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Rivista Santa Maria del Bosco - Serra San Bruno e dintorni

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Gioacchino Giancotti
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Eravamo...Eravamo...

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Eravamo eravamoSembra che l’eta’ del mondo, almeno di quello moderno, venga scandita in ‘decenni’. Dopo gli anni ’60, quelli del boom economico, gli anni ’70, quelli dell’impegno politico ed ideologico.Poi gli anni ’80 del graduale disimpegno e dei ‘compromessi’. Con gli anni ’90 il patrimonio ideologico viene relegato alla discussione di pochi e, nell’oziosita’ generale, si fa avanti una generazione  di  giovani tanto intraprendenti quanto immorali. Il 2000 segna il trapasso  dal vecchio mondo della politica a quello nuovo del carrierismo. I vecchi giovani degli anni ’70 si rinchiudono nel rimpianto  e ai loro accorati proclami di lotta si susseguono generiche strombazzature di piazza e sgrammaticati programmi politici.

La mia prima gioventu’, quella migliore, io l’ho vissuta negli anni ’70.La Destra era ancora destra, la Sinistra non era solo un colore; c’era un forte Centro e, a galvanizzare il tutto, gli opposti estremismi. Si voleva cambiare il mondo, chi con l’impegno politico e culturale, chi con la pistola in mano. Serra San Bruno, da sempre estrema periferia d’Italia, quella volta non rimase a disparte. La gioventu’ ribelle, quella che non era costretta al lavoro, leggeva Mao ed il Mein Kampf e, da opposte posizioni, ambiva allo stesso progetto politico: sovvertire il disumano ordine capitalistico a favore di una classe  di lavoratori o di una ‘aristocratica’ borghesia illuminata.  Mentre dalla vicina Brognaturo giungevano voci di un un giovane di buona famiglia impegnato a brandire catene nelle vicinanze di piazza Bologna a Roma e di un altro di piu’ umili origini piu’ propenso alle molotov di Autonomia operaia, nel  nostro paese gli opposti messaggi  giungevano  dal compianto Silvano Onda e dal tenebroso Manganaro. In mezzo a chi la liberta’ la voleva imporre o chi, invece, abolire, cresceva la mia generazione di giovani comunisti; allora si preferiva essere chiamati cosi’, lasciando il piu’ generico appellativo di ‘sinistra’ ai socialisti, precorritori dell’opportunismo politico. Fu nei primi anni ’70 che arrivo’ a Serra l’insegnante di filosofia Dino Vitale, raffinato intellettuale di Catanzaro . Questo Socrate cervellotico, chiamo’ a raccolta gli ancora immaturi cervelli di un pugno di gracili giovincelli e li educo’ con gradualita’ e fermezza al vivificante mondo della cultura, non solo politica. Il sottoscritto, Peppino Neri, Pinuccio Calabretta, mentre il paese nascondeva il suo sonno in una cappa di umidita’ , riscaldati da un flebile braciere e da qualche bicchiere di vino annacquato, sedevamo in compagnia dei compagni storici Mannella, Gamo e De Stefano ad ascoltare ancora smarriti le erudite lezioni del compagno Vitale, che, cosciente del nostro imbarazzo, utilizzava il rossore delle nostre guance come sprone all’impegno politico e culturale. E mentre il giovane Errigo si faceva promotore di una gioventu’ democristiana, in realta’ promuovendo solo se stesso,  ed il meno giovane Enzo Iorfida si atteggiava ad intellettuale socialista, quel triumvirato di sedicenni leggeva e discuteva i classici del pensiero progressista per prepararsi alla lotta. Contagiati dal prof. Vitale, trasmettemmo il contagio ad altri nostri coetanei  e le sedie nella piccola sezione di partito comincarono ad essere poche. Venne Domenico Pica con la sua posticcia laurea in filosofia; venne Minasi che comunicava con il silenzio; poi, un po’ piu’ tardi, il giovane Gigi Vavala’,un Vitale in miniatura; Fiorello Schiavello facile a scaldarsi, ma mai eccessivamente; Micuzzu Dominelli, che, piu’ per curiosita’ che per convinzione, non voleva tenersi fuori da questa fresca fonte di pensiero e che, spinto in seguito verso i  compromissori eventi di fine decennio , nell’intimita’ di serate tra ‘vecchi compagni’, ritorna con commossa partecipazione a quella prima scuola di vita. Questi i giovani di allora. Volevamo cambiare il mondo partendo da Serra. Si era allegri ma impegnati; premurosi e,talvolta, anche eccessivi. Avevamo quella fede che genera impazienza ma mai violenza. Pensavamo ad arricchirci di cultura e non di falso benessere. Ambiziosi, anche! Ma di quella ambizione che sorge nei recessi del cuore  e  non nei postriboli del potere. Eravamo……Eravamo……

Un grande scrittore russo, Ivan Turgenev, scrisse nell’800 un libro che fu subito manifesto dello strappo generazionale; il libro si chiamava ‘Padri e figli’.  Gli anni ’80 segnarono il graduale calo della tensione idealistica e scrissero il primo capitolo di un libro  che si e’ protratto fino al tragico epilogo di quest’ultimo decennio. A noi giovani degli anni ’70, di destra e di sinistra, rimane il conforto di un tentativo mal riuscito ma profondamente sentito!

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