Scrivere su questa categoria di maestri o sul loro mestiere, mette quasi soggezione: un mestiere duro per gente dura; una materia, il granito, portato ad esempio per la sua durezza e compattezza; un’arte distrutta, meglio, abbandonata, un po’ piú di un secolo addietro con l’arrivo del cemento armato e della saldatura all’ossigeno. Prima, e fino all’inizio del novecento, gli edifici li erigevano i muratori coadiuvati dagli scalpellini che fornivano lastre, frontoni, architravi, basole, pilastri e quant’alro. Poi, almeno per quanto riguarda gli edifici, addio scalpellino, addio opere di granito! Fatta alla bell’e meglio la forma, si cola il cemento e…arrivederci e grazie:l’opera è fatta. Altro che sfibrarsi le braccia a forza di scalpellare!
Negli ultimi anni di vita, l’arte dello scalpellino aveva avuto, tecnologicamente parlando, alcune migliorie cha avevano facilitato e non di poco,l’arduo lavoro.
Alcuni emigrati in America, di ritorno in Patria, avevano portato “lu ‘ndrillu” – the drill- grazie ad esso si abbandonò per sempre la spaccatura a legno, evitando così il pericolo della “scoppolatura”; avevano portato un marchingegno, una specie di martellina a piú lame che permetteva di fare una superfice pianissima cancellando le ferrate; avevano portato la corda d’acciaio per la segatura del granito, ma…ti tedio lettore? Roba tecnica, mi son lasciato prendere la mano.
Un aneddoto: ero già da qualche anno in Canada quando, uno dei miei fratelli, non mastro ma “mastruni” scalpellino ricevette da Spadola, una lettera dal nostro fratello,mastro Bruno. In essa , scriveva di essere andato a Santa Caterina ad “assaggiare” (questo era il termine) per un lavoro, ovviamente, delle pietre. -“Su una delle pietre ho visto una ferrata di nostro padre, mancina”- Mio fratello era commosso, io che volevo saperne di piú, rimasi sul mio appetito: ricevetti, invece, uno sguardo di commiserazione.
Ti tedio ancora, lettore? Quand’ero bambino e fino all’età di otto anni (poi il Signore ha deciso di chiamarlo a Lui) mio padre veniva a vedermi. Ricordo: prendeva la mia manina nella sua, callosa, e facevamo un gran giro. Ci fermavamo, prima tappa, da mastru (mastruni) Biasi Lomoro, che ormai da anni lavorava il marmo e non il granito. Loro due parlavano, cosa si dicevano? Non lo saprò mai. Poi, uscendo, ci fermavamo a guardare la colonna, paracarro al cantone della casa Lomoro: l’opera rappresenta un pezzo di fusto d’abete con i rami tagliati. Di là, a pochi passi, il Monumento ai Caduti a guardare i cerchi in rilievo. Poi una lunga camminata ci portava a Piazza San Giovanni ad ammirare il balcone dei Pisani. “Un capolavoro” diceva mio padre, “un capolavoro”. Al ritorno e prima di andare al cimitero dove rimanevamo delle ore, una lunga tappa alla Chiesa Addolorata ed un’altra alla Chiesa Matrice.
Allora a Serra c’erano ancora degli scalpellini, alcuni di essi, “mastri buoni”, così venivano definiti.
Oltre a mastru Biasi Lomoro, c’era mastru (mastruni) Gabriele Pileggi. Lo ricordo ancora: -“quandu vena papà tue mi lu saluti” mi diceva accarezzandomi la testa. Di questo scalpellino ci rimane una fontana, scolpita negli ultimi anni quaranta/primi cinquanta, dalla cui vasca superiore grondava l’acqua.
Un altro, e questo vanta lettere nobiliari dell’arte,era mastru(mastruni) Salvatore Pisani, sposato e poi rimasto a Spadola, trisnipote del piú celebre Stefano Pisani, autore del San Bruno che dorme. Mastro Salvatore, come mio nonno, mastro (mastruni) Bruno Pisani, frequentò la scuola di disegno:quest’ultimo quella dell’architetto Scrivo. Oltre al disegno ornato studiarono quello tecnico.
Al tempo del mio stare a Serra, c’erano ancora degli scalpellini: mastro Salvatore Pisani, figlio di mastro Stefano da Badolato ma Serrese di nascita; mastro Rosario Mastropietro; mastro Angelo Carrera ed il fratello di cui non ricordo il nome; i fratelli Lomoro (nessuna parentela con mastro Biagio). Ne domentico? Chiedo venia.
Un altro, ultimo aneddoto: a Santa Caterina,dove la mia famiglia abitava,c’era un non meglio definito mastru Peppi,una specie di discepolo che mio nonno teneva in casa ed in cava per tutta la vita. Vollé però morire a Serra e tornò quasi moribondo
Un giorno si trovavano tutt’e due sulla strada che da Santa Caterina mena a Guardavalle: mio nonno doveva scolpire una maschera con la bocca aperta onde inserire il tubo e far sgorgare l’acqua (nu mascaruni di funtana) per intenderci. Passava di là un uomo brutto. Mio nonno, fatto segno a mastro Peppi, gli sussurrò di trattenerlo con una scusa qualsiasi. Mastro Peppi capì a volo e si mise a parlare. Non pensò, e sì che aveva l’arguzia serrese, di far girare l’uomo con la faccia verso mio nonno,lo lasciò di spalle, offrendo agli occhi del mastro, la sua.
Mio nonno scolpì lui. Di questo erano capaci quei maestri. Ultima riflessione: furono considerati artigiani. E gli artisti, quali sono?