Quando si parla di delitti passionali il movente abituale è il possesso. Sono delitti psicologicamente drammatici perché chi uccide ama la sua vittima, la ama anche mentre la uccide, se di amore si può parlare. Chi uccide infatti, dice di amare in modo incontrollabile, di non riuscire a contenere una gelosia che lo rende cieco e quindi di non saper accettare una separazione, un no, un rifiuto.
Chi ama però, non fa del male, non picchia e soprattutto non ingiuria e non offende, perché peggiore della violenza fisica c’è quella psicologica che mira alla distruzione dell’autostima della persona e ad un tormento costante con l’obiettivo di sottomettere per mantenere il proprio potere e controllo. Alla base di questo disagio ci sono le paure, le incertezze e le angosce di non essere amati per quello che si è, che assalgono le menti delle persone e che portano a togliere ciò che di più bello abbiamo, la vita, un dono che quando viene strappato brutalmente non ritorna più indietro. Alle parole vendetta e odio si aggiunge un’altra parola ormai divenuta di uso quotidiano, femminicidio.
La violenza e le aggressioni sulle donne sono diventate infatti una piaga ormai diffusa, da oriente ad occidente, che colpisce ogni paese del mondo.
Alla domanda “Si può uccidere per amore, odio o vendetta?” la risposta è: SI. Una risposta inaccettabile diremmo, una risposta che non si dovrebbe e soprattutto non si vorrebbe sentire, ma che ad oggi è diventata una crudele realtà in una società che perde giorno dopo giorno i valori, in cui l’amore e il perdono sono offuscati se non sostituiti da odio e ira.
Viviamo in una società che insegna alle donne a difendersi dalla violenza degli uomini e non insegna agli uomini a non violentarle.
Da una risposta però possono nascere istintivamente altre domande, cosa spinge queste persone ad agire in tal senso? Si può parlare di amore o piuttosto di egoismo? O forse, di un amore profondamente egoista che preferisce risolvere i suoi problemi in questo modo?
Si tratta di semplici assassini ovvero di individui che possiedono nel proprio DNA l’istinto omicida o si tratta di disperazione e sofferenza così profonda da spingere a compiere atti che in condizioni “normali” non si commetterebbero? Solitudine, rabbia, egoismo, violenza, sofferenza…qual è la molla che fa scattare il gesto estremo nelle menti delle persone?
Scritto da Manuela Salerno, Istituto Einaudi Serra San Bruno, classe IV B A.F.M. (Articolo a cura della professoressa Clara Grillo)