La osservai, se ne stava lá davanti a quello specchio, e non mi poté di certo sfuggire l’occhio da quel vetro cosí lucido, quasi fosse appena lucidato. La vidi lentamente spogliarsi, furono i suoi modi sinuosi a colpirmi, i suoi dolci movimenti mi affascinarono; era piacevole guardarla. Si slego quella lunga coda di capelli color miele, le sue mani accarezzavano il suo viso. Si tolse i suoi abiti, rimase con il suo intimo di pizzo nero. La guardai, la guardai attentamente ma il mio sguardo si distoglieva, non riuscí più a fissarla; in quell’attimo mi accorsi di quanto fu grande la sua sofferenza. Soffriva di un gran senso di colpa, riteneva di non aver diritto al piacere, il piacere del cibo. Si rifiutava di mangiare. Mi trovai ad osservare uno scheletro umano, la sua bellezza svaní; per quegli occhi potevo solo stare male. Il suo corpo assomigliava a quello di una ragazzina, non aveva seno, non aveva fianchi prosperosi, non aveva glutei. Aveva ossa. Aveva anche un motto, quello molto diffuso dalle giovani donne, “la magrezza è la base della bellezza “. Lei si vedeva grassa, sfiorava il suo gracile scheletro, e io avrei tanto voluto gridarle contro, dicendole che ancora si poteva curare. Era malata di anoressia, un disturbo del comportamento alimentare che colpisce una piccola percentuale di donne di età compresa tra i 12 e i 20 anni. Negli ultimi anni, questa malattia si sta diffondendo anche negli uomini, ma in percentuali meno elevate. Nella sua vita, l’anoressica è in costante lotta contro la fame e le sue conseguenze possono essere diverse e numerose: insonnia, caduta di capelli, stanchezza, decalcificazione delle ossa, cali di pressione.. La cura di questa malattia è un processo lungo e difficile, solo 1/3 delle pazienti ne guarisce completamente. Il 10% ne muore o per suicidio o per denutrizione, molte di loro conservano un rapporto ossessivo cn il cibo. Le cause di questa malattia sono difficili da definire, spesso la moda e i mass-media incitano all’ anoressia.
Continuai forzato, non era più qualcosa di bello da osservare, non potevo sussurlarle niente. Ero lo specchio. Ero l’ oggetto a cui confidava i suoi sensi di colpa, con cui poteva parlare liberamente. Nessun giudizio. Ero costretto a guardarla mentre si distruggeva.
Scritto da: Natascia Muzzí 4b istituto superiore Luigi Einaudi Serra San Bruno – (Articolo a cura della professoressa Carmen Vona)