e tradizioni dalle più disparate e molte anche di sapore pagano che non guastano. Pertanto all’antico presepe, rappresentazione della Natività voluta in quel di Greccio dal Poverello d’Assisi ben otto secoli orsono, si è affiancato l’albero di Natale, il buon vecchio Santa Klaus (Babbo Natale) che dalla vecchia slitta è passato allo scooter carico di doni, e non ultimo, oltre al muschio e al pungitopo, anche il vischio, quella pianticella che adorna le case di questi giorni. Che significato si porta questa pianta che, per la verità, è pure bruttina, con le sue foglie rigide di un verde spento e le sue bacche perlacee? L’interesse è originato dalle tradizioni e dalle credenze antichissime che, seppur modificate dal tempo, sono ugualmente pervenute fino a noi. Il vischio è una pianta semiparassita che vegeta sui rami degli alberi da frutta, ma anche su pioppi, querce e abeti dai quali succhia la linfa e i suoi cespugli possono essere anche foltissimi. Presso i popoli primitivi si è sempre ritenuto che questa pianta fosse dotata di magici poteri, tanto da essere considerata simbolo di divinità. Di sicuro era sacra ai Druidi, casta sacerdotale dei Celti, che la usavano per le loro cerimonie segrete nel folto dei boschi e per le celebrazioni dei due solstizi, soprattutto quello invernale, alla presenza di tutta la popolazione. Essi ritenevano che il vischio cresciuto su una quercia, considerata l’albero della vita e dimora della divinità, fosse pregno di sacralità.
Era, quindi, cosa sacrilega abbatterla o danneggiarla, perché la divinità sarebbe morta con gravissimi danni e disgrazie per tutta la comunità. Così alla sesta notte di luna, in presenza di tutto il popolo, un sacerdote saliva sull’albero, tagliava con un falcetto d’oro i rametti più belli, che dovevano cadere direttamente su un panno candido per non essere contaminati al contatto col terreno. La cerimonia proseguiva, poi, con lunghe processioni, canti, danze e il sacrificio di due tori bianchi mai aggiogati in onore del Sole, come auspicio di benessere e fecondità per la terra e per gli esseri viventi.
Con l’avvento del Cristianesimo, il vischio fu in parte ricusato, ma non le tradizioni ad esso connesse tanto ormai radicate, seppur modificate e affiancate ai riti della nuova religione. I magici rametti continuarono ad essere tali e vennero appesi sulle porte delle abitazioni e persino sulle culle dei neonati per proteggerli dagli influssi malefici. I rametti, però, dovevano essere colti prima della mezzanotte della vigilia di Natale e né utilizzati prima di quel giorno. E il vischio non solo era apprezzato, già dalle popolazioni antichissime, solo per le sue virtù magiche, ma anche per le sue qualità terapeutiche ed ancora oggi viene utilizzata in alcuni medicinali come ipotensivo e anticonvulsivo. Al postutto, comunque questa semplice pianticella, il vischio, è latrice di gioia e prosperità e per questo sta ancora bene nelle nostre case e nel presepe, nei giorni del Natale come segno di luce e libertà.