Fuga dei cervelli! Dalle contrade della Calabria verso il Nord o addirittura verso l’America! Farli rimanere o farli tornare? Tanto se ne parla e da troppo tempo anche. Bla bla bla ma i Governi italiani, tutti, hanno fatto poco, nulla, per incentivare la ricerca scientifica ed evitare che tanti geni, nostrani, della fisica, della medicina e dell’economia lasciassero la propria terra. E la fuga continua. E così i migliori se ne vanno e non ritornano, ma si fanno sentire per le loro eccezionali capacità. Ma, a volte ritornano. È il caso, seppur roba del secolo scorso, dei “nostri” fratelli Manno di Serra San Bruno, chirurghi della Scuola romana, tra le prime e migliori del mondo. Sacrificarono se stessi, i propri interessi, i lussi e gli onori della Capitale, per tornare nel profondo Sud fra i propri conterranei. Il primo dei due fratelli fu Gaetano Manno il quale, alla fine della 1^ guerra mondiale, fondò, nella nostra piccola e graziosa città della Certosa, un ospedale capace di centoventi posti-letto, cosa straordinaria per quei tempi ma anche per l’oggi alla luce di quanto avviene all’Ospedale San Bruno sedotto e abbandonato. Il medico serrese era stato a Roma, assistente del Prof. Roberto Alessandri, a sua volta allievo del più famoso Francesco Durante, pioniere della scuola chirurgica romana e italiana. Divenuto internista presso il 3° padiglione chirurgico del Policlinico Umberto I, molto apprezzato, come suo collaboratore, anche dal chirurgo Bastianelli, Gaetano compì centinaia di interventi e ammirato dai colleghi come Capellone, Ghiron, Matronola e Mingazzini. Ma il Manno, pur già affermato e stimato nei salotti medici di Roma, sentì il richiamo della terra natia e volle tornare nella sua piccola, periferica e montana Serra San Bruno, nel sud del sud. Tornò, poco più che trentenne, per offrire sé stesso e la sua preziosa e qualificata perizia professionale che gli consentiva di effettuare interventi di alta chirurgia come aveva fatto negli ospedali romani. Tornò e fondò, su terreni di proprietà della famiglia, l’ospedale, prodigandosi, come scrivono le poche cronache del tempo, incessantemente e con dedizione totale. Tutto il circondario delle Serre vibonesi, paesi spesso isolati nei mesi invernali, ieri come oggi, potè beneficiare, per poco più di un decennio, della sua alta professionalità e umanità. Purtroppo, a soli 42 anni, nel novembre del 1928, lasciò questa terra e lasciò pure la sua creatura, l’ospedale, ancora incompiuta.
L’altro fratello ne seguì le orme, Alessandro, cresciuto anch’egli alla scuola di Roberto Alessandri e collega degli illustri Pietro Valloni e Paride Stefanini che lo stimavano, volle tornare in famiglia per dare il suo prezioso contributo alla crescita sociale di Serra San Bruno e delle piccole comunità del comprensorio. Pur essendo divenuto primario, appena trentaquattrenne, lasciò i lussi e i pazienti, anche illustri, della città capitolina, e come umile filantropo si portò in Calabria. Nelle nostre contrade non fu soltanto medico e chirurgo ma anche benefattore generoso. Anche Alessandro morì giovane lasciando, senza retorica, tanto vuoto. Ancora oggi, nella terra delle mie radici, sono tanti a ricordarlo seppur nella memoria dei loro padri e nonni.
A volte ritornano, pur rinunciando a carriere prestigiose nelle città e metropoli del mondo. Ritornava, qualcuno, come i nostri, per offrire il proprio servizio e l’amore dove maggiore era il bisogno. Oggi? Non si torna! Sarebbe meglio dar l’opportunità di restare, non partire!
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