Ah, la potenza espressiva del dialetto!
“Scialati” e “lagnusi” non è la stessa cosache dire “ottimisti” e “pessimisti”.
Non lo è – a parte la diversa efficacia del linguaggio – nemmeno da un punto di vista sostanziale.
Una persona bipolare (o anche moderatamente distonica) può essere di volta in volta ottimista o pessimista. Ma chi nasce “scialatu” o “lagnusu” tenderà ad essere tale per tutta la vita (compatibilmente con le circostanze, è ovvio).
Generalmente gli intellettuali (o presunti tali!) preferiscono attribuire all’ambiente (e alla società) la responsabilità dei comportamenti individuali; gli scienziati (e in particolare i genetisti e tutti coloro che capiscono le leggi dell’evoluzione) tendono invece ad invertire il rapporto causa-effetto.
Personalmente mi fido più di questi ultimi, ma le interazioni con l’ambiente non possono essere del tutto ignorate.
“Scialati” e “lagnusi” convivono in ogni contesto sociale, ma la percentuale degli uni e degli altri è visibilmente diversa a seconda dei luoghi, delle tradizioni e delle storie.
Perfino delle religioni: il calvinismo, per esempio, è saldamente schierato dalla parte degli “scialati”, mentre la gran parte delle fedi occidentali considera assai più attentamente le ragioni dei “lagnusi”… con tutto ciò che ne è conseguito – da cinque secoli a questa parte – anche a livello di semplice prosperità economica.
Ma mi terrei un po’ più sull’attualità spicciola: le televisioni (e in modo particolare quelle di Stato, per le quali paghiamo anche un canone) hanno eletto i “lagnusi” come protagonisti pressoché esclusivi; la politica ha fatto lo stesso; la psicoterapia anche.
Ed il dialetto serrese, ancora una volta, non poteva mancare: <Cu’ ciangia futta a cu’ rida!> è non soltanto la sintesi di un assistenzialismo indiscriminato (e perciò inefficace o addirittura pericoloso), ma anche una sorta di filosofia di vita molto deprimente e tuttavia “redditizia”.
Del resto è stato lo stesso Freud a sottolineare il “vantaggio secondario della nevrosi”: essere “malati” può risultare addirittura conveniente se le attenzioni delle persone che ci stanno a cuore si concentrano sulle nostre sofferenze. In fondo è ciò che accade quando dichiariamo le nostre debolezze, vere o presunte.
Il problema è però quello della “profezia che si autoadempie”: abbiamo esperienza un po’ tutti del fatto che le persone “positive” (“scialati”) innescano spesso un vero e proprio circolo virtuoso che dall’ottimismo porta al successo e dal successo ad ulteriore ottimismo; e abbiamo, purtroppo, anche l’esperienza opposta: essere “lagnusi” significa anche rischiare di innescare pericolose spirali masochistiche, in cui il lamento non è la conseguenza di un insuccesso, bensì il suo obiettivo…
Ma – attenzione – da questo discorso non bisogna trarre la conclusione che la vita è bella soltanto per gli “scialati”: se il lamento porta negatività… l’euforia eccessiva e immotivata porta spesso guai più seri (la realtà non è sempre docile e ottimista come vorremmo, e le conseguenze si pagano).
“Scialate” o “lagnuse” che siano, le persone che cercano veramente la serenità, nei momenti di sconforto devono consolarsi con una riflessione: <Ricordati che finirà>. E nei momenti in cui invece si sentono invulnerabili padroni del mondo e del destino, devono tenere a mente lo stesso monito: <Ricordati che finirà!>.
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