Nonostante la spiccata religiosità dei Serresi, che li contraddistingue sulle altre popolazioni ed anche sui paesi limitrofi, e per la fede, e per il culto particolare a San Bruno, e per la presenza d’un clero abbastanza zelante, e per la presenza delle Congreghe dedicate alla Vergine SS.ma, ed ancora per le non poche feste ricorrenti durante l’anno liturgico, non sempre le loro chiese sono rimaste aperte al pubblico. Vi è invece un periodo molto difficile e complesso nella storia di Serra e dei Paesi circonvicini, durato per circa sei anni (1806-1812), definito addirittura “l’epoca dei briganti”. Per le varie vicende accadute spiacevoli e luttuose. Sul trono delle Due Sicilie vi era Ferdinando IV° dei Borboni, il quale, dopo alcune vicende storiche, assumeva il nome di Ferdinando I° e si rifugiava in Sicilia per la venuta improvvisa delle truppe Francesi in Monteleone (oggi Vibo Valentia), e non pochi cittadini, approfittando del cambiamento di governo, si davano alla macchia, alla latitanza nelle impervie montagne serresi, definendosi Realisti. Abbandonavano i loro paesi, e si davano alla rapina, massacrando spesso, nel modo più barbaro, i malcapitati e depredandoli, dichiarandosi Giacobini, cioè dei Francesi. Questi, convinti che tutti i nostri fossero briganti, non tardarono di passare al terrorismo ed alla rapina, in modo particolare nella zona di Spinetto. E quando un soldato francese entrò nella chiesa matrice, dove scassinò il Ciborio, rubandone lo sportello e la pisside d’argento, gettando a terra le sante particole, che furono raccolte in un secondo momento e passate in casa dalla sorella del sacerdote D. Bruno M. Tedeschi, che in seguito entrò tra le carmelitane, assumendo il nome di Suor Maria Maddalena, ebbe inizio un nuovo periodo per Serra.
I Francesi, accampati nella zona di Spinetto, vendevano gli oggetti rubati nelle nostre contrade ed altrove. Il sacerdote D. Raffaele Vinci venne un giorno preso per il naso da un francese e maltrattato pubblicamente con le parole ripetute più volte: “Tutti i preti star briganti” (i preti stanno con i briganti). Il gen. Lecot, alquanto benevolo verso Serra e i Serresi, lo liberò dai maltrattamenti. E quando il maresciallo di Cavalleria Berton, che venne fuori dinnanzi alla chiesa matrice, con un colpo di fucile partito dal vicolo sinistro della stessa chiesa gli ferì mortalmente il cavallo, che cavalcava, ricorse al gen. Lecot, perché fosse vendicato, il generale non gli diede retta. Era la sera del 24 maggio 1807, alle ore 21, domenica della SS. Trinità, mentre popolo e clero stavano raccolti in chiesa per la Benedizione Eucaristica, un grido d’allarme e di timore si sparse nella chiesa. Erano i briganti che si riversavano minacciosi nel luogo sacro. Seguì un fuggi fuggi, e vennero uccisi quattro sacerdoti: D. Domenico Barillari, D. Angelo Panduri, D. Giuseppe Vellone, D. Vincenzo Rossi, alcuni dei loro parenti ed una quarantina di persone. I briganti rimasero in Serra per altri otto giorni, dandosi al saccheggio delle case ,, che svaligiarono accuratamente di tutto, specialmente le case delle famiglie più facoltose, come quella di Tucci, di Vellone (Mitimè), del medico Giuseppe Raffaele Barillari, di Biagio Pisani ecc. ecc. Otto giorni dopo, ricorrendo la festa del Corpus, il capo brigante Ronca, facendosi quasi scrupolo della santità di tal giorno, emanò un bando, con cui invitava i sacerdoti di Serra e il popolo di recarsi in chiesa per la celebrazione della festa e per la processione. All’appello risposero presentandosi una diecina di sacerdoti; fu celebrata la Messa dal Vicario D. Domenico Rossi, e vi fu pure la processione per le vie del paese.
Data la necessità per il pericolo dei briganti, si era ottenuto un distaccamento di soldati francesi, al comando del Gen. Regnier, da quelli che si trovavano in Mileto. Serra venne abbandonata dai briganti, che si erano ritirati con gli altri nella montagna, dove ricevevano segretamente aiuti e munizioni dai parenti ed amici, mentre il distaccamento si era acquartierato nella chiesa dell’Assunta. Dopo circa un anno la guarnigione francese in Serra fu affidata al comando del Gen. Vorster, uomo crudele, terribile, che impose subito come dazio ai Serresi la tassa di mille ducati per il mantenimento della guarnigione. Ed il 2 marzo 1811 tre dei briganti, che andavano sempre più diminuendo, dato il regime di terrore instaurato, cercavano di uscire dalla forzata latitanza tanto rischiosa per la loro vita, si rivolsero per riuscire a tale scopo ad un certo Raffaele Timpano del Paparello, per ottenere il salvacondotto dal tenente della Gendarmeria Gerard e dal maresciallo Ravier. Accompagnandosi col giudice di pace Bruno Chimirri, con Domenico Peronaci e Giuseppe Amato, si recarono a tale scopo dai suddetti Gerard e Ravier, che trovarono ubriachi fradici.
Questi, nella loro ubriachezza, consegnarono ad ognuno di loro una pistola. Nell’entrare nel luogo convenuto, Gerard e Ravier furono colpiti dai briganti con un colpo di fucile ognuno, morendo sull’istante. Nell’agguato moriva pure il serrese Domenico Jorfida, con un colpo di fucile, rimanendo miracolosamente vivi il Chimirri e il Peronaci. Sull’accaduto fu subito spedito un rapporto al Gen. Manès, che si trovava a Nicastro, mentre per avversione a Serra e ai Serresi, i cadaveri dei due ufficiali uccisi furono consegnati agli Spadolesi, che li avevano richiesti come “campioni” insieme ai Brognaturesi e Simbariani, pensando così di farsene un merito a svantaggio dei Serresi, e con lo scopo che Serra potesse subire altre ruberie. A tal uopo i cittadini dei tre paeselli, portavano sotto il braccio un sacco per riporvi quelle cose che avrebbero potuto arraffare. Ma rimasero a mani vuote. I corpi dei “Campioni” uccisi furono accompagnati a Spadola e sepolti nella chiesa, presenti alcuni cittadini serresi, tra i quali D. Bruno M. Tedeschi, che salito sul pulpito della chiesa, improvvisò per gli stessi un’orazione funebre intessuta da tante menzogne. Gli Spadolesi, dopo non molto tempo, si pentirono del loro gesto, e, disotterrati i corpi, li gettarono nel fiume Ancinale. Pertanto il Sindaco di Serra, i Decurioni, il Clero ed altri galantuomini pensarono di spedire una deputazione al Gen. Manès composta da Luigi Peronaci, fratello di D. Domenico, al quale si unirono D. Bruno M. Tedeschi e Salvatore Pisani, con lettera commendatizia dell’Intendente. Quando il Peronaci con gli altri giunse a Nicastro, si trovò dinanzi al Generale, e gli presentò la lettera, questi, senza neppure leggerla la lacerò furiosamente, e, gettatala a terra la calpestava, quale cavallo indomito, ripetendo, come un ossesso: “Non “curo le vostre protezioni. Verrò in Serra, e saprò punire i colpevoli”. Il”Peronaci tentava più volte di calmarlo, interrompendolo col dire: “Avete tutta la ragione, eccellentissimo Signore, ma dovete cono..“ quando ricevette sulla bocca un schiaffone così sonoro, da far rimbombare la stanza, dove si trovavano. Il Peronaci, con la mano alla guancia, e tutti gli altri si ritirarono atterriti e muti nel loro alloggio, aspettandosi cose infauste da quell’ossesso. Quando la notte furono chiamati dinanzi al Generale, timorosi si presentarono. Il Generale chiese loro soltanto quale fosse la strada più breve per giungere a Serra. Gli risposero che era quella per Maida. Dopo due giorni il Gen. Manès, seguito dai dragoni di Cavalleria, giunse a Serra, dove si diresse al palazzo dei
Signori Peronaci, e dove dimostrò subito il suo rigore, prendendo per il petto, e gettando a terra il povero giudice Chimirri, dando pure un violento colpo di paletta al braccio del Sindaco Militare Domenico Barillari. Quindi si recò sul luogo, dove gli ufficiali erano stati uccisi, e dove un inserviente di uno di essi gridò dinanzi a tutti: “Quì i galantuomini della Serra han fatto uccidere il mio padrone”. Infine, ritiratosi nell’alloggio, rivolto verso il giudice Chimirri, così si espresse: “Voi dunque siete quello che ha fatto uccidere i miei ufficiali?” Al che il Chimirri rispondeva: “Eccellenza, uccidetemi, piuttosto che affliggermi così”. Ed il Gen. Manès: “Ebbene, entro otto giorni o distrutti i briganti o la vostra testa andrà per aria”. Ed il Chimirri: “Ci manca la forza”. Il generale aggiungeva: Voi siete un altro Manès, voi avete tutta l’autorità, tutta la forza: o i briganti o la vostra testa”. E proseguendo il generale aggiungeva: “Intanto tutti i Galantuomini in esilio a Gerace e i preti a Maida”. Al che continuava il giudice Chimirri: “Eccellenza, se a me togliete i Galantuomini, io a chi mi rivolgo?” “Ebbene, -dice ancora Manès- restino i Galantuomini,ma i preti a Maida”. Quindi Manès si recò a Mongiana per breve tempo, donde ritornò a Serra. Prima di partire da Serra, oltre la conferma dell’esilio dei preti, ordina che venga impiccato Raffaele Timpano per aver guidato i tre briganti, in mezzo alla piazza, dinanzi alla folla di uomini, donne, giovani, ragazzi e vecchi e decreta la chiusura delle chiese, proibendo la celebrazione della Messa e l’amministrazione dei Sacramenti con Decreto del 10 marzo 1811. Nonostante il predetto ordine tassativo, che lasciava il popolo senza Messa e senza Sacramenti e che i morti venissero seppelliti fuori la chiesa, dietro la cappella dell’Immacolata, alcuni serresi, alla domenica andavano a Messa nella chiesetta di San Lorenzo, dove un sacerdote di S. Caterina, certo D. Nicola Tolotta, imprudentemente ed abusivamente si recava la domenica a celebrare. Ma i briganti, costantemente braccati, ben presto finirono, perché privati delle risorse necessarie per vivere, costretti a mangiare ghiande arrostite e pezzi di cuoio di buoi cotti, e qualche volta anche carne dei loro compagni uccisi. Tuttavia ne erano rimasti due: Pasquale Ariganello e Pasquale Catroppa, che, rifugiatisi presso due pecorai di Pazzano, nelle montagne di Bivongi, dopo aver mangiato e bevuto abbondantemente, si addormentarono e furono uccisi nel sonno la sera di Pasqua 12 aprile 1811 dagli stessi pecorai. Ed il giorno 14, martedì dopo Pasqua i pecorai uccisori si presentarono con le loro teste al comandante Vorster per riscuotere la taglia di 200 ducati. Alla notizia della fine del brigantaggio, giunta in un baleno a Serra, furono riaperte le chiese, le campane suonarono a distesa ed i fuochi si ripeterono per diversi giorni alla sera, in segno di allegrezza, i sacerdoti esiliati a Maida non tardarono a far ritorno a Serra. E’ un pezzo di storia da non dimenticare!
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