Il percorso di un santo che ebbe i natali in Colonia, verso il 1035, da un’illustre famiglia patrizia di origine romana: la famiglia degli Hartenfaust; nome tedesco che significa “duro pugno”. Questa famiglia con le antiche tradizioni conservava anche una ricca eredità di fede cristiana. In quella casa, che Dio aveva benedetto dotandola di un bimbo predestinato, regnavano l’ordine e la pace. Grazie alla tenera e forte direzione dei genitori, il fanciullo si formò, fin dai primi anni, alle virtù cristiane. Ebbe una tenerissima devozione verso la Madre di Dio e, secondo l’affermazione di alcuni storici; fin dall’infanzia si consacrò alla Vergine Immacolata iscrivendosi nella Congregazione retta dall’Arcivescovo Annone, nella chiesa di Santa Maria ad gradus in Colonia. I genitori di Bruno coltivarono e incoraggiarono le sue spontanee disposizioni ed ebbero la consolazione di vedere ben presto ottimi frutti, e successivamente venne affidato ai Canonici della Collegiata di San Cuniberto. Formato da studente alle virtù cristiane fu canonico, sacerdote, scolastico, cancelliere e anche “vicepapa” e concluse la sua vita terrena nella nostra terra di Calabria. Non è semplice tracciare la vita di questo santo con poche righe come ha fatto Domenico Agasso che, con abili e sapienti tratti, così la espose: Il nobile renano Bruno o Brunone è vero figlio dell’Europa dell’XI secolo, divisa e confusa, ma pure a suo modo aperta e propizia alla mobilità. Studente e poi insegnante a Reims, si trova presto faccia a faccia con la simonia, cioè col mercato delle cariche ecclesiastiche che infetta la Chiesa. Professore di teologia e filosofia, esperto di cose curiali, potrebbe diventare vescovo per la via onesta dei meriti, ora che papa Gregorio VII lotta per ripulire gli episcopi. Ma lo disgusta l’ambiente. La fede che pratica e che insegna è tutt’altra cosa, come nel 1083 gli conferma Roberto di Molesme, il severo monaco che darà vita ai Cistercensi. Bruno trova sei compagni che la pensano come lui, e il vescovo Ugo di Grenoble li aiuta a stabilirsi in una località selvaggia detta “chartusia” (chartreuse in francese). Lì si costruiscono un ambiente per la preghiera comune, e sette baracche dove ciascuno vive pregando e lavorando: una vita da eremiti, con momenti comunitari. Ma non pensano minimamente a fondare qualcosa: vogliono soltanto vivere radicalmente il Vangelo e stare lontani dai mercanti del sacro. Quando Bruno insegnava a Reims, uno dei suoi allievi era il benedettino Oddone di Châtillon. Nel 1090 se lo ritrova papa col nome di Urbano II e deve raggiungerlo a Roma come suo consigliere. Ottiene da lui riconoscimento e autonomia per il monastero fondato presso Grenoble, poi noto come Grande Chartreuse. Però a Roma non trova il suo ambiente ideale: peripezie storiche lo spingono in Calabria, prima a Reggio e poi nella Foresta della Torre (ora in provincia di Vibo Valentia); e di nuovo l’oratorio, le celle come alla Chartreuse, una nuova comunità guidata col solito rigore. Più tardi, a poca distanza, costruirà un altro monastero per chi, inadatto alle asprezze eremitiche, preferisce vivere in comunità. E’ il luogo accanto al quale sorgeranno poi le prime case dell’attuale Serra San Bruno. I suoi pochi confratelli (non ama avere intorno gente numerosa e qualunque) devono essere pronti alla durezza di una vita che egli insegna col consiglio e con istruzioni scritte, che dopo la sua morte troveranno codificazione nella Regola, approvata nel 1176 dalla Santa Sede. E’ una guida all’autenticità, col modello della Chiesa primitiva nella povertà e nella gioia, quando si cantano le lodi a Dio e quando lo si serve col lavoro, cercando anche qui la perfezione, e facendo da maestri ai fratelli, alle famiglie, anche con i mestieri splendidamente insegnati. Sempre pochi e sempre vivi i certosini: a Serra, vicino a Bruno, e altrove, passando attraverso guerre, terremoti, rivoluzioni. Sempre fedeli allo spirito primitivo. Una comunità “mai riformata, perché mai deformata”. Come la voleva Bruno, il cui culto è stato approvato da Leone X (1513-1521) e confermato da Gregorio XV (1621-1623).
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