Non sempre il desiderio di stabilire in quale luogo trascorrere la vecchiaia si può manifestare o realizzare con una scelta precisa e consapevole oppure in un tempo prestabilito. A volte occorre sottostare a eventi imprevisti, che possono riguardare la salute o interventi esterni di varia natura.
In una precedente intervista, che si trova sul sito internet di questa Rivista, Padre Elia aveva apertamente dichiarato di voler terminare i suoi giorni presso l’Eremo di Soreto, che era stata la sua destinazione scelta dopo l’uscita dalla Certosa di Serra nel 1992. Sta di fatto che l’anziano certosino, dopo aver trascorso circa 22 anni presso questo sito di solitudine, preghiera e incontri spirituali, si ritrova da poco, alla bella età di quasi 89 anni, nella stessa camera già abitata da Padre Cristiano fino al 2013, presso la Villa della Fraternità di Sant’Andrea Ionio.
Per chiarire, in qualche modo, le circostanze che hanno determinato questo mutamento di progetto di vita, mi avvio a chiedere un colloquio riservato al Padre Certosino, che tanto mi ha aiutato in momenti di bisogno personale negli anni scorsi.
In recenti incontri con lui qui alla Villa della Fraternità ho notato che riceve ancora qualche visita e telefonate da parte di amici o fedeli che lo hanno frequentato, sia a Serra che a Soreto, ma a volte sembra che stenti a ricordare chi siano. Certamente, la memoria a questa età ha bisogno della vista oltre che dell’udito per riconoscere una persona, ma lui, comunque, non nega una parola di conforto a chi si rivolge ancora con immutata devozione.
L’incontro, reciprocamente gradito, avviene nel refettorio, mentre egli si appresta a consumare la colazione mattutina, e si protrae per circa tre ore fin quasi all’ora di pranzo.
Alla fine, ci salutiamo calorosamente nella sua camera, dove ribadisce, con lucidità apparentemente inimmaginabile per l’età, il piacere di aver avuto, con questo colloquio, la possibilità di ricordare eventi del suo passato, di cui normalmente non ha occasione di parlare. Mi ripropongo di frequentarlo con maggiore assiduità.
Infatti, nell’incontro successivo, alcuni dettagli della sua vita eremitica vengono meglio definiti, mentre ammiro la sua voglia persistente di dialogare con persone che lo hanno in qualche modo seguito negli anni. Ricorda e racconta volentieri tutto, dimostrando una consapevolezza risoluta per ogni scelta fatta nel corso della sua vita certosina, fino alla decisione di andare a vivere presso l’Eremo di Soreto. Altrettanto determinato appare il suo disappunto per la conclusione inattesa di quest’ultima esperienza.
Le sue risposte risultano nette e chiare, quanto indicative di un bisogno non pienamente soddisfatto: non dice di trovarsi a disagio in questa casa di riposo, ma di esservi giunto per volontà altrui e non per sua scelta.
Domanda: “Padre, lei si sente ancora di appartenere all’Ordine Certosino? Che cosa le manca della vita monastica comunitaria? Per esempio, le manca la recita in canto gregoriano dell’Ufficio? Quali abitudini conserva? Ha qualche rimpianto?”
Risposta: “Certamente apparterrò per sempre all’Ordine Certosino. Al proposito, avevo chiesto e ottenuto dal Padre Generale il “permesso” di uscire dalla Certosa per continuare in modo autonomo la vita monastica. Il mio legame all’Ordine era attestato dal rinnovo di tale permesso, richiesto e concesso ogni due anni fino al termine dell’esperienza.
Della vita comunitaria più che il canto dell’Ufficio apprezzo la solitudine e la preghiera. Solo il primo mese a Soreto ho mantenuto l’abitudine della preghiera notturna; consumo ancora un solo pasto al giorno, astenendomi sempre dal mangiare carne.
Non ho particolare rimpianto della vita comunitaria, perché la scelta di continuare la mia attività di monaco in un altro modo è stata consapevole e, alla fine, apprezzata e condivisa, anche dai Superiori”.
Domanda: in che modo definisce “certosina” la sua esperienza dell’Eremo di Soreto?
In pratica, come si è svolta la sua vita personale e “pubblica”?
Risposta: “All’inizio ho mantenuto le mie abitudini di vita eremitica, cioè contemplazione e preghiera, da gestire in maniera autonoma. In più, offrivo la mia disponibilità a quanti si rivolgevano a me per un conforto o per un consiglio.
In seguito, il Vescovo di allora mi ha dato l’incarico, pur dimorando nell’Eremo, di “amministrare” temporaneamente la parrocchia di Monsoreto, coadiuvato dalle tre suore del paese. Tale missione si concluse dopo sei anni, nel 2006, con l’arrivo di un nuovo parroco.
Da varie parti, inoltre, veniva richiesta la mia opera come confessore.
Questa esperienza di Soreto mi donava piena soddisfazione, perché mi faceva sentire in regola con la mia vocazione religiosa”.
Domanda: “Dopo l’esperienza e l’abbandono dell’Eremo di Soreto ha pensato di rientrare nella Certosa di Serra? Era possibile, lo desiderava, ci ha provato oppure, per motivi di salute, le è parso più opportuno venire in questa Casa di riposo?”
Risposta: “Non è stato proprio così. In passato ho sempre espresso il desiderio di finire i miei giorni a Soreto. Andare via non è stata una scelta né una decisione mia, bensì una presa d’atto e una adesione all’invito del Padre Generale, su segnalazione del nuovo Vescovo, a ritirarmi per motivi di salute in una casa di riposo.
Ritengo la rinuncia all’Eremo di Soreto come il più grosso sacrificio della mia vita.
Recentemente ho espresso il desiderio di essere sepolto presso Soreto. Se la richiesta sarà esaudita questa sarà la degna conclusione della mia vita consacrata”.
Domanda: “Come vive un Certosino atipico questa fase della vita, la vecchiaia, guardando indietro alle sue varie esperienze giovanili riguardo alla scelta dell’Ordine, alla carica di priore della Comunità di Vedana (Belluno), al trasferimento alla Certosa di Serra come Vicario, all’uscita dalla stessa Comunità e, infine, alla sua solitudine nell’Eremo di Soreto?
Risposta: “La mia vocazione certosina si è realizzata all’età di 19 anni, allorché da semplice seminarista venni casualmente a conoscenza della vicina Comunità Certosina di Farneta (Lucca). In realtà, ero un ragazzo timido e non mi sentivo adatto alla predicazione e all’attività propria del clero secolare; mi attirava di più la vita religiosa contemplativa.
In seguito, le mie qualità riconosciute mi hanno condotto verso ruoli direttivi in alcune Certose.
L’esperienza eremitica di Soreto la considero la vera realizzazione della mia vocazione certosina. Ho continuato a vivere la vita del monaco, condividendo con le persone bisognose la preghiera, la confessione, i colloqui. L’interruzione improvvisa di tutto ciò la vivo con molto dispiacere”.
Domanda: “Ora che si trova qui un po’ isolato e con qualche acciacco fisico, ha modo di continuare la sua opera di apostolato con le persone bisognose? La cercano ancora i suoi fedeli seguaci?”
Risposta: “Sì, alcuni vengono a trovarmi, altri tentano di contattarmi per telefono, oggetto che, però, gestisco con difficoltà. Sicuramente, anche in questa casa di riposo ho piacere a incontrare persone con cui dialogare”. La mia opera a favore di chi ha bisogno di conforto non la ritengo per nulla conclusa.
Domanda: “Vuole dare un saluto a quanti a Serra S. Bruno la ricordano con affetto e devozione?
Risposta: “Certamente, non posso dimenticare né la vita trascorsa nella Certosa di Serra né le persone che mi hanno seguito a Soreto, dove mi consideravo “direttore di anime”. Per tutti sono io che esprimo la mia gratitudine per quello che da loro ho spiritualmente ricevuto”.
Sant’Andrea Ionio 14/07/2019