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Rivista Santa Maria del Bosco - Serra San Bruno e dintorni

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La monachella di San Bruno

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Sulla vita e figura di San Bruno si è scritto e detto molto. La Sua presenza nel nostro paese ha inciso profondamente sulla cultura ed è diventata il punto di riferimento calato nella quotidianità popolare. Il potere taumaturgico del Santo, la capacità di liberare gli ossessi non Gli sono attribuiti sin dalle origini ma sono cresciute con il tempo nella mentalità e credenza dei fedeli. Fortemente legato al Suo culto è la guarigione degli spirdati , ed è a questi avvenimenti che è legata la storia di Mariantonia Samà, nota come la monachella di San Bruno.
Mariantonia nasce nel 1875 a S. Andrea sullo Jonio, è una bambina come tante: allegra, vivace, cristiana ma è una creatura segnata, destinata a cambiare. Improvvisamente non la si riconosce più, è un’energumena, bestemmiatrice, iconoclasta, esplode in esibizioni di nudismo e in capitomboli che sembrano mortali. I paesani notano il cambiamento, la temono, iniziano a sparlare imprimendole marchi da cui non si libererà più. La piccola è isolata: si ricorre a particolari benedizioni, ad altri mezzi spirituali, ma inutilmente.
In quel tempo dimorava a S. Andrea la baronessa Enrichetta Scoppa molto fiduciosa nel rito dell’esorcismo e convinta che i padri certosini avrebbero potuto fare al caso di Mariantonia. È così che la bambina dodicenne, portata al laghetto di San Bruno è sottoposta ad esorcismo. Non mancano le strazianti testimonianze di chi ricorda il viaggio in cui il demonio non evitò di farsi sentire. Al santuario di Santa Maria del Bosco accorrono molti serresi un po’ spinti dalla curiosità per l’evento esercitato su una bambina non paesana, un po’ per il legame e senso di appartenenza che lega i nostri paesani al luogo di guarigione. Un certosino, dedito all’esercizio, pratica la preghiera di liberazione. “Mariantonia è guarita” ma il maligno, fuoriuscito dagli occhi sotto forma di fumo, promette di lasciarla storpia. La vita della bambina riprende felicemente fino all’età di 15 anni circa, quando le viene diagnosticata una sintomatologia di artritismo alle ginocchia a causa del quale resterà a letto con le gambe piegate per tutta la vita.
La vicenda di Mariantonia finisce qui, ora la sua vita è circondata da credenti, da persone che l’accudiscono e da paesani che vedono in lei l’amica che ha sempre una parola di conforto nei momenti difficili, nelle decisioni importanti da prendere o durante le crisi spirituali che accompagnano l’esistenza di ogni fedele.
Ella ascolta tutti, poi rimane in silenzio, fissa il Crocifisso e comunica dando quasi un responso. I sacerdoti don Luigi Samà e don Bruno Casentino, che l’assistevano spiritualmente e materialmente, assicuravano di aver visto nella sofferente la volontà di tribolare e offrire la sua passione a Cristo.
All’età di settant’otto anni Mariantonia muore lasciando alla comunità di S. Andrea un ricordo ancora vivo e suscitando anche in punto di morte forte mistero: in questa circostanza, infatti, chi le avrebbe dato l’ultimo saluto l’avrebbe vista con gli occhi aperti. A questo avvenimento segue la decisione di tumulare la bara ancora qualche giorno dopo rispetto i normali tempi, in presenza del sacerdote e del medico legale. Dopo la morte si verifica maggiore affluenza in casa Samà ed è qui l’arciprete don Francesco Casentino non solo evita la comparsa di monumento, ma pone all’ingresso un cancello a salvaguardia di profanazione.

La devozione per la monachella è profondamente sentita a S. Andrea: molte persone ancora oggi dicono di sentire un profumo intenso quando pensano a lei, altri invece la invocano affinché interceda per qualche guarigione fisica e sostengono che avvicinando la sua immagine alla parte del corpo dolorante riescano ad avere benefici; altri ancora testimoniano di avere visto la sua camera da letto illuminarsi a giorno anche dopo la morte. Per capire e studiare bene il caso bisognerebbe fare una ricerca antropologica sul campo e cercare di capire dove finiscono le credenze popolari e dove inizia la verità. È certo che le voci e le credenze di cui Mariantonia è stata il movente la delineano come una figura mistica, singolare ma è anche vero che la personalità dell’io nasce dall’incessante lavoro di ridefinizione quotidiana individuale e sociale, materiale e spirituale fino a raggiungere i confini dell’anima che, tuttavia, non sarà riscattata neanche dalla ricerca antropologica.

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